«Dopo la caduta del Muro di Berlino, l’Ue pensava di “essere circondata da un anello di amici”, ma si è ritrovata “circondata da un anello di incendi e di instabilità». Le parole pronunciate dall’Alto Rappresentante dell’Unione Europea Borrell suonano come un monito. Di fronte alle sfide di un sistema globale che appare sempre più imprevedibile, l’Europa è tornata ad interrogarsi su come poter creare una difesa comune per garantire la propria sicurezza.
Un primo tentativo: la CED
La creazione di una Comunità Europea di Difesa (CED) era nei piani degli Stati del vecchio continente già dopo la Seconda Guerra Mondiale. Le tensioni della Guerra Fredda e la minaccia di una possibile invasione sovietica avevano portato gli Stati a pensare che fosse vitale creare un Europa sempre più unita, e di pari passo con l’integrazione economica anche quella di difesa doveva essere uno degli strumenti per raggiungere questo obiettivo. Un piano in tal senso fu elaborato da Jean Monnet, ideatore del Piano Schumann che già aveva portato alla costituzione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio. Il Trattato istitutivo della CED verrà firmato il 27 maggio 1952 a Parigi, ma non entrerà mai in vigore a causa della mancata ratifica da parte della Francia che, coinvolta nel frattempo nella guerra d’Indocina, dopo la morte di Stalin non vedeva più nella CED una priorità.
Nel frattempo la protezione dell’ombrello nucleare americano aveva portato gli Stati a concentrarsi sull’integrazione economica, mentre il progetto di una difesa comune ha attraversato ulteriori fasi di sviluppo senza mai giungere ad una soluzione definitiva. In ogni caso, una tappa significativa di questo sviluppo fu l’introduzione della clausola della difesa reciproca, introdotta con il Trattato di Lisbona nel 2009, la quale prevedeva che qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso in conformità dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite.
L’invasione dell’Ucraina e la crescente sfiducia verso la Nato hanno reso sempre più forte la necessità di una Comunità Europea di Difesa
Perché è necessaria una Difesa Europea?
Nel contesto di oggi la questione della sicurezza è tornata a farsi sentire alla luce dell’invasione russa dell’Ucraina. Basti pensare che la Danimarca ha esteso la coscrizione obbligatoria alle donne, provvedimento che entrerà in vigore nel 2026, mentre Finlandia e Svezia, per tradizione neutrali, hanno fatto il loro ingresso nell’Alleanza Atlantica.
Ma non è solo la percezione del “pericolo russo” che ha spinto l’Europa a riproporre il tema della Difesa Comune. Se è vero che le alleanze si fondano sulla fiducia, quella nei confronti dell’alleato americano sembra essere venuta meno, specialmente in caso di una nuova presidenza Trump, portando a dubitare che la NATO sia davvero disposta a difendere l’Europa da un eventuale attacco russo: «E’ lo stesso discorso di quando alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale ci si chiedeva se fosse il caso di andare a morire per Danzica. In questo caso crollerebbe l’articolo 5 della NATO e dunque l’alleanza stessa, lasciando l’Europa in balia della Russia. Una difesa Europea oggi è un’urgenza straordinaria per poter garantire la nostra sicurezza, specie perché i singoli Stati nazionali non sono più in grado di farlo da soli», afferma il direttore di Euractiv.it Roberto Castaldi.
Gli ostacoli da superare
Nonostante le tensioni internazionali e la sfiducia della Nato sembrino aver reso evidente l’importanza di costituire una difesa europea autonoma, alcuni dei fattori che ne hanno ostacolato la costituzione sono da ricercarsi proprio nell’Unione stessa. Secondo Maurizio Boni, già generale di corpo d’armata dell’Esercito, giornalista pubblicista e opinionista di Analisi Difesa: «Dopo il secondo conflitto mondiale, se è stata relativamente più facile l’integrazione economica, molto più difficile è stato fissare una politica estera e di difesa comune, specie a causa del protagonismo di alcuni Stati, specialmente quelli più importanti storicamente nello sviluppo dell’UE, che vogliono imporre la loro visione. Un caso lampante è la Francia che non ha mai nascosto il suo desiderio di porsi come guida militare dell’Europa».
Le parole del generale sembrano essere confermate da un aneddoto, risalente al 1958, che narra che durante un colloquio con il giornalista Indro Montanelli, l’ambasciatore italiano Pietro Quaroni e il presidente francese Charles de Gaulle, quest’ultimo avrebbe affermato: «Signori, la Francia, per diventare la Francia, ha speso sei secoli di Storia e di sangue, e sessanta Re. E ora dovrebbe contentarsi di ridiventare un pezzo d’Europa e basta?».
Ma se nel suo protagonismo Parigi può vantarsi di essere la maggior potenza militare continentale, dotata di un arsenale atomico e forte di un seggio permanente al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, qualunque stato dell’UE potrebbe rivelarsi un ostacolo alla creazione della Comunità di Difesa, indipendentemente dal suo peso militare. Sul tema della politica di sicurezza comune vige il principio dell’unanimità, cioè tutti gli Stati europei devono dare il loro assenso perché qualsiasi decisione possa essere presa «il principio di unanimità rischia in questo senso di diventare una “dittatura della minoranza” in grado di bloccare qualunque decisione. Bisognerebbe avere invece un sistema istituzionale che, votando a maggioranza, permetta di avere un governo europeo responsabile della politica estera e di difesa», commenta il direttore Castaldi.
Un altro problema sta invece nella modellazione di questa comunità di difesa. Essa dovrà essere costituita, come proposto tempo addietro dalla SPD tedesca, da militari europei in senso stretto oppure da contingenti nazionali impiegati sotto la bandiera Ue? Nel primo caso, come ci spiega il professore Andrea Locatelli, docente di Studi Strategici all’Università Cattolica di Milano, «non avrebbe molto senso come cosa perché rischierebbe di produrre dei doppioni. Sarebbe come dire che un soldato italiano diventa un soldato europeo mentre un altro resta semplicemente italiano. Ha più senso per esempio che le forze armate nazionali siano impiegate all’interno di missioni europee con una chiara catena di comando temporanea, e terminata la missione, queste tornino ad essere forze armate nazionali».
Una Comunità indipendente o sotto l’egida della NATO?
Mentre ci si interroga sul tipo di struttura che una Difesa europea dovrebbe avere, altro punto di discussione riguarda i rapporti che questa dovrebbe avere con l’Alleanza atlantica. Da un lato, gli Stati Uniti hanno da sempre invitato gli alleati del Vecchio Continente a impegnarsi maggiormente per la propria sicurezza, ma dall’altro lato. la creazione di un esercito europeo completamente indipendente dalla Nato pare alquanto improbabile, mentre sembra essere più in voga l’idea di una difesa europea in seno alla stessa Alleanza atlantica. Secondo il Generale Boni, «gli Stati Uniti vorrebbero un’Europa forte ma non troppo, un’Europa in grado di provvedere alla propria difesa ma che allo stesso tempo non contrasti con i loro interessi. Bisogna poi considerare il fatto che molti Stati europei fanno parte della Nato e una difesa completamente estranea potrebbe creare molte complicazioni perché i soldati di quella stessa Comunità farebbero parte allo stesso tempo dell’Alleanza atlantica».