Un locale storico, conosciuto in tutta Italia e sempre più noto in giro per il mondo: è il Camparino in Galleria, simbolo dell’aperitivo in piazza del Duomo, fresco vincitore dell’Ambrogino d’oro, consegnato il 7 dicembre. Infatti il 2015 è proprio l’anno del centesimo anniversario del famoso locale di Galleria Vittorio Emanuele. Abbiamo preso un caffè con il titolare, Orlando Chiari, che ha ricevuto il premio pochi giorni fa al Teatro Dal Verme.

Non è la prima volta che venite insigniti dell’Ambrogino, giusto?

No, anni fa mi fu assegnato dalla giunta Albertini, mentre stavolta ha vinto il locale. Per questo siamo ancora più soddisfatti, e io lo sono per i miei dipendenti che meritano il premio. A proporci per l’Ambrogino è stato il sindaco Pisapia in persona: ogni tanto passa a prendere il caffè qui. A ottobre, in un evento sui locali storici lombardi, abbiamo avuto anche una menzione speciale dalla Regione, per i nostri cento anni. Voglio ricordare un aneddoto. Nessun documento conferma il giorno esatto della nascita del “Camparino”, e non lo sappiamo nemmeno noi: siamo sicuri solo dell’anno: il 1915.

Il Camparino è un punto d’osservazione privilegiato su Milano. Come ha visto cambiare la città in questi anni?

Io e mia moglie siamo qui dal ’99: prima era il signor Miani, mio suocero, a gestire tutto. Milano non è certo quella di una volta, e ce ne siamo accorti tutti. È una conseguenza del cambiamento: siamo diventati una città mondiale. Anche tra i nostri clienti, oltre a uno zoccolo duro che potremmo definire ‘milanese’, vediamo sempre più stranieri che vengono a Milano per lavoro. Ed è una cosa buona perché anche così il Camparino è sempre più conosciuto ovunque. Siamo da poco gemellati con il Nightjar di Londra, il terzo bar al mondo.

Durante l’Expo il suo locale ha organizzato importanti eventi per la Campari. Come sono andati?

Molto bene. A giugno per il fuori Expo abbiamo avuto per diverse serate i dieci migliori barman del mondo. Alcuni sono italiani che lavorano all’estero. Due sono di Como: Simone Caporale e Agostino Perrone, ma lavorano a Londra. C’è stato anche Salvatore Calabrese, forse il più bravo al mondo a fare cocktail, che qui da noi ha servito il “Negroni più antico” di sempre. Ha usato una bottiglia di Campari e una di Cinzano degli anni ’20, e un gin del 1908. Ha appena aperto un locale in negli Stati Uniti, infatti c’era pure una tv americana: era la settimana mondiale del Negroni. Abbiamo organizzato anche serate di rivisitazione del periodo del proibizionismo: i partecipanti erano venuti in maschera e, come a quei tempi, dovevano entrare nel locale da ingressi secondari, perché allora non ci si poteva far vedere mentre si andava a bere.

Molto più di un bar quindi?

Si, e non si pensi che viviamo di rendita. Il periodo è difficile per tutti, ma si continua a guardare al futuro: in occasioni speciali ospitiamo giovani emergenti, i barman di domani. Perché essere un luogo storico vuol dire anche stare al passo con i tempi.