Una Washington blindata nel timore di nuovi attacchi interni, 200 bandierine ben allineate sul prato del National Mall per sostituire chi non ha potuto partecipare all’evento e l’assenza assordante di un ex presidente che ha assistito alla cerimonia dalla sua residenza in Florida.

Sono queste le immagini di un Inauguration Day che ha segnato in modo indelebile la storia americana. Il 20 gennaio 2021 alle 11:45 (ore 17:45 italiane) il 46esimo Presidente degli Stati Uniti d’America, Joseph R. Biden Jr. ha giurato davanti al giudice della Corte suprema John Roberts, poggiando la sua mano sulla Bibbia di famiglia, datata 1893, sorretta dalla first Lady Jill. Poco prima, il neovicepresidente Kamala Harris ha fatto lo stesso, pronunciando il tradizionale giuramento sulla Bibbia di Thurgood Marshall, primo afroamericano a diventare giudice della Corte Suprema.foto insediamento biden

«This is America’s day. This is democracy’s day» («Oggi è il giorno dell’America, il giorno della democrazia») sono state le prime parole del suo primo discorso da Presidente degli Stati Uniti d’America. Ha poi continuato: «We’ve learned again that democracy is precious, democracy is fragile and in this hours, my friends, democracy has prevailed» («Abbiamo imparato che la democrazia è preziosa che la democrazia è fragile e in questo momento, amici miei, la democrazia ha prevalso»), sottolineando così la sua forte volontà di un cambio di rotta e facendo costante riferimento ai tragici avvenimenti del 6 gennaio scorso: uno sfregio alla democrazia americana.

È stato un discorso dai toni pacati e rassicuranti, in linea con la personalità del Presidente e in forte contrasto con i toni cui ci aveva abituato il suo predecessore. L’America si appresta a scrivere una pagina del tutto nuova della sua storia, ma possiamo parlare di una vera e propria rivoluzione? Francesco Costa, vicedirettore de Il Post ci ha risposto: «Joe Biden è un personaggio straordinariamente diverso da Donald Trump, per la sua lunga carriera politica, ma soprattutto per la sua persona. Molto di quello che fa un presidente passa attraverso le sue parole, i suoi messaggi, per l’esempio che dà. Può piacere di più uno o l’altro, ma è evidente che vi sia una fortissima diversità tra questi due personaggi. Ovviamente, dovremo vedere quanto Biden sarà in grado di mantenere le promesse che ha fatto, ma il Paese che ha descritto nel suo discorso di insediamento, è molto diverso dal Paese immaginato e promesso da Trump nel 2017».  Fausto Colombo, direttore del dipartimento di Comunicazione dell’Università Cattolica di Milano ha descritto Trump come un «homo novus», la cui era di disintermediazione non ha fatto altro che produrre un ritorno al tradizionale, con l’elezione di Biden descritto come «homo politicus». «Questa è la dimostrazione che l’America, in quanto paese estremamente complesso, è percorso da stili comunicativi non lineari, bensì sovrapposti», ha poi aggiunto.

Anche Giovanni Gobber, preside del dipartimento di Scienze linguistiche e letterature straniere dell’Università Cattolica di Milano ha sottolineato quanto le parole del neopresidente facciano appello alle radici dell’esperienza americana, più che a una rivoluzione in sé «Fin dall’inizio del suo discorso Biden fa riferimento a una “constant struggle”, “una lotta costante” tra l’ideale americano, secondo cui siamo stati creati tutti uguali, e una realtà fatta di razzismo, nativismo, paura e demonizzazione che dividono il popolo».

Subito dopo il giuramento, Biden ha firmato 13 ordini esecutivi e due azioni, tra questi il rientro degli Stati Uniti nell’accordo sul clima di Parigi, la revoca del Travel Ban nei confronti di alcuni Paesi a maggioranza musulmana, un provvedimento per mettere fine alla dichiarazione di emergenza che Donald Trump aveva utilizzato per reperire fondi destinati alla costruzione del muro al confine col Messico. Infine, due misure contro il virus: l’obbligo di indossare la mascherina all’interno degli edifici federali pubblici e la promessa di vaccinare 100 milioni di persone in 100 giorni.

Tuttavia, Biden trova davanti a sé un Paese fortemente diviso. Secondo uno studio della CNN, l’81% dei repubblicani, crede ancora alle parole dell’ex presidente repubblicano, considerando l’elezione di Biden illegittima. Per questo motivo, nel suo discorso, fa appello a un’unità sia tra i suoi elettori che tra coloro che non l’hanno appoggiato, tanto da istituire il 20 gennaio come nuova giornata dell’unità nazionale. «Biden lo ha detto nel suo discorso di insediamento – afferma Francesco Costa – “è sano che ci siano dei disaccordi in una democrazia, non penso che voi dobbiate essere d’accordo con me. Ma dobbiamo smettere di odiarci, dobbiamo mettere fine a questa guerra incivile”. Non lo farà tanto con gli obiettivi progressisti della sua agenda, che trovano, per natura, lo sfavore dei conservatori, quanto con il suo esempio. Credo che Biden proverà a far passare il suo lato umano e, attraverso quello, conquistare non la fiducia, ma quantomeno un’apertura di credito da parte di chi non l’ha scelto».

L’America che si risveglia con Biden non è un’America nuova, anzi, lo spettro di nuove insurrezioni non solo è plausibile, ma realistico. Non a caso, nel suo discorso, il neo-presidente ha mostrato uno stile dialogante. Come afferma Fausto Colombo «La scelta di una riconciliazione nazionale è stata compiuta più volte nel corso della storia, anche davanti a eventi più traumatici, come nel caso degli Stati Uniti, durante la guerra civile». Nonostante ciò, l’unica strada percorribile è quella che il Presidente descrive come «the most allusive of all things in a democracy: unity» («L’elemento più allusivo all’interno di una democrazia: l’unità»).