Vedi alla voce presenza. Nel vocabolario di Alberto Scanni, oncologo e padre di Matteo Scanni, la definizione di questo sostantivo è precisa: “Persistenza della memoria”. E onorare questa definizione è uno dei motivi che l’hanno spinto a scrivere il libro Quel che resta di te (Edizioni Ancora): 96 pagine in ricordo del figlio scomparso a 51 anni il 28 gennaio 2022, giornalista, fondatore del festival Dig e già direttore della Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica.

Durante la presentazione di Quel che resta di te, l’oncologo Alberto Scanni ha dialogato con don Tullio Proserpio e con il giornalista Luigi Ripamonti sul rapporto tra paziente e medico. Scanni: “L’ascolto sia insegnato a tutti i livelli, nelle scuole di giornalismo e nella medicina”

Tempo
Le parole messe nero su bianco, presentate al Cinema Teatro Wagner la sera dell’8 maggio, sono pesate con la sensibilità del padre e del medico. Così il ricordo del figlio Matteo diventa per Alberto Scanni anche una riflessione sulla sanità italiana e, soprattutto, sul rapporto tra medico e paziente. Tutto deve iniziare dall’ascolto, secondo Scanni. Instaurare un rapporto di questo tipo, però, richiede tempo e in un sistema in cui nella sanità pubblica il tempo è denaro e le parole tra chi cura e chi riceve la cura sono ridotte all’osso. “Il tempo del malato non è quello dell’orologio”, chiarisce Scanni per rispondere a Luigi Ripamonti, responsabile di Corriere Salute e moderatore dell’incontro. Trovare una soluzione per uscire dalla spirale non è però l’obiettivo del libro che vuole accendere una luce sotto cui iniziare a riflettere. Un punto per cominciare secondo don Tullio Proserpio, cappellano dell’Istituto dei tumori e advisor della Pontificia Accademia della Vita, è rientrare in “una prospettiva del mondo medico non troppo condizionata dal peso economico”.

Da Sinistra a destra:

Da sinistra a destra: don Tullio Proserpio, Alberto Scanni e Luigi Ripamonti durante la presentazione di “Quel che resta di te” al cinema teatro Wagner di Milano

Rigore
C’è un altro campo in cui ascolto dovrebbe essere la parola chiave: il giornalismo. Il parallelismo è nelle parole di Alberto Scanni: “L’ascolto dovrebbe essere insegnato a tutti i livelli, nelle scuole di giornalismo così come nella medicina”. Ciò che rimane di Matteo Scanni, secondo il padre, si può onorare con una parola: rigore. “È il suo più grande insegnamento, insieme alla coerenza nella ricerca della notizia”. Un filo rosso che la Scuola di giornalismo della Cattolica si sforza di portare avanti. Proprio come dopo l’ascolto di un malato il medico deve “elaborare quello che viene detto per produrre un discorso concreto ed empatico – spiega Scanni – , dopo la raccolta delle notizie ci deve essere una rielaborazione delle indagini, e solo poi una comunicazione rigorosa”.

Ricordo
“Ho iniziato a scrivere perché tutti mi chiedevano di farlo”, spiega il professore. Nel corso della presentazione si sono alternati gli interventi di amici, ex pazienti e colleghi di Alberto Scanni, tra memorie personali e riflessioni accademiche sulla funzione della cura e della medicina. “Ricordare vuol dire avere sempre in mente gli insegnamenti, avere presente la continuità della vita, che deve sempre coinvolgere le persone”, conclude il professore. Un esercizio collettivo che va incontro alla richiesta di Alberto Scanni, pronunciata all’inizio della serata: “Non voglio che questo sia un momento triste”.