di Laura Molinari, Alessandro Sarcinelli, Alessandra Lanza, Silvia Galbiati

Una ragazza è legata, nuda, viene maltrattata e picchiata, urla: il suo compagno la sente e viene colpito allo stomaco, alle gambe. Il tutto per ottenere importanti informazioni. Queste e altre tecniche di tortura, generalmente associate al passato o a feroci dittature, sono state utilizzate anche in paesi democratici nel recente passato: Stati Uniti, Francia e Italia ne hanno fatto uso in contesti storici però molto particolari.

Gli Usa hanno applicato questi metodi dopo l’11 settembre, durante il conflitto in Iraq contro i terroristi di Al Qaeda; la Francia durante la guerra d’Algeria e l’Italia negli anni del terrorismo rosso, subito dopo la morte di Aldo Moro. Si tratta dei periodi storici più difficili dal secondo dopoguerra per ognuno dei tre Paesi. Negli Usa Il rapporto sulla tortura reso noto dalla commissione del Senato fa riferimento all’amministrazione Bush dal 2001 al 2009, gli anni del cambiamento radicale della politica estera americana.

L’esercito francese, invece, praticò torture ai danni dei prigionieri nel corso della guerra d’Algeria, il conflitto che tra il 1954 e il 1962 contrappose la madrepatria Francia e gli indipendentisti algerini guidati dal Fronte di Liberazione Nazionale (FLN). Una guerra feroce conclusa con l’indipendenza algerina. Il conflitto rappresenta un punto cruciale per la storia della Francia, l’ultimo atto di decolonizzazione del Paese con la quale i francesi persero quella che era considerata più come una provincia che come una colonia, come dimostra la massiccia presenza algerina e musulmana in Francia, oggi più che mai di difficile gestione.

Per quanto riguarda l’Italia sono documentate torture in due periodi diversi degli anni di piombo. Il 9 maggio ’78 venne ritrovato il cadavere di Aldo Moro; iniziò un periodo di paura e tensione politica in tutto il paese. Per questo venne costituita una squadra speciale antiterrorismo, capitanata da Nicola Ciocia. Sarà il brigatista Enrico Triaca, il primo a denunciare di essere stato torturato dalla squadra di Ciocia dopo il suo arresto. Si tornò poi a parlare di tortura all’inizio nell’83, durante il rapimento del generale americano James Lee Dozier. Tutti i brigatisti arrestati furono torturati e grazie alle loro ammissioni il generale fu liberato.

Nonostante i periodi storici differenti, molte tecniche di tortura sono comuni. A partire dal waterboarding, utilizzato contro i terroristi sia in Italia che negli Stati Uniti: si tratta di una forma di annegamento controllato in cui l’acqua invade le vie respiratorie del prigioniero che viene indotto a pensare che la morte sia imminente.

Una forma di tortura utilizzata dai francesi sui prigionieri algerini, ma che compare anche sui documenti italiani e americani, è la violenza sessuale: da elettrodi applicati sui genitali, a pinze sui capezzoli, fino alla sevizia vera e propria. Per gli algerini si trattava della tortura peggiore, quasi mai denunciata per via della cultura islamica.

Esistono poi tecniche di tortura tipiche di alcuni Paesi: se nel rapporto Usa emergono la privazione del sonno e l’idratazione rettale, che consentiva il controllo totale dell’individuo, la Francia si concentrava sulla metodica sparizione di persone. In quegli anni in Algeria sparirono decine di migliaia di individui, come capiterà anni dopo in Vietnam, e in America Latina. Ma le differenze non si fermano qui. Le istituzioni dei tre paesi hanno avuto un ruolo molto diverso sulle torture perché, come si è già detto, sono state compiute in contesti storici differenti.

Secondo il rapporto della Cia per 4 anni l’allora presidente americano George Bush fu tenuto all’oscuro sui trattamenti riservati ai terroristi. Tuttavia, secondo l’ex vicepresidente Dick Cheney “Bush sapeva quello che doveva sapere sul comportamento della Cia. Quello si doveva fare è stato fatto e lo rifarei adesso”.

Per quanto riguarda la Francia, la tortura durante la guerra d’Algeria divenne un’istituzione dello stato francese. Tra gli accusati risultano non soltanto soldati e poliziotti, ma anche alti ufficiali dell’esercito e magistrati. Soltanto il primo ministro di allora, Pierre Mendès France, nel febbraio ‘55 denunciò la barbarie delle forze di polizia in Algeria, ma il suo governo cadde dopo poche dopo. La prima vera inchiesta, sotto il governo di Edgar Faure, fu quella condotta dall’alto funzionario M.Wuillaume. Un profilo basso fu mantenuto anche dai governi di destra e sinistra che si susseguirono negli anni successivi.

Diverso il discorso per quanto riguarda l’Italia. Rispetto agli altri due casi, infatti, le torture vennero eseguite su cittadini italiani, in suolo italiano. Tuttavia è difficile dare una risposta certa sul grado di coinvolgimento delle istituzioni. Di sicuro c’è l’elezione in Parlamento del commissario di Polizia, Salvatore Genova; operazione fatta apposta per evitargli il processo. Inoltre quando Genova venne imputato insieme agli altri quattro poliziotti ricevette un documento di origine misteriosa con una falsa ricostruzione dei fatti da sostenere per essere scagionato.

Ma al di là delle responsabilità dei tre Stati, rimangono delle domande. Quanto furono determinanti le torture per gli esiti delle vicende in cui vennero utilizzate? Senza il waterboarding gli Usa sarebbero riusciti lo stesso a catturare Bin Laden? Domande a cui è molto difficile rispondere.

Pare che in Francia le torture ottennero l’effetto contrario, aumentando le fila degli indipendentisti, mentre negli Usa non ottennero reali risultati concreti. Indipendentemente dalle singole vicende, però, Andrea Saccoman, storico dell’università Bicocca di Milano, ha una convinzione: “In uno stato di diritto in cui davvero la legge è uguale per tutti non può esistere la tortura neanche per il peggiore dei terroristi”.