Sono passati sei mesi dall’inizio della settima edizione del Triennale Design Museum di Milano, Auto da sé – Il design italiano tra autarchia, austerità e autoproduzione. È un viaggio lungo quasi un secolo, per studiare e capire il design nei periodi di crisi.

Silvana Annicchiarico (che ha fondato e dirige il museo dal 2007), è già in grado di tracciare un bilancio di questa edizione?
Sono molto soddisfatta. I riscontri di pubblico e critica, positivi, sono una conferma della forza e della attualità della tematica che ho scelto di indagare insieme al curatore, Beppe Finessi.

Cioè?
La peculiare capacità del design italiano di reagire alle crisi epocali dell’ultimo secolo, elaborando innovative strategie creative e produttive. Mi fa sempre piacere quando testate come l’International New York Times e Le Monde guardano a noi come esempio virtuoso di nuove modalità per un racconto museale del design. La soddisfazione più grande è vedere che, anno dopo anno, la formula del Triennale Design Museum come museo mutante si sia dimostrata vincente.

Ci spieghi meglio.
Ordinamenti, allestimenti e curatori sempre nuovi, nel tentativo di dare una risposta alla domanda aperta “Che cos’è il design italiano?”. Il Triennale Design Museum si va a comporre come un mosaico: di anno in anno si aggiunge una nuova tessera. L’effetto finale dovrebbe assomigliare a un polittico, cioè a una rappresentazione composta da tante tavole diverse, ognuna delle quali ha una sua autonomia e una sua compiutezza estetica e concettuale, anche se poi – osservate tutte insieme – danno vita a una veduta che, almeno nelle intenzioni, è molto più che la semplice somma delle parti che la compongono.

Quest’anno, però, ci sono anche dei cambiamenti nella forma ormai tradizionale di museo mutante.
Sì, quest’anno ho deciso di concludere il percorso espositivo con una sezione meno “mutante” e più “permanente”, che sta riscontrando anch’essa grande successo. La sezione dedicata alle Icone del design Italiano nasce con lo scopo di valorizzare la Collezione permanente del museo. Un patrimonio con il quale sono invitati di volta in volta a confrontarsi grandi maestri del nostro design, chiamati a individuare quelli che per loro sono i pezzi più rappresentativi e iconici.

E poi?
Bhe, da dicembre il museo rafforzerà la sua azione di valorizzazione di questo patrimonio presentando negli spazi del Belvedere della Villa Reale di Monza una selezione di circa 250 pezzi dalla sua collezione. In questo modo, ci si collega anche alle radici e allo storico legame fra Triennale e Monza, sede della prima Biennale delle arti decorative poi divenuta Triennale.

Nel realizzare questa edizione, cosa le è piaciuto di più?
Il tema della crisi ha permesso di scoprire e riscoprire straordinarie figure femminili come Bice Lazzari, Anita Pittoni, Antonia Campi, Marieda Boschi di Stefano e Rosanna Bianchi Piccoli. Ma anche la maestria produttiva di una regione come la Sardegna, per poi arrivare a quel design che si fa stringa alfanumerica con il download design, la prototipazione rapida e la stampa 3D. Credo che il pubblico apprezzi proprio questo sguardo obliquo sulle cose e l’evidente continuo scambio e dialogo tra tradizione e innovazione che il museo ha come missione.

Cosa avrebbe voluto fare che, invece, non è stato possibile ralizzare?
A dire il vero non ho particolari rimpianti e tanto meno ci sono aspetti del progetto che non siamo riusciti ad affrontare. Fedeli all’assunto dell’edizione del museo, abbiamo sempre e comunque fatto di necessità virtù, raggiungendo ottimi risultati.

Adesso il pensiero corre verso la prossima edizione, l’ottava, che avrà luogo dal 10 aprile.
Nel 2015, in occasione di Expo, il Triennale Design Museum sarà sinergicamente al servizio della città e dei temi proposti. L’edizione Cucina & Ultracorpi, a cura di Germano Celant e con l’allestimento di Italo Rota, sarà una grande mostra tematica che coinvolgerà tutti gli spazi della Triennale, nell’ambito del progetto del padiglione di Expo 2015 Arts & Foods.

Come nasce l’idea di Cucina & Ultracorpi?
Cucina & Ultracorpi s’ispira sin dal titolo al libro di fantascienza L’invasione degli Ultracorpi, scritto da Jack Finney nel 1955 e all’omonimo film tratto dal romanzo e girato da Don Siegel. Nella narrazione, gli alieni da invasori divengono cospiratori capaci di confondersi e insinuarsi tra gli abitanti della terra: entrano nel quotidiano degli esseri umani, attuando una rivoluzione interna e perciò endemica della società, invasa da forze aliene che si mescolano agli umani e ne assumono la forma per prendere il sopravvento. Analogamente, Cucina & Ultracorpi vuole raccontare la lenta quanto inesorabile trasformazione degli utensili da cucina in macchine e automi. Un’armata di invasori che è arrivata a sostituire molte pratiche umane del cucinare. Vorremmo tracciare l’evoluzione in Italia dei “cospiratori”, cucine ed elettrodomestici, dalla prima emergenza documentabile fino al 2015, anche in relazione a episodi della progettazione dell’industria internazionale.