Definiti uffici di servizi, in realtà sono centri per monitorare la popolazione cinese e rimpatriare i dissidenti. Negli ultimi due giorni l’Italia è tornata al centro dell’interesse internazionale, per un “originale” primato: con undici stazioni di polizia cinesi camuffate in centri di assistenza, l’Italia è il Paese in Europa che ne “ospita” il maggior numero. Le stazioni identificate sinora sono sparse su tutto il territorio nazionale: Milano, Prato, Firenze, Roma, Venezia, Bolzano, Palermo. E questo risultato è frutto di un’inchiesta, firmata da Gabriele Cruciata su L’Espresso, e nata da una collaborazione con il quotidiano francese Le Monde e con l’emittente televisiva statunitense CNN.
Gabriele Cruciata, com’è iniziata l’inchiesta?
A denunciare l’esistenza di alcune di queste stazioni era stata una ong spagnola, Safeguard defenders, a settembre. È partita da questo primo report, ma immaginavo ci fosse sotto una storia molto più rilevante.
Che metodo investigativo avete utilizzato? Avete lavorato su fonti aperte on line?
Il lavoro è stato fatto su documenti pubblici. Ci sono strumenti che ti consentono di fare il lavoro che avresti fatto sul campo in maniera migliore, da casa, e soprattutto in molto meno tempo e con meno sforzi economici. Questo non esclude assolutamente l’andare sul campo, un metodo che resta fondamentale. Uno dei motivi per cui sono contento di aver fatto questo lavoro è che si basa su fonti aperte on line. Proprio perché sono fonti aperte questo controllo avrebbe potuto farlo chiunque e certamente dovuto farlo il governo italiano.
Al governo italiano avete chiesto risposte che non sono mai arrivate, finora.
Esatto. Avremmo voluto chiedere per quale motivo i funzionari del governo italiano hanno firmato dei trattati e degli accordi quando c’erano già questo tipo di informazioni disponibili online. O le hanno viste e non le hanno capite, e quindi hanno firmato gli accordi senza informarsi, oppure le hanno viste e hanno soprasseduto. È successa una cosa o l’altra.
Crede che queste risposte arriveranno?
Il nostro obiettivo non è quello di bastonare il governo, ma di sbloccare qualcosa. Questa inchiesta è stata ripresa da tanti giornali e adesso non si può far finta di niente. Vogliamo che il governo faccia qualcosa affinché questa storia si fermi.
Come è andata la collaborazione internazionale con CNN e Le Monde?
Le Monde non è uscito il nostro stesso giorno, hanno avuto dei ritardi nella pubblicazione. Con CNN ci siamo accordati: avevamo una storia comune, ossia l’esistenza delle stazioni di polizia cinesi negli Stati Uniti, una storia complessa che può essere raccontata concentrandosi su un aspetto o su di un altro. Abbiamo collaborato ma abbiamo utilizzato uno stile diverso. La CNN ha deciso di utilizzare un taglio più internazionale. Noi, essendo italiani, e vista la particolarissima rilevanza che questa storia ha in Italia, abbiamo ridotto la parte internazionale e abbiamo cercato di far capire perché si era arrivati a tutto il mondo partendo dalla nostra nazione.
Com’è andato il rapporto con le testimonianze, con le fonti dirette? Il governo cinese cerca di controllare molto i suoi cittadini.
Abbiamo verificato le storie senza contattare direttamente i protagonisti: non era possibile farlo. Le abbiamo rilevate da fonti di stampa autonome e indipendenti e poi abbiamo fatto tutti gli accertamenti per verificare la loro veridicità.