Nuvola di ghiaccio
Una nuvola bianca che si abbatte su undici vite, spezzandole. È fatta di ghiaccio e neve e il 3 giugno scorso ha travolto gli escursionisti che si trovavano al di sotto del ghiacciaio della Marmolada, in Trentino-Alto Adige. I sopravvissuti ricordano un rumore sordo, poi il tempo di pensare a come fuggire, ma non quello per muovere i primi passi verso la salvezza. La memoria si interrompe, fino al risveglio e alla vista dei soccorritori. “Il ritiro dei ghiacciai è la manifestazione più evidente di un cambiamento climatico in atto, i cui effetti sono visibili anche in molti altri fenomeni che interessano il pianeta”, si legge in un comunicato congiunto del Comitato glaciologico italiano . Tradotto: ci saranno altri crolli e altri distacchi, se la comunità internazionale non sarà capace di invertire la tendenza. Nella nota Aldino Bondesan, Roberto Francese, Massimo Giorgi e Stefano Picciotti spiegano che la Marmolada “è il più grande ghiacciaio delle Dolomiti ed è un fondamentale termometro dei cambiamenti climatici per la sua rapida risposta anche alle piccole variazioni di precipitazioni e temperatura”. La tragedia del singolo evento ne cela una ancora più grande: il distacco di una parte della Marmolada è la punta dell’iceberg di un processo iniziato oltre settant’anni fa, che interessa tutti i ghiacciai italiani. In aggiunta, a differenza dei terremoti e delle frane, è quasi impossibile prevedere il crollo di un ghiacciaio: per questo gli esperti suggeriscono interventi strutturali, che affrontino la questione del cambiamento climatico.
La superficie dei ghiacciai si è ridotta del 30% negli ultimi sessant’anni e, avvertono gli esperti, il loro ritiro è il sintomo più evidente del cambiamento climatico
Foto di gruppo
Il più antico studio dei ghiacciai italiani risale al 1925: è la redazione di un elenco, cui è seguita due anni più tardi il primo atlante. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta il Comitato glaciologico italiano (CGI) ha curato tre edizioni, seguite negli anni Ottanta dal World Glacier Inventory. Tuttavia, lo studio più dettagliato risale al 2005, quando il Gruppo di Ricerca Glaciologica dell’Università degli Studi di Milano – insieme al CGI e Sanpellegrino – ha avviato una mappatura dei ghiacciai italiani basata sull’analisi di ortofoto a colori ad alta risoluzione, scattate fino al 2011. L’evoluzione dei ghiacciai viene studiata dal Comitato di glaciologia da metà degli anni Cinquanta e che mostra una chiara riduzione della superficie dei ghiacciai in tutto il paese. L’istantanea ritrae un’estensione totale di 368 km2, distribuiti per sette regioni: Lombardia, Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta, Piemonte, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Abruzzo.
Studiando l’evoluzione dei novecentotre ghiacciai fotografati, si nota in tutte le regioni una notevole riduzione della superfice.
Il cambiamento più importante si osserva in Valle d’Aosta, dove si passa da 174 km2 di estensione glaciale nel 1957 a 132 km2 nel 2015: una diminuzione del 24%, che sul totale della riduzione nazionale pesa il 30%. In tutte le regioni si può osservare lo stesso trend.
Ha in parte resistito alla riduzione l’Adamello, il ghiacciaio più esteso d’Italia. Si trova a cavallo tra la Lombardia e il Trentino-Alto Adige. La sua superficie misura 16 km2 ed è una delle tre che supera i dieci chilometri quadrati, insieme al ghiacciaio dei Forni (in Lombardia) e il Miage (Valle d’Aosta). I ghiacciai si dividono in tre tipi: ghiacciai vallivi, montani e glacionevati. Rispettivamente rappresentano il 3%, il 57% e il 40% dell’estensione totale.
La dimensione di questi tre ghiacciai è, però, un’eccezione. La maggior parte dei ghiacciai in Italia ha un’area piuttosto ridotta: 107 dei 368 km2 di superficie ghiacciata misura tra i due e i cinque chilometri quadrati . Per convenzione, i ghiacciai sono tipologizzati in sette classi dimensionali, utilizzate in tutta Europa. Si va dai ghiacciai con meno di 0.1 km2 a quelli con più di 10 km2. Dal 1957 al 2015 il rapporto tra le classi dimensionali è rimasto quasi inalterato, cioè il restringimento delle superfici ghiacciate ha interessato i ghiacciai di tutte le dimensioni.
Studiando l’evoluzione dei ghiacciai, si nota che il numero è aumentato negli ultimi decenni. Si è passati da 835 negli anni Cinquanta ai 903 attuali, ma non per questo bisogna pensare di essere in presenza di un dato che smentisce il trend di stabile diminuzione della superficie glaciale. L’incremento nel numero è dovuto soprattutto alle frammentazioni causate dall’innalzamento delle temperature: accade di frequente durante le fasi di deglaciazione che un ghiacciaio di medie-grandi dimensioni si rompa in piccole parti, che in seguito incominciano a sciogliersi. Per avere il polso dello stato di salute dei ghiacciai, è preferibile infatti studiare l’estensione complessiva delle superfici ghiacciate, che si è ridotta del 30%. In cifre, vuol dire una riduzione di 158 km2. Le riduzioni più significative, a livello percentuali, si registrano in Piemonte e in Friuli-Venezia Giulia, dove superano il 40%.
Un buon modo per tenere sotto controllo l’innalzamento delle temperature, cioè il cambiamento climatico, è studiare l’evoluzione dello zero termico. Questa misura segna l’altitudine a cui la temperatura raggiunge gli zero gradi. Grazie ai radiosondaggi, un preciso metodo di misurazione di diverse variabili atmosferiche, è evidente come almeno dal 1980 lo zero termico è in lento ma costante aumento, soprattutto nei mesi estivi. Uno zero termico in crescita si traduce in maggiori probabilità di scioglimento o di distacco dei ghiacciai. Prendendo la media dello zero termico tra il 1980 e il 2010 e confrontandola con la stessa temperatura del solo 2015, si nota un innalzamento medio di circa 300 metri , con un considerevole picco nel mese di luglio, di 569 metri.
Fare previsioni sui prossimi studi sullo scioglimento dei ghiacciai è molto difficile, ma secondo il CGI “se saranno confermati gli attuali andamenti anche nei prossimi anni, è molto probabile che il ghiacciaio della Marmolada scompaia prima del 2040”. Fino a pochi anni fa si pensava che ciò sarebbe avvenuto non prima di cento o duecento anni. In attesa di vedere se queste aspettative troveranno conferma, gli esperti sottolineano l’urgenza di agire sul piano internazionale e sovrannazionale, impegnando stati e organizzazioni a ridurre gas-serra per mitigare il riscaldamento terrestre . La gestione di tale processo non può che essere appaltata a un’agile ma strutturata governance multilivello, con obiettivi di medio e lungo periodo che possano essere verificati e aggiornati periodicamente perché, conclude il Comitato glaciologico italiano, “la progressiva accelerazione del ritiro impone una revisione degli scenari climatici più ottimistici predisposti dagli scienziati”.