Tre giorni di incontri, spettacoli e riflessioni: si è chiusa a Varese l’undicesima edizione del Glocal, il festival del giornalismo organizzato da Varesenews che pone al centro del dibattito una realtà in costante evoluzione: il giornalismo digitale.
La natura del festival è nel suo stesso nome: Glocal è qualcosa di proprio e particolare di una zona, che però è capace di sfruttare le opportunità offerte dai processi di globalizzazione per diffondersi a livello mondiale. L’evento ha visto susseguirsi trenta incontri ai quali hanno partecipato più di 115 relatori, per raccontare il presente, il futuro, ma soprattutto i limiti del mondo dell’informazione, come ha sottolineato lo stesso Marco Giovannelli, ideatore del festival e direttore di Varesenews: “Lo scoppio della pandemia e una forte crisi economica hanno mostrato i limiti del nostro modello di sviluppo e non solo di quello. Per questo, dopo aver affrontato il tema del tempo lo scorso anno, per l’undicesima edizione del festival, abbiamo scelto il tema dei limiti. Pensare al cambiamento, a nuovi progetti, a nuove imprese partendo dai limiti è ben diverso dal farlo in un contesto di crescita”.
Limiti che non riguardano esclusivamente la carta stampata, ma anche il web, come si è discusso in uno dei primi panel della giornata di venerdì: “Tra clickbait e influencer, i limiti della deontologia giornalistica”. Maria Cristina Reale, professoressa di sociologia del Diritto presso l’Università dell’Insubria, ha parlato della relazione che si instaura sui social media tra l’utente e l’influencer che si presta ad una campagna promozionale. Secondo la sociologa, si tratta infatti di una comunicazione di tipo verticale, che vede l’utente “disarmato” nei confronti dell’influencer. Quest’ultimo può infatti promuovere un determinato prodotto o servizio senza che l’utente se ne accorga, violando così uno dei principi che regola la comunicazione pubblicitaria: la trasparenza.
Dopo una breve spiegazione sul funzionamento dei meccanismi di mappatura che regolano la pubblicità sul web, il focus del discorso si è spostato poi sul ruolo delle recensioni false, e su come queste possano incidere nel processo di destabilizzazione del mercato. Sul tema è intervenuta Marisa Marraffino, avvocata esperta in diritto dell’informatica e privacy:
“Il fenomeno delle recensioni false è molto rilevante in Italia, a mio parere se ne parla poco, ed è un problema a livello economico che sarà sempre più diffuso”.
“Il fenomeno delle recensioni false è molto rilevante in Italia, a mio parere se ne parla poco, ed è un problema a livello economico che sarà sempre più diffuso. É importante capire però che possiamo ancora intervenire servendoci della piattaforma che ha un ruolo in quanto intermediario. Noi possiamo infatti metterla a conoscenza, qualora dovesse esserci una recensione falsa, del fatto che questa sta veicolando un’informazione che non corrisponde al vero. Se la recensione non dovesse essere veritiera, ci potrebbero essere gli estremi per querelare l’autore per diffamazione aggravata. Per quando riguarda invece i casi dei cosiddetti ‘finti follower’, si possono configurare anche i reati di sostituzione di persona o di truffa”.
Ma quanto è sottile il divario tra il dovere del giornalista a informare e il rischio di cadere in una comunicazione di tipo promozionale e quindi in una violazione del codice deontologico?
“Per quanto a volte sia difficile analizzare i vari casi, la pubblicità si può presumere. Se l’ipotetica apertura di uno nuovo negozio può far notizia, questa si potrà dare a patto che si stia attenti a non sconfinare mai il limite della pubblicità e quindi della promozione eccessiva di quel punto vendita. Se è vero che a volte il confine diventa sottile, ricordiamoci però che il giornalista ha un dovere di trasparenza e di terzietà e quindi non dovrebbe mai nemmeno ingenerare nel lettore il dubbio che si possa trattare di pubblicità. Oggi gli utenti sono forse anche più preparati rispetto al passato; quindi, questi episodi rischierebbero di compromettere il rapporto dei lettori con il giornale inficiando così l’intero sistema di informazione.””
Lorenzo Aprile
Ciò che più colpisce del festival Glocal è che si parla di giornalismo digitale e nuove frontiere dell’informazione tra le pareti affrescate di palazzi storici della città di Varese. Speaker come Alberto Puliafito, direttore di Slow News, e Simona De Luca, coordinatrice OpenCoesione, hanno infatti presentato le potenzialità del data journalism nella suggestiva cornice di Palazzo Estense, dalle cui sale si scorgono con chiarezza gli omonimi Giardini oggi dai colori autunnali. Tra caldi dipinti e lampadari di cristallo si è dunque discusso il ruolo dei dati all’interno delle redazioni di oggi e la loro traduzione giornalistica.
Il portale OpenCoesione è una delle numerose fonti che mettono a disposizione dei giornalisti informazioni sui progetti sostenuti dalle politiche di coesione, il tutto raccogliendo e semplificando graficamente numeri e dati. Il materiale così raccolto consente ai cittadini di valutare come vengono utilizzate le risorse rispetto ai bisogni dei territori e ai giornalisti di avere a disposizione una mole ordinata di informazioni che necessita solo di un’interpretazione e un racconto corretti.
Come ha infatti rimarcato nel suo intervento Alberto Puliafito, una banca dati aperta è sicuramente un buon punto di partenza da cui sviluppare il lavoro giornalistico ma non può bastare. C’è infatti bisogno di un progetto e di un metodo, che si ottengono solo dopo un’attenta formazione in materia. “Ad oggi sono pochi i corsi di matematica obbligatori per i giornalisti – spiega il direttore di Slow News -. Se fossero stati di più, durante la pandemia la gestione dei dati e la loro analisi mediatica sarebbero state migliori”.
Compito del giornalista è quello di farsi promotore e garante di un trattamento e un racconto dei dati veritieri, così che alla difficile interpretazione dei numeri si sostituisca l’immediatezza della parola.
Compito del giornalista è quindi quello di farsi promotore e garante di un trattamento e un racconto dei dati veritieri, così che alla difficile interpretazione dei numeri si sostituisca l’immediatezza della parola. Con il progetto “A Brave new Europe”, che analizza un ampio ventaglio di tematiche seguendo il metodo di Slow News, quello quindi dell’informazione lenta e approfondita, Puliafito e colleghi hanno fatto uso di uno dei tanti modi di traduzione del dato: ogni numero è stato infatti declinato sottoforma di storia, così da raggiungere anche chi ha poca dimestichezza con i numeri. A livello organizzativo, il progetto è la testimonianza che, nel creare un complesso prodotto comune a partire dai dati, giornalisti di testate e interessi diversi possono convergere a favore di un unico obiettivo, mettendo quindi da parte ogni logica di competizione.
Il data journalism scardina alcune delle “leggi storiche” non solo all’interno del mondo mediatico ma anche nelle amministrazioni, che spesso mettono a disposizione di portali come OpenSource delle banche dati trasparenti, senza nascondere eventuali criticità. Resta quindi al giornalista scegliere se raccontare una storia di successo oppure denunciare un problema di rilevanza sociale. È evidente, anche alla luce della pandemia, quanto sia importante il ruolo dei dati a livello giornalistico. Tra le mura della redazione, sarà sempre più preziosa la capacità di reperire i dati e dare ai numeri le loro parole, così che anche i nodi delle informazioni più complesse si sciolgano agli occhi dei cittadini.
Maria Colonnelli
Definire il metaverso. Riconoscere quali sono le sue opportunità e i suoi pericoli. Scoprire nuovi strumenti e metodi per un giornalismo sempre più innovativo. Il panel del festival Glocal dal titolo “Il giornalismo, il metaverso e il web 3.0” è stata un’occasione per capire se le notizie potranno inserirsi e diffondersi in uno spazio ancora inesplorato, uscendo dai classici mezzi di comunicazione per approdare in un’altra realtà.
“Internet sta cambiando perché noi pretendiamo sempre di più”
«Internet sta cambiando, perché noi pretendiamo sempre di più – dice Lorenzo Montagna, consulente e founder di seconda-stella srl –. Vogliamo vivere i contenuti. Per questo motivo oggi si parla di tecnologie empatiche». La differenza tra il metaverso, lo smartphone e il web è proprio la possibilità che viene data all’utente di esplorare, muoversi e conoscere l’ambiente che lo circonda. Per fare tutte queste azioni è indispensabile utilizzare un visore. «Fino a quando questo strumento non sarà alla portata di tutti ci sarà poco da fare per il nostro settore» racconta il direttore di Redat24.com e divulgatore digitale Giovanni Villino.
Un altro elemento che blocca l’entrata del giornalismo nel metaverso è la mancanza di un modello economico sostenibile. «È difficile sostenere queste nuove forme d’informazione, perché ci vogliono investimenti importanti. Sono progetti costosi a livello di contenuti, di strumenti e idee – prosegue Villino, anticipando come il giornalismo si potrà inserire un giorno in questa nuova piattaforma –. Secondo me anche il metaverso sarà selettivo. Oggi una persona si abbona a una testata per fruire contenuti unici e lo stesso avverrà nel metaverso».
Anche per Lorenzo Montagna lo scenario è lo stesso: «Chiunque potrà accedere alla piattaforma, ma nessuno ruberà il mestiere ai giornalisti. In un luogo in cui entriamo per esplorare nuovi ambienti e vivere esperienze, il contenuto dovrà essere di qualità e per questo motivo verrà realizzato esclusivamente dai professionisti. Bisognerebbe capire come si comporteranno gli editori in questi spazi». Giovanni Villino ha provato a immaginare: «L’editore potrà acquistare dei terreni e creare una redazione aperta a tutti. Qualsiasi utente avrà la possibilità di partecipare alle riunioni e osservare da vicino come viene costruito un giornale. Poi si potranno organizzare incontri, conferenze e vendite di prodotti tramite NFT».
Il non-fungible token è un tipo di gettone speciale, che rappresenta l’atto di proprietà di un oggetto del mondo reale in formato digitale come può essere un’opera d’arte o una borsa firmata. Non sono fungibili perché non sono intercambiabili e ogni passaggio di proprietà viene tracciato. «NFT sta diventando un nuovo oggetto del desiderio, perché è un pezzo unico. L’utente in questo modo compra qualcosa di esclusivo – spiega Montagna –. All’inizio era solo un bene digitale, ma adesso si sta legando a beni fisici come garanzia di originalità di un prodotto. Inoltre, NFT permette un’economia più trasparente. Per il giornalismo non è stato ancora utilizzato. Il vostro settore si deve ancora appropriare di questo linguaggio». L’assenza di una formazione professionale completa e al passo con le nuove tecnologie è un aspetto che anche Villino ha notato: «prendiamo come esempio i social. La maggior parte dei giornalisti si è ridotta all’auto-referenzialità assoluta. Dai selfie ai litigi sotto i post. Un comportamento che dimostra quanto la presenza del giornalista sui social non sia cresciuta come la consapevolezza degli utenti.
Dobbiamo prima conoscere gli strumenti che utilizziamo oggi per poter poi utilizzare le nuove piattaforme e inserirci nel metaverso in modo maturo. Quello che fa Glocal è esemplare e dovrebbe essere preso come metodologia di lavoro dall’Ordine dei giornalisti. La formazione digitale è fondamentale».
Sofia Valente