E se San Siro non fosse solo come la raccontano i media? Una periferia considerata tale in quanto messa ai margini della città, ma, a tutti gli effetti, uno tra i quartieri di Milano meglio collegati con il centro, complice sicuramente il fatto di ospitare uno stadio da 75mila posti a sedere. Ma la San Siro delle case popolari di Aler (Azienda Lombarda Edilizia Residenziale Milano), di piazza Selinunte e via Zamagna si porta in dote lo stigma dell’immigrazione e della microcriminalità amplificato dal racconto che se ne fa ogni qualvolta i riflettori della stampa illuminano quella zona.

Il festival “Che Storia!”, organizzato dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, dedica San Siro una delle sue passeggiate urbane, per dare voce a coloro che quotidianamente si impegnano nel costruire nuovi ponti tra le tante anime che popolano le strade del quartiere.

Per tentare di sfatare questi falsi miti, il festival “Che Storia!”, organizzato dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, ha dedicato a San Siro una delle sue passeggiate urbane, per dare voce a coloro che quotidianamente si impegnano nel costruire nuovi ponti tra le tante anime che popolano le strade del quartiere. A fare da Cicerone, Christian Elia, giornalista e codirettore di Q Code Mag, una piattaforma di freelance che si occupa di esteri, cultura e diritti.

KINLab

La prima tappa del percorso è il KINLab di piazza Segesta, un luogo creato da e per gli abitanti del quartiere. Aperto a fine 2021 da un collettivo di associazioni culturali, dopo la vittoria del bando comunale “Nuove Luci a San Siro”, si trova alla base di un edificio cilindrico di otto piani. Il motto «Generiamo relazioni impreviste per moltiplicare presenti sostenibili» sintetizza la volontà del progetto: recuperare uno spazio abbandonato da oltre vent’anni e restituirlo alla cittadinanza. Attraverso le ampie vetrate al piano strada, le persone possono incuriosirsi delle attività che avvengono all’interno, entrare e dare vita a nuovi rapporti. «Lo spazio è diviso in tre – spiega Zoe Romano, l’anima di questo progetto –.Da una parte, un mini “fab lab” che può diventare sartoria, fabbricazione digitale, falegnameria, serigrafia. Dall’altro lato, un’area di social co-working per recuperare un po’ di soldi per le spese fisse, circa 1500 euro al mese, abbiamo deciso di affittare alcune scrivanie. Al centro ospitiamo corsi, workshop, presentazioni di libri».

Alfabeti 

Addentrandoci nel cuore del Quadrilatero arriviamo in via Filippo Abbiati. Sulla stessa lingua di asfalto si affacciano da un lato i caseggiati con le facciate ritinteggiate, dall’altro, i muri si scrostano e i graffiti ricoprono i primi piani degli edifici. Anche qui, al centro del quadrante orientale, è sorta una realtà che fa dell’inclusione la sua ragione di vita. Giovanni Pianetta presiede Alfabeti, un’organizzazione di volontariato che dal 1995 (su Magzine.it ne avevamo già parlato nel 2015). «San Siro è un quartiere molto frammentato dal punto di vista sociale – spiega Pianetta –: da piazzale Brescia fino a Segesta e piazza Selinunte è un quartiere popolare, oltre lo stadio invece c’è la zona residenziale con le villette. Questa è una zona di forte immigrazione, principalmente araba ed egiziana. Quasi trent’anni fa un gruppo di cittadini si è reso conto che la prima cosa da fare era insegnare l’italiano agli immigrati e ha fondato questa scuola popolare».Alfabeti oggi ha attivato due corsi: uno mattutino riservato alle donne arabe, «che altrimenti non uscirebbero facilmente di casa», e un altro serale aperto a tutti a partire dai 17 anni. «Oggi la sede dell’associazione è in un negozio Aler di sessanta metri quadri, per cui paghiamo un affitto di oltre 600 euro al mese. Un prezzo sociale, dicono», ironizza il presidente.

Il Politecnico 

Oltre al viavai dei residenti di San Siro, da alcuni anni c’è uno spazio adibito a vera e propria ricerca. L’Off campus, questo il nome dell’iniziativa promossa dal Polimi, è attivo dal 2019 ed è presenza costante sul territorio: rappresenta una sfida sociale a tutti gli effetti. Christian Elia spiega il progetto mentre ci si dirige verso la prossima tappa: «Il racconto delle comunità è diventato così importante che andava in qualche modo valorizzato e ascoltato. Da questo nasce la mappa del quartiere, della parte di popolazione che non si sente raccontata».  Anche la comunità italiana storica del quartiere avverte una forte marginalità. Il disagio viene quindi riassunto con un identikit: l’uomo bianco di cinquant’anni che è uscito dal mondo del lavoro e non è mai riuscito a rientrarci ad un sentimento di rivalsa tradotto in musica, da qui il genere trap e rap. Ma non sono solo le storie a essere mappate dai ragazzi del Politecnico di Milano: si parla anche degli alloggi e degli abusivismi che è facile pensare che esistano in un quartiere popolare. Come Segesta, simbolo della divisione in due del quartiere, passiamo davanti alla vecchia centrale termica: ora totem e monumento. «Parlare di 85 nazionalità non vuol dire parlare di 85 isole scollegate. C’è la prima generazione che è venuta qui per lavorare e una seconda generazione che ha una lingua comune, l’italiano, ma si sente confinato in quello stigma che forse tanto italiano non è», conclude Elia. Nel quartiere San Siro c’è tutto un movimento di realtà che, dal basso, si forma e che lo fa per lo stesso quartiere. 

Cascina Case Nuove 

Ed è proprio dal basso che è partito il progetto per riqualificare una delle zone più antiche del quartiere: Cascina Case Nuove. Una cascina incastonata dal 1600 in una Milano che nel corso del tempo non ha seguito il suo verso: le abitazioni sono state costruite tutte intorno ma in obliquo. A presentarci il progetto privato della Fondazione Terzoluogo in via Paravia è Magda: «Tre macro-aree di intervento: una biblioteca, subito data in gestione al Comune di Milano e al suo sistema bibliotecario, un’area di servizi per l’infanzia, con giardino annesso, e una parte dedicata a laboratori di formazione per tutte le età». L’idea è che questa grande cascina – tremila metri quadrati – possa diventare una piazza del sapere, con gli archi in entrata e il ritrovo dei residenti al centro. «Ci piacerebbe restituire questo punto di incontro alla città e al quartiere che ne ha tanto bisogno», continua Magda. Come ogni grande idea ci sono anche le grandi sfide: si tratta di un progetto di alleanza tra pubblico e privato. Il punto a favore è che, essendo un progetto partito dall’idea di un privato, non si cerca un ritorno economico ma i tempi dilatati del ministero vedono la partenza del cantiere sempre molto lontano. Per ottimizzare il tempo di attesa, in parallelo all’avanzamento del progetto, è in atto un percorso partecipativo di ascolto, consultazione e coinvolgimento attivo nel processo di realizzazione. Il quartiere chiede e Magda risponde. 

Spazio di Mutuo Soccorso

L’ultima tappa di questa passeggiata alla scoperta del quartiere San Siro di Milano è lo stabile che ospita lo Spazio di Mutuo Soccorso. Associazione nata nel 2020 da persone incapaci di rimanere indifferenti alle difficoltà che poco a poco inghiottiscono Milano e le persone che vi risiedono. Oggi, come tre anni fa, continuano a dare una mano a chi è senza fissa dimora, in attesa di una casa e in cerca di costruire la loro vita. Oltre 300 volontari a lavoro per garantire un pasto caldo e pacchi di vestiario a chi non ha nulla. Nel palazzo occupato risiedono circa 80 famiglie: «Si parla di famiglie in attesa che la graduatoria delle case popolari scali e da altri rifugiati ucraini abbandonati dalle istituzioni – ci spiega Marta, portavoce dell’Associazione – Si pensi che a queste famiglie scappate dall’atrocità della guerra, venivano dati 300 euro al mese. Per tre mesi. Poi nulla, venivano abbandonati a loro stessi». Ed è qui che entrano in gioco i ragazzi del Mutuo Soccorso. 

Questo è l’ennesimo ponte che cerca di collegare la dignità della vita a tutti quelli che girano come trottole nelle nostre strade, spesso all’ombra di ogni discorso retorico. Affamati di verità.