La pietra d’inciampo è forse l’oggetto fisico che meglio riesce a fissare nella memoria il passato. Un passato che spesso viene ricordato solo parzialmente. Come nel caso dei popoli rom e sinti, tra quelli che hanno subito di più la ferocia nazista durante la Seconda guerra mondiale, ma la cui storia è passata in secondo piano. Ecco che l’iniziativa di realizzare la prima pietra d’inciampo in Italia dedicata a un rom sinti assume ancora più valore.

“Qui suonava Romano Held”. Così recita la prima pietra d’inciampo dedicata a un rom sinti in Italia”.

“Qui suonava Romano Held”. Il ricordo inciso in piazza della Libertà a Trieste è quello di un giovane musicista, che aveva il padre sinto e la madre di origini istriane. Romano aveva solo 17 anni quando venne caricato su un convoglio che da Trieste arrivò fino al campo di concentramento di Dachau. Dopo mesi di sofferenza, lontani dalla sua musica, l’arrivo degli americani gli permise di tornare nella sua Trieste, dove riprese a suonare nelle principali piazze della città, tra cui proprio piazza della Libertà, che divenne per lui una sorta di seconda casa fino al giorno della sua morte, a soli 21 anni. Troppe le ferite lasciate dalla permanenza nel lager, troppi gli strascichi di una vita disumana.

Una vita che però ora sarà ricordata grazie a una lunga collaborazione tra l’Unione delle comunità romanes in Italia e l’Unione giovani ebrei italiani, sotto la guida di Luca Bravi, ricercatore che da anni studia il genocidio delle popolazioni balcaniche per mano dei nazisti. “È un passo fondamentale – dice soddisfatto Bravi – perché apre lo spazio per la memoria di sinti e rom in un luogo dove la comunità che ha quella memoria vive e ha vissuto, non dove non c’è nessuno che possa apprezzarla, curarla e darle significato”.

Luca Bravi, ricercatore che ha promosso l’iniziativa: “È un passo fondamentale per dare spazio alla memoria di rom e sinti, in un luogo che possa apprezzarla, curarla e darle significato”.

Trieste, terra di confine che per il nostro Paese costituisce un ponte per i Balcani, rappresenta una prima volta. Di solito, infatti, le pietre d’inciampo vengono collocate davanti all’abitazione del deportato, ma nel caso di Romano si è scelta piazza della Libertà, meta d’arrivo per migliaia di persone che percorrono la rotta balcanica. Una linea sempre più trafficata, che solo nella frontiera triestina ha visto più che quadruplicare il numero di arrivi di rom e sinti negli ultimi tre mesi del 2022 rispetto allo stesso periodo del 2021.

La pietra d’inciampo di Romano Held segna quindi una novità, ma anche un simbolo di continuità con la natura nomade del suo popolo. Ed è questo uno dei motivi che lo ha condannato alla deportazione da parte dei nazisti. A rom e sinti veniva affibbiata la lettera Z, affiancata da un triangolo nero. Venivano chiamati “zingari” e “asociali”, nomadi per razza, rinchiusi nei ghetti e nei lager. Venivano prima incarcerati in Italia e poi deportati a Birkenau, dove il 2 agosto 1944, in una sola notte, vennero uccisi più di 4mila tra rom e sinti. Quello fu il giorno della cosiddetta “liquidazione dello Zigeunerlager”, la sezione del lager di Birkenau a loro riservata.

Alla fine della guerra furono 23mila i sinti e rom sterminati durante la Seconda guerra mondiale, tra i quali molti bambini. Rita Pigmore, deportata di origini sinti, fu prelevata dai tedeschi poco dopo la sua nascita. “Io e mia sorella siamo state portate via dalla Gestapo e sottoposte a esperimenti. A lei – prosegue Rita – avevano provato a cambiarle il colore degli occhi iniettandole dell’inchiostro”. Racconti che restano impressi nella memoria, proprio come la pietra di Romano che resterà incastonata per sempre.