Una malattia ingombrante e la speranza di trovare una terapia risolutiva: queste sono le motivazioni che alimentano l’attività di Fondazione per la Ricerca sulla Fibrosi Cistica. Un’associazione che è attiva da vent’anni sul territorio nazionale, con lo scopo di promuovere una corretta informazione scientifica e di sostenere la ricerca sulla patologia con una serie di iniziative, disseminate nel corso dell’anno. In particolare, per il corrente periodo pasquale è stata organizzata una vendita di uova e colombe, nonché di biglietti di auguri, vini e box di cioccolata. L’acquisto dei prodotti, provenienti dalla ditta siciliana Fiasconaro per i lievitati e dall’azienda Baiocchi Dolciaria di Ravenna per le pietanze in cioccolato, è ad offerta libera. Al netto di quanto necessario per coprire il costo degli alimenti, il resto del ricavato sarà interamente devoluto ai progetti di ricerca scelti dalla Fondazione.

La fibrosi cistica è una delle malattie genetiche rare gravi più diffuse: nel 2020, in Italia, si registravano 5.810 soggetti affetti. Si tratta di una patologia caratterizzata dalla presenza di un gene alterato, il CFTR (Cystic Fibrosis Transmembrane Regulator), a causa del quale il malato produce del muco eccessivamente denso che va ad ostruire le vie respiratorie e qualsiasi dotto, con potenziale danno di numerosi organi, specie quelli degli apparati respiratorio e digerente. Oltre a ciò, da questa situazione possono derivare numerose complicanze: colpi di calore, scompensi elettrolitici, disidratazione, aumento della frequenza cardiaca, affaticamento, debolezza, riduzione della pressione sanguigna,  crescita della probabilità di infezioni batteriche, malassorbimento dei nutrienti, osteoporosi, osteopenia e infertilità.

Ad oggi, esistono alcuni farmaci che riescono a correggere un po’ il difetto di base e a migliorare in parte la vita dei malati, ma si tratta di terapie applicabili soltanto ad alcune mutazioni e comunque non risolutive. Al punto che, per i casi di insufficienza respiratoria più grave, l’unica via percorribile resta il trapianto polmonare, che, però, nel migliore dei casi, può risolvere soltanto il problema a livello respiratorio e non anche sul piano genetico e comunque implica numerosi rischi, legati all’operazione e all’elevata probabilità di rigetto. Proprio per questo vi si ricorre soltanto nel caso in cui risultino non esserci più alternative.

«Ho fatto il trapianto di polmoni nel 2010 perché ormai la malattia aveva preso il sopravvento e l’insufficienza respiratoria era grave. Il trapianto era l’unica soluzione. Sono stata fortunata: è andato tutto bene e sono tornata a vivere. Ma la malattia non è scomparsa: prendo trenta pastiglie al giorno e so che ogni giornata del mio futuro resta un’incognita» racconta Nicla Bonardi, volontaria della Delegazione Franciacorta, uno dei distaccamenti territoriali della Fondazione. «Quando ho iniziato a stare meglio mi sono chiesta come aiutare gli altri, perché so quanto è ingombrante questa malattia. Vorrei che venissero scoperti dei farmaci per correggere il difetto di base, per evitare che i malati più giovani si vedano costretti a ricorrere al trapianto o corrano il rischio di non farcela». L’aspettativa media di vita per i malati di fibrosi cistica è, infatti, di 40 anni, ma sono in molti a morire prima di raggiungere questa età.

«Quando ho iniziato a stare meglio mi sono chiesta come aiutare gli altri, perché so quanto è ingombrante questa malattia», racconta Nicla Bonardi, paziente e volontaria del progetto

«Ho deciso di impegnarmi a favore della ricerca perché è una scienza in cui credo molto e che mi appassiona da sempre: anni fa mi sarebbe piaciuto fare la ricercatrice, avevo iniziato anche a studiare chimica e tecnologie farmaceutiche, ma la malattia mi ha impedito di proseguire» spiega Nicla, con una voce da cui traspare la speranza che un giorno la fibrosi cistica non condizioni più la vita di chi ne è affetto. «Anche solo le terapie che deve sostenere un malato sono molto impegnative: bisogna fare la fisioterapia respiratoria tutti i giorni, mattina e sera, a volte anche il pomeriggio, perché altrimenti il giorno dopo non si sta bene; e poi le flebo, i ricoveri, gli antibiotici» racconta. «Sono cure che portano via un sacco di tempo, sin da bambino, quando quelle ore dovresti invece spenderle per giocare al parco con i tuoi amici: per questo ogni singolo farmaco che potrebbe apportare un minimo miglioramento, una terapia in meno, un antibiotico in meno, è un gran passo in avanti».