L’informazione è la nuova prima linea del conflitto tra Russia e Ucraina. Il concetto di guerra ibrida – uno scontro che coinvolge non solo il campo di battaglia, ma anche l’informazione e altre componenti del soft power – è stato portato all’ennesima potenza dall’arresto di Evan Gershkovich, il corrispondente statunitense del Wall Street Journal arrestato a Mosca il 30 marzo. Mentre il giornalista ha deciso di presentare appello contro la decisione della Corte di Mosca, il portavoce di Amnesty Italia Riccardo Noury denuncia a magzine.it “il rischio che la stampa indipendente venga intrappolata all’interno degli schieramenti della guerra”.
Il caso di Gershkovich mette nel mirino il giornalismo investigativo: “C’è uil rischio che la stampa indipendente venga intrappolata all’interno degli schieramenti di guerra”, dice a magzine.it Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia
L’accusa mossa dalla Russia al giornalista è di aver indagato su segreti di stato e raccolto informazioni che hanno portato Mosca a identificare Gershkovich come una spia sotto copertura. Secondo la comunità internazionale e il Wall Street Journal, che ne chiede l’immediata scarcerazione, il corrispondente è oggetto di un attacco diretto al giornalismo investigativo. Anche perché, come ricorda Riccardo Noury, bisogna ricordare che “nessun giornalista si trova mai nel posto sbagliato: se partiamo dal principio che ci sono luoghi in cui i cronisti non possono andare, allora il giornalismo perde la sua funzione primaria di testimonianza”.
Gershkovich, però, è solo la cartina tornasole di una tendenza iniziata con la guerra in Donbass. “La prima vittima del conflitto tra Russia e Ucraina è stato il fotoreporter e freelance italiano, Andrea Rocchelli, ucciso nel 2014 in Donbas – rammenta Noury -. Anche in quel caso si era cercato di delegittimarlo, dicendo che lui e il collega russo Andrei Mironov si trovavano nel posto sbagliato. Credo semplicemente che stessero nel posto dove bisogna essere per raccontare una guerra: sul campo, dunque, e non in albergo.”.
“Se partiamo dal principio che ci sono luoghi del mondo in cui i cronisti non possono andare, allora il giornalismo perde la sua funzione primaria di testimonianza”
Un altro segnale di quanto il fronte dell’informazione sia diventato parte integrante della guerra è l’uccisione di Vladlen Tatarsky, il blogger russo ucciso a San Pietroburgo lo scorso 3 aprile. A prescindere dalla matrice – la pista ucraina o quella interna del nazionalismo russo – l’attentato dimostra quanto l’informazione e la propaganda siano legate a doppio filo nella guerra tra Mosca e Kiev. Per Noury “catalogare quell’episodio, certamente grave, come un attacco alla libertà di stampa è però un po’ complicato”. Il portavoce di Amnesty sottolinea anche che “il giornalismo non deve mai diventare propaganda di guerra”. E avverte: “Non è il caso di dividere l’informazione in buoni e cattivi. Ricordiamoci che, quando si parla di conflitti, è la libertà di stampa ad essere sempre sotto attacco.”.
Infatti, anche il governo ucraino ha adottato quest’anno dei provvedimenti nei confronti di varie figure dell’informazione, verso giornalisti sia ucraini che stranieri. E’ il caso della revoca di permesso stampa comminata a fine febbraio contro quattro giornalisti italiani: Alfredo Bosco, Andrea Sceresini, Salvatore Garzillo e nel 2022 Lorenzo Giroffi, che da tempo raccontano la guerra che imperversa sul territorio. Nella blacklist del ministero dell’informazione ucraino ci sono otto giornalisti: tutti accusati di lavorare per la propaganda di Mosca. La decisione è arrivata su suggerimento dei servizi di sicurezza di Kiev (Sbu) e i reporter di guerra in quella lista non possono più lavorare sul territorio.
Aver paura di lavorare è un sentimento comune anche ai corrispondenti stranieri a Mosca. Noury spiega come sia impossibile oggi trovare una figura di giornalista indipendente o investigativo nel Paese: “Di fatto, in Russia, non esistono più giornali indipendenti e i giornalisti o sono dissidenti all’estero o, in alternativa, hanno dovuto riprogrammare le trasmissioni sulla propaganda del Cremlino.” Nonostante i segnali di pericolo arrivino da più parti, c’è da preoccuparsi seriamente. Eppure, secondo Noury, “rispetto alla questione della persecuzione dei giornalisti in questa guerra, non mi pare che la comunità internazionale si stia strappando le vesti. Non bastano di certo gli appelli o le organizzazioni della libertà di stampa. Ci vuole un segnale forte e chiaro da parte dei governi e della politica”. Intanto, la Russia presiederà la prossima Presidenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.