Valerio Bassan è stato tra i banchi di questa scuola di giornalismo e nella chiacchierata con lui i ricordi che riemergono sono molti. Una volta diventato giornalista professionista, la sua carriera si è evoluta notevolmente e l’ha portato a diventare, come racconta lui stesso, «una sorta di strategist»: si occupa di consulenze per alcune testate giornalistiche, soprattutto sul tema della sostenibilità economica. Ha creato anche una newsletter, Ellissi, in cui scrive di futuro dei media ed economia digitale. «A un certo punto mi sono reso conto che l’argomento in realtà faceva parte di un discorso ben più grande che è quello dei modelli business di Internet». Da qui l’idea del libro Riavviare il sistema. Come abbiamo rotto Internet e perché tocca a noi riaggiustarlo: «Stiamo attraversando un momento in cui i modelli che hanno caratterizzato il web negli ultimi 15 o 20 anni si sono evoluti – prosegue – voglio provare ad aiutare le persone per far capire loro cosa è successo e cosa possiamo fare per migliorare l’attuale scenario».  Cosa c’è, quindi, di sbagliato oggi?

L’interoperabilità contro il monopolio

Tutto ruota attorno ai dati che noi utenti forniamo alle varie piattaforme sulle quali siamo registrati. «Siamo cresciuti con la percezione che online fosse tutto un po’ gratuito, informazione e intrattenimento inclusi. Ora le cose stanno cambiando e ci siamo resi conto del valore, anche economico, dei dati». Bassan precisa che questa presa di coscienza è stata possibile dopo i grandi scandali che hanno coinvolto le piattaforme a livello di privacy.

Per provare a spiegare il reale funzionamento di Internet oggi, l’autore utilizza nel libro un parallelismo con la micorriza, ovvero «una rete sotterranea di interscambio di sostanze alimentari e segnali di pericolo tra funghi e piante». La domanda sorge quasi spontanea: cosa hanno in comune la micorriza e il web? Per Bassan questo concetto deve essere visto come un paragone con quello di interoperabilità, «una delle chiavi più importanti» della rete. Ecco quindi che quest’ultima, un po’ come le piante e i funghi, dovrebbe essere un tessuto in grado di connettere diversi servizi.

La realtà è però diversa: «Siamo in un’esperienza di Internet molto incentrata sui grandi monopoli delle cosiddette Big Tech, che sono essenzialmente delle piattaforme chiuse: hanno tantissimi soldi, tanto potere e quindi capacità di uccidere la competizione. Traggono poi un beneficio molto grande dalla quantità di dati che hanno e dal modo in cui poterli sfruttare». Secondo Bassan proprio l’interoperabilità sarebbe la giusta ricetta per rendere queste realtà meno monopolistiche, rimettendo anche le persone più al centro della cosiddetta user experience, di modo che lo scambio di dati non sia più di proprietà privata «ma in qualche modo nostro: non c’è nessun male a condividerli, ma dobbiamo avere un maggiore controllo di ciò che stiamo mettendo in comune».

Nonostante questi giganti della tecnologia, tra cui Google e Meta, sembrino quasi inattaccabili, Valerio Bassan spiega come il momento attuale sia invece propizio per provare a invertire questa tendenza e rendere quindi meno chiuse le piattaforme. «La pandemia ha sicuramente esplicitato quanto la rete sia fondamentale per il mantenimento del tessuto sociale. Quello che io auspico nel libro è che noi ci rendiamo conto di essere non solo utenti, ma proprio consumatori di questa tecnologia». La speranza di Bassan è che usando le piattaforme con un’ottica diversa ci sia più «responsabilità personale» nel fare delle scelte per mettere anche pressione a un mondo politico che più volte si è disinteressato della questione lasciando così le Big Tech libere di prosperare.

Negli ultimi anni, ci racconta Bassan, sono nate diverse piattaforme interoperabili e in cui l’utente è stato rimesso al centro. Una è Mastodon: “Social media radicalmente diverso, di nuovo nelle mani delle persone” recita parte del motto nella home page. Stanno nascendo anche dei sistemi alternativi a YouTube, tra cui PeerTube. La logica del sistema senza barriere è rappresentata da Texts.com: «è di proprietà di Automattic, si tratta di una piattaforma su cui con un solo login si può comunicare su tutte le altre: puoi inviare e ricevere messaggi da WhatsApp, Instagram, Telegram; è un concetto abbastanza rivoluzionario, di rottura di queste barriere e di apertura dei grandi blocchi che favoriscono il monopolio».

Giornalismo e modelli di business

Oltre che parlare del suo nuovo libro, Bassan ci ha fornito alcune personali prospettive sull’attuale situazione del giornalismo, legata alla necessità di trovare dei nuovi modelli economici per la rete. «Non c’è mai stato così tanto giornalismo disponibile. La quantità di persone raggiunte da contenuti di informazione è oggettivamente molto più alta rispetto a 50 anni fa: la barriera di accesso è molto più bassa, non devi per forza acquistare un quotidiano o collegarti a quell’ora specifica per il telegiornale».

Piattaforme e mondo dell’informazione sono strettamente collegati tra loro, spiega Bassan: il web ha inglobato gran parte del business che sosteneva storicamente i giornali. «Oggi molte testate si sono affidate a modelli pubblicitari che però richiedono tanti utenti per monetizzare. Questi contributi faticano ad arrivare». Il momento non è quindi dei migliori: molte piattaforme, tra cui Facebook, stanno disinvestendo sull’informazione e anche i giornali, secondo Valerio, devono «coltivare una community specifica: il tempo del generalismo assoluto è finito, solo poche testate riescono a sopravvivere rivolgendosi a tante persone convertendole in abbonati». Allo stesso tempo, però, ci sono molti divulgatori e content creator che senza il sostegno di una redazione alle loro spalle fanno informazione riuscendo ad avere un seguito sufficiente nelle loro nicchie così come testate medio piccole che con un modello di business sostenibile riescono a fornire contenuti di qualità ai loro abbonati.

In chiusura della nostra chiacchierata abbiamo voluto anche discutere di X: quando si chiamava Twitter era popolato da giornalisti, ma ora sembra proprio averne sempre meno. «Musk sta sperimentando una redistribuzione dei proventi pubblicitari ai singoli utenti, se sei abbonato a “X Pro” in base alle view dei tuoi tweet ricevi una sorta di cashback a fine mese». Il risultato? Post sensazionalistici. Tutto questo meccanismo per Valerio disincentiva la presenza di professionisti dell’informazione che usavano il social alla vecchia maniera, per trovare storie e testimonianze in caso di calamità naturali o grandi avvenimenti: «Non credo che questo faccia bene alla piattaforma sul lungo periodo».