“I suoi sostenitori pensano di conoscerlo ma la verità è che Julian non è un fenomeno, non è un eroe né un simbolo. Julian è un uomo che crede nel potere della verità”. John Shipton parla così di suo figlio, Julian Assange, in un passaggio nel docufilm appena uscito intitolato Ithaka: a fight to free Julian Assange. John, da quando Julian è stato prelevato dall’Ambasciata dell’Ecuador, sta lavorando duramente affinché un giorno suo figlio possa finalmente trovare la libertà. Il docufilm diretto da Ben Lawrence è stato proiettato il 2 febbraio al teatro cinema Ariosto di Milano e racconta la storia del fondatore di Wikileaks attraverso una prospettiva familiare. La prima italiana precede la giornata chiave per capire cosa aspetta Julian Assange: il 20 febbraio è attesa l’ultima udienza di due giorni del’Alta Corte del Regno Unito. Se il ricorso del fondatore di Wikileaks sarà respinto, Assange potrà soltanto rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo prima di essere estradato negli Usa.
Il 20 febbraio è attesa l’ultima udienza di due giorni dell’Alta Corte del Regno Unito. Se il ricorso del fondatore di Wikileaks sarà respinto, Assange potrà soltanto rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo prima di essere estradato negli Usa
Assange è detenuto nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, nel Regno Unito, dall’aprile 2019, in attesa dell’estradizione negli Usa dove rischia una lunga pena detentiva per aver rivelato, tra gli altri, i presunti crimini di guerra commessi dagli Usa durante le guerre in Afghanistan e Iraq e le condizioni dei detenuti nel carcere di Guantanamo, documentati nei 700mila file riservati pubblicati da Wikileaks a partire dal 2010.
Il docufilm ha impegnato le persone più vicine ad Assange: suo padre e la compagna di Julian, Stella Maris. Lawrence ha seguito la vicenda molto da vicino nei momenti cruciali delle udienze e degli incontri diplomatici dei protagonisti. Ha posto domande dirette e per questa ragione si è più volte scontrato verbalmente con John. È infatti emerso il suo carattere ruvido ma mite, la sua dialettica scarna ed esaustiva. Si rivede molto nel figlio “anche perché non serve conoscerli bene per capire che sono molto simili”. Queste le parole di Stella, che vive sola con i due figli – avuti con Julian – ormai quasi cinque anni.La Maris fa parte della squadra legale di Assange e, oltre a preparare le udienze di un processo estenuante, si prende cura anche della salute mentale di Julian. Quando i due si chiamano gli fa vedere il sole e il giardino, nella speranza che un giorno torneranno a vederlo insieme. L’opera di Ben Lawrence è riuscita a trasmettere gli sforzi emotivi di una famiglia che non vuole arrendersi. Lo fa per la salute di Julian, ma anche per quella dello stato dell’informazione. Sono pienamente consapevoli che ciò che fanno ha un orizzonte molto più ampio della prigione di massima sicurezza di Belmarsh, definita la Guantanamo britannica, dove Assange è rinchiuso dal 2019.
Nessuna poltrona vuota: la prima proiezione del 2024 a Milano è stata un grande successo. Al termine del docufilm, si è tenuto un interessante dibattito a cura del Comitato per la Liberazione di Julian Assange Italia e sono intervenuti Alessio Gasperini di Miracolo a Milano e Simone Sollazzo dell’Associazione Schierarsi Piazza Milano Nord-Est. Il confronto ha smosso gli animi degli spettatori che da uditori passivi ne sono diventati i protagonisti. Si è instaurato un dialogo intergenerazionale costruttivo e ci si è chiesti: cosa possiamo fare di concreto affinché Julian Assange venga liberato? Una signora dalla platea ha sostenuto l’importanza di diffondere la sua storia “noi siamo qui riuniti oggi perché la storia di Julian Assange la conosciamo. Il nostro obiettivo, tuttavia, in vista dell’ultima sentenza prevista per il 20-21 febbraio in Inghilterra dove sarà presa una decisione definitiva in merito all’estradizione di Julian negli Stati Uniti, dovrebbe essere quello di diffondere la sua storia e le ingiustizie che ancora oggi continua a subire”.
Per un attivista del comitato il passa parola avviene anche grazie alle spille e alle magliette, acquistabili con offerta libera in sala: “Chi indossa una maglietta con scritto ‘free Julian Assange’ non dovrebbe farlo solo nei momenti di protesta, alle manifestazioni o ai dibattiti. Non abbiate paura di mettere questa maglietta ogni giorno per andare a scuola, al lavoro, o in giro per strada. È solo così che abbiamo la possibilità di raggiungere l’opinione di chi non ci conosce”. Ed è proprio questo lo spirito che anima il Comitato che ha preso l’iniziativa di trasmettere il docufilm nelle sale cinematografiche italiane. Nonostante il caso Wikileaks dal 2008 abbia iniziato ad avere una certa notorietà in seguito alla pubblicazione di milioni di documenti secretati, oggi – soprattutto tra le nuove generazioni – la verità è che pochi conoscono la storia di Julian Assange, quella di Wikileaks e di coloro che assieme al suo fondatore hanno per sempre cambiato la sorte del giornalismo d’inchiesta. È importante cercare di capire le ragioni per cui il rischio della sua estradizione è sempre più concreto perché, se la corte inglese dovesse decidere di consegnare Assange agli Stati Uniti, le accuse a suo carico gli garantirebbero il carcere a vita e, viste le sue condizioni fisiche e mentali, la sua incolumità sarebbe seriamente a rischio.
Il Comitato per la Liberazione di Julian Assange in Italia ha organizzato una serie di proiezioni del docu-film Itaka, di cui la prima a Milano, e una grande manifestazione il prossimo 20 febbraio di fronte al Consolato britannico in piazza Liberty
Il fondatore di Wikileaks, organizzazione internazionale senza scopo di lucro che raccoglie in forma anonima – grazie ad un avanzato sistema di crittografia – documenti coperti da segreto di stato, è accusato di aver diffuso documenti riservati sulle attività militari e diplomatiche di Washington condotte in Iraq e Afghanistan tra il 2004 e il 2009, non solo perché pubblicare documenti secretati è illegale ma anche perché, secondo l’accusa, la loro pubblicazione ha messo in pericolo il personale civile e militare che ha partecipato alle missioni interessate nonché tutti coloro che hanno collaborato con le forze occidentali.Sono stati contestati a Julian Assange 18 capi d’accusa, sulla base delle disposizioni dell’Espionage Act del 1917. Nei documenti pubblicati, tutt’ora consultabili sul sito web dell’organizzazione, sono state rese note gravi violazioni dei diritti fondamentali dell’individuo, sono stati riportati crimini di guerra, casi di abusi di potere e di corruzione. Per questa ragione, quando nel 2021 in vista della prima richiesta di estradizione – bloccata dall’Inghilterra -, fu chiesto a Julian Assange il motivo che lo avesse spinto a pubblicare lui rispose: “I cittadini del mondo hanno il diritto di sapere la verità sui potenti che li governano perché solo così potranno sviluppare un reale pensiero critico e prendere quindi decisioni consapevoli. Abbiamo deciso di pubblicare perché questo materiale è di interesse pubblico.”
L’estradizione di Assange non metterebbe in pericolo solo la sua vita – già appesa ad un filo – ma costituirebbe un gravissimo esempio di soffocamento della libertà di informazione che dovrebbe essere garantita nei paesi democratici ed è per questo che è fondamentale il sostegno dell’opinione pubblica mondiale così come della comunità accademica. Le prossime proiezioni del docu-film sono previste per l’8 febbraio al Cinema Multisala Troisi (ore 20,45 Piazza Generale dalla Chiesa, San Donato) e il 15 febbraio (ore 20,45 Centro Internazionale di quartiere, via Fabio Massimo 19) ed è stato inoltre prevista una manifestazione il 20 febbraio dalle ore 17 – giorno della prima udienza in Inghilterra – di fronte al consolato britannico in piazza Liberty a Milano.