La scena è pronta per lo spettacolo politico in due atti di questa primavera. Gli occhi delle cancellerie d’Europa sono già puntati su Amsterdam e Parigi, che andranno al voto rispettivamente il 15 marzo e il 23 aprile (con ballottaggio il 7 maggio). Sarà il momento decisivo per Geert Wilders e Marine Le Pen, i leader dei partiti antisistema in Olanda e in Francia, che tentano la spallata per arrivare al governo. Con un’intenzione chiara: andare a rovesciare il tavolo anche a Bruxelles.

Uno è il Donald Trump d’Olanda. Con il tycoon americano ha in comune l’acconciatura bizzarra, lo slogan “Make The Netherlands great again” e la volontà neanche troppo celata di allontanare i musulmani dal suo Paese: a questo scopo ha girato anche un documentario, Fitna. Il fondatore del Partito per la Libertà è anche fresco di condanna per incitamento alla discriminazione per i suoi insulti contro i marocchini. L’altra è la figlia di Jean Marie le Pen, fondatore dello storico partito dell’estrema destra francese. Marine si è presa il partito e lo ha plasmato a sua immagine e somiglianza: è la “dédiabolisation” o normalizzazione del partito filofascista del padre. Jean Marie ha provato a mettersi di traverso, ed è stato cacciato.

Dopo aver capitalizzato al massimo le conseguenze degli attentati terroristici di questi anni in Europa, facendosi portabandiera della sicurezza, Wilders e Le Pen si trovano ora a dover convincere gli elettori sulla totalità del loro programma politico. Cosa hanno in comune un olandese e un francese che voteranno Partito della Libertà e Front National? L’avversione nei confronti dell’Unione Europea e, per estensione, della globalizzazione. Non a caso il Front National di Marine Le Pen e il Partito della Libertà di Geert Wilders sono uniti al Parlamento europeo nel gruppo “Europa delle Nazioni e delle Libertà”. È stata la capacità di politicizzare questo tema a rendere competitivi i due leader, che in pochi anni hanno rotto lo schema bipolare destra-sinistra: la crociata comune contro l’establishment fa più presa delle loro divergenze in campo economico.

Anche perché un programma economico vero e proprio, Geert Wilders non ce l’ha. Da sempre sostenitore dei tagli alla spesa pubblica, interpreta la parola conservatorismo come protezione delle libertà olandesi: dai matrimoni gay alla legalità della prostituzione e del commercio di stupefacenti. A leggere il suo programma (una sola pagina sul sito del suo partito, il PVV) si trovano continui riferimenti al controllo delle frontiere e alla lotta senza quartiere al radicalismo islamico. Ma non si va molto oltre un taglio dell’imposta sul reddito e degli investimenti in mulini a vento, per privilegiare l’assistenza agli anziani.

In campo economico la Le Pen si trova più a sinistra dell’erede di Nikolas Sarkozy, François Fillon, dato in vantaggio negli ultimi sondaggi. Tra i due è lei a sostenere il welfare (che sarà disponibile per i soli francesi) e a schierarsi contro la Loi Travail (il Jobs Act francese). È Fillon a proporre tagli di tasse alle imprese e licenziamenti dei dipendenti pubblici in eccesso, mentre la sinistra francese, spaccata in tre poli, per ora può solo rincorrere. Il partito Socialista è nel pieno delle primarie per decidere il candidato alla successione di François Hollande (il favorito rimane l’ex primo ministro Manuel Valls), mentre Emmanuel Macron (ex ministro dell’economia) ha fondato un suo movimento, “En Marche”. L’estrema sinistra guarda invece a Jean-Luc Mélenchon e al suo Front de Gauche. Storicamente il sistema elettorale a doppio turno sfavorisce il Front National perché centrodestra e centrosinistra si uniscono nell’“alleanza repubblicana” per contrastare il Front nei ballottaggi, come è accaduto alle ultime regionali: il Front National era il primo partito a livello nazionale e in alcune regioni, ma non ne ha conquistata nemmeno una.

Wilders, invece, è chiamato a sovvertire la storia politica olandese: raggiungere la maggioranza assoluta in un sistema proporzionale, cosa che non è mai accaduta nel paese dei tulipani. Come in Francia, anche in Olanda il testa a testa sembra essere fra il PVV, cioè il Partito per la Libertà di Geert Wilders, e il centrodestra di Mark Rutte (VVD), che oggi guida un governo di grande coalizione con il partito socialdemocratico (PVDA). La difficoltà di trovare un accordo politico con i suoi avversari dopo il voto – soprattutto sull’atteggiamento da tenere nei confronti di Bruxelles – rende anche meno realistiche le minacce di Wilders: un referendum per la “Nexit”, l’uscita dell’Olanda (Netherlands) dall’UE. Il discorso è diverso per Marine Le Pen – che parla di Frexit dallo scorso  giugno – e che ha già detto che in caso di vittoria alle elezioni andrà a Bruxelles a chiedere una revisione completa dei Trattati. L’Unione, nella sua testa, è un semplice insieme di accordi fra Stati, che non interferiscono sulla sovranità nazionale e monetaria degli aderenti. Questa è l’idea di Marine Le Pen, che se non riuscirà a negoziare, chiamerà un referendum sulla Frexit.

A pochi mesi dalle urne, si aspettano gli ultimi colpi di scena. La vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti ha messo più pressione su chi come lui negli Usa, tenta la scalata al potere in Europa. Alle etichette di “partiti di protesta” e “populisti di destra”, si è aggiunta però la consapevolezza che, comunque vadano le elezioni, Marine Le Pen, Geert Wilders e i loro omologhi non siano delle comparse sul palcoscenico europeo.