Il giornalismo deve affrontare tre sfide: recuperare la credibilità del pubblico; individuare uno o più metodi per rendersi sostenibile finanziariamente; decidere quale percorso imboccare per convivere con l’intelligenza artificiale. L’insieme di queste suscita la domanda su quali siano gli obiettivi del giornalismo che, per Fabio Chiusi, «deve informare le persone nel modo più distante possibile da interessi particolari, da manipolazioni e distorsioni ideologiche. La missione è sempre la stessa: essere una componente essenziale di un contesto democratico tenendo sotto controllo la politica e il potere». A Magzine, durante il Festival Internazionale del Giornalismo, il giornalista, specializzato sulla democrazia digitale e sulle ripercussioni sociali dell’innovazione, ha identificato il problema principale: «La commistione tra giornalismo, politica e potere economico, rappresentato dai colossi tecnologici, che assumono un potere senza precedenti».

 

Giornalismo e AI

«Per sostenersi bisogna scendere a patti con i produttori di tecnologie», sostiene Chiusi. Anche se l’intreccio tra un’informazione sana e l’utilizzo delle nuove tecnologie rischia di compromettere l’indipendenza e la fiducia dei lettori, per tenersi in piedi economicamente potrebbe essere necessario «applicare all’editoria l’intelligenza artificiale, che consente di capire meglio gli interessi e i bisogni dei lettori, personalizzando l’offerta e comprendo le nicchie». Secondo Fabio Chiusi, sull’impiego dell’intelligenza artificiale il giornalismo è a un bivio: «Da una parte, sfruttarla, senza cambiare il metodo di lavoro, ma per ridurre i costi, tagliando il personale e rimpiazzandolo. E ciò sta già avvenendo in maniera poco etica, senza informare i giornalisti, né i lettori. Dall’altra, per fare un giornalismo migliore. Quindi, si sfidano il lato dell’efficienza e del marketing, che favorisce chi fa cattivo giornalismo in massa; l’altro fronte promuove l’idea del giornalismo ibrido, in cui l’uomo e la macchina, che funge da assistente del primo, occupandosi dei compiti più banali, ripetitivi e dispendiosi»

A un anno dall’uscita di Chat GPT, l’utilizzo di queste ed altre IA generative ha attirato sostenitori, detrattori, curiosi e timorosi, ma per il giornalismo i più ormai tendono verso un cauto ottimismo. L’idea è infatti che l’IA possa essere uno strumento al servizio dei giornalisti e non, come spesso si pensa, una serpe in seno che finirà per sostituirci.

A dimostrarlo sono i limiti delle intelligenze artificiali: «Questi strumenti sono ancora molto poco accurati, hanno bisogno che una figura umana verifichi le informazioni date, soprattutto se si chiede loro qualcosa riguardo a temi complessi come le elezioni – racconta Julia Angwin, giornalista investigativa, editorialista per il New York Times e autrice di bestseller -. Inoltre, le IA hanno imparato ciò che sanno dall’uomo: ciò significa che hanno ereditato i nostri pregiudizi e i nostri bias, e dunque sono spesso discriminatorie verso determinate minoranze. Ciò nonostante il loro utilizzo può facilitare molto il lavoro e la ricerca dei giornalistico che però devono sempre essere coinvolti nel processo. L’IA, in questo modo, non è che uno strumento come un altro».

Le AI di ultimissima generazione

Durante il panel “Review of artificial intelligence examples” sono state presentate tre intelligenze artificiali in fase di sviluppo: GuiLLeMot, PuLLm e Merlin. La più interessante è sicuramente la prima, utilizzata dai giornalisti del The Guardian (attualmente solo come esperimento interno alla redazione), che permette di creare una serie di attacchi di articoli basati sulle informazioni in essi contenuti. La novità più grande è che GuiLLeMot propone un vastissimo numero di opzioni diverse dimostrando una grande creatività.

Merlin è invece uno strumento di ricerca basato sull’IA utilizzato da Associated Press. È infatti Julie Pace, vicepresidente Executive Editor di AP, a spiegarne i vantaggi: «Merlin permette al pubblico una ricerca semplificata ed efficace. Può inoltre evidenziare le piccole differenze tra diverse fotografie simili, evidenziare i momenti chiave di un video all’esatto secondo e, in sostanza, velocizza tutto il nostro lavoro. In AP utilizziamo sistemi di intelligenza artificiale da più di 10 anni, ma sempre seguendo delle regole: tutto il materiale creato con le IA viene considerato come non verificato e deve perciò subire un ulteriore controllo da un giornalista; tutto ciò che viene fatto tramite l’IA dev’essere pensato per fornire un servizio al lettore, dev’essere vero e trasparente; in ultimo, bisogna adottare un approccio “man in the loop”, ovvero che ci sia sempre una componente umana dentro al processo produttivo eseguito con le IA».

Proprio a proposito di man in the loop, alcuni strumenti sempre più utilizzati sono le ‘open source techniques’, nell’ambito del data journalism. Questo tipo di indagini prevedono infatti l’utilizzo di diversi sistemi e documenti reperibili online e a distanza dal luogo in cui si sta indagando. Perché è utile? Provate a pensare a un contesto come la guerra a Gaza, dove ai giornalisti non è permesso entrare e le informazioni che escono dai confini della striscia sono per lo più mediate da Israele e Hamas. Avere la possibilità di verificare tali informazioni è diventato perciò di inestimabile valore. Di questo ne ha fatto la sua specialità Manisha Ganguly, giornalista e videomaker del The Guardian, che con le sue indagini fatte tramite tecniche open source ha esposto crimini di guerra e abusi dei diritti umani in tutto il medio oriente, in Nord Africa, in Russia e in Cina. «Ho iniziato analizzando le dichiarazioni dei politici in contesti di guerra e ho capito di poterle verificare tramite l’analisi incrociata di fotografie e video trasmessi in live. Grazie alla geolocalizzazione e allo studio dei metadati tutto ciò può essere fatto da remoto, anche se ovviamente non basta. Nelle redazioni erano scettici perché pensavano che il giornalismo investigativo si potesse fare solo sul campo, col tempo però si sono accorti della potenza della ricerca a fonti aperte.”

Come adattare la copertura editoriale in questo anno di elezioni? 

Quest’anno, quasi ogni settimana, le urne elettorali sono aperte: la metà della popolazione globale vota. Le quasi cento elezioni mobilitano anche i giornalisti negli angoli del mondo più distanti e differenti tra loro. In alcuni di questi, il diritto di voto e la libertà d’espressione sono compromessi; mentre in altre, la democrazia scricchiola, condizionando il racconto giornalistico. Da questa prospettiva, l’Europa dell’Est e, in particolare, la Georgia, la Romania e la Polonia, sono tre casi-simbolo della condizione dello stato di diritto e di salute del giornalismo. Per questo, sono state al centro della discussione durante il panel Elezioni pericolose. Come adattare la copertura editoriale?, al quale sono intervenuti, moderati da Jakub Górnicki (co-fondatore di Outriders), Rafal Madajczak (caporedattore di Gazeta.pl), Ștefan Onica (giornalista di TVR Romania) e Nino Robakidze (direttrice dell’Europe Center of IREX SAFE Initiative). 

Il punto di partenza, con approdo alle elezioni europee (6-9 giugno), è la diagnosi del quadro generale, dove i giornalisti sono bersaglio di molestie online e minacce fisiche, mentre tentano di spiegare, fronteggiando anche la scarsezza di risorse finanziarie, le tornate elettorali. In Polonia, dove la coalizione del centro-sinistra ha riconquistato il governo nazionale nell’ottobre del 2023, l’ultima campagna elettorale è stata seguita, con un approccio innovativo, da Gazeta.pl. Lo descrive Madajczak: «Abbiamo pubblicato un impegno editoriale per i nostri lettori, presentandoci a loro come rappresentanti dei cittadini. Così, abbiamo rivelato quali fossero i problemi principali per i polacchi, fatto una trovata pubblicitaria realizzando un sondaggio destinato ai leader politici e sperimentato l’approccio degli influencer delle notizie, pubblicando guide sui partiti su Tik Tok». L’obiettivo e’ ampliare il proprio bacino di fruitori, di cui fa parte un nuovo tipo di lettore, che Madajczak definisce fandom: «Questo lettore on vuole informazioni, né che riportiamo i fatti, ma solo che sosteniamo il suo politico preferito».

In Georgia, che eleggerà il nuovo parlamento a ottobre, il giornalismo indipendente potrebbe incassare un colpo, come descrive Robakisa: «Al momento, è in corso un’enorme protesta contro la cosiddetta “Legge sugli agenti stranieri”, che potrebbe causare problemi, in un ambiente mediatico già in difficoltà, ai nostri media che dipendono, soprattutto, dalle donazioni. Infatti, se venisse approvata, chi le riceverà da organizzazioni internazionali sarà considerato un “agente straniere” o “di influenza straniera”».

Le democrazie sono in bilico. L’informazione può contribuire a risollevarle?

Nell’anno in cui il 60% della popolazione mondiale vota, c’è il rischio che la democrazia venga messa fortemente in discussione. Siamo ad un punto di svolta, non c’è più tempo. Jon Bon Jovi direbbe ‘It’s now or never’. Maria Ressa, fondatrice della testata investigativa filippina Rappler, e Premio Nobel per la Pace 2021, è più concreta: “In 2024 democracy could fall of a cliff”. Bisogna distinguere la democrazia del ‘la legge è uguale per tutti’, da ciò che percepiamo come accessibile ma che è in realtà per pochi. Ad esempio, l’India è la più vasta democrazia al mondo con circa un miliardo di votanti. Allo stesso tempo, è il Paese con il più alto tasso di disinformazione, diffusione di fake news e propaganda. E ciò può manipolare le elezioni. La democrazia si alimenta e si genera lì dove gli organi di informazione riescono a fornire notizie vere, rilevanti, attendibili e verificate.

Ci sono alcune realtà indipendenti che in India cercano di verificare quotidianamente le notizie con una costante opera di debunking e fact-checking. Ritu Kapur, fondatrice e direttrice di Quint Digital Media, teme la diffusione dell’intelligenza artificiale come amplificatore di fake news: “Anche se la disinformazione in India c’è da molto prima che l’AI fosse di così facile utilizzo, c’è da monitorare questo fenomeno che potrebbe peggiorare le condizioni e i presupposti di voto”. Ed è qui che si inseriscono le testate autonome, che non hanno sovvenzionamenti pubblici e che cercano di rispondere colpo su colpo alle incursioni della propaganda ‘AI generated’. “Se necessario, si va di persona in persona a fare chiarezza sulle modalità di voto e su come ci si può informare liberamente”. Il giornalismo deve adattarsi a usare i nuovi strumenti come facilitatori.

Si innesca un’accesa diatriba tra Ritu Kapur e Maria Ressa sulle nuove strategie comunicative non convenzionali. “Un influencer per me è una persona che viene pagata per dire delle cose, c’è per forza di mezzo una corruzione dell’informazione, non possiamo confondere il lavoro giornalistico con una categoria di lavoratori che non guarda ai fatti, ma al compenso.” Per la Kapur, invece, la situazione è al limite ed è necessario rivolgersi anche a degli organi meno incorruttibili, ma più efficaci a livello comunicativo che possano raggiungere dei bacini d’utenza inesplorati e inarrivabili altrimenti. “La quantità di persone informate a questo punto è più importante della qualità della loro informazione, fake news escluse ovviamente. Noi giornalisti abbiamo anche il dovere di interfacciarci con altri tipi di mestieri e ‘skills’ per rendere ciò che diciamo accattivante e fruibile dalla maggioranza della popolazione che non ha educazione all’informazione. Non possiamo pensare di educarli tutti, ma si può passare da dei canali non convenzionali per diffondere buone notizie.”

Per Ed Bice, CEO di Meedan, bisogna invece bypassare il ‘chilling-effect’: “Le autocrazie stanno crescendo e dobbiamo capire come diffondere dati reali e verificati al più vasto numero di persone. La fiducia si costruisce con delle operazioni innovative ed efficaci. I tempi del fact-checking sono sempre più lunghi perché ci sono molte più bufale in giro a causa di un utilizzo improprio dell’AI, ma ad esempio quello che ho fatto in Brasile per le presidenziali del 2022 è stato creare una rete di fact-checkers indipendenti che attraverso una chatbox riuscivano a dare informazioni a milioni di brasiliani per indirizzarli verso un voto libero e consapevole.”

La forza del giornalismo è costantemente messa in discussione e le nuove tecnologie possono essere utilizzate per delegittimare il valore della verità. Non c’è un’assenza di verità, ma una sovrabbondanza di opinioni e punti di vista che distorce la differenza tra reale e finzione. La censura si inserisce nel dibattito pubblico non esplicitamente ma in maniera subdola. L’inalazione di gas nervino che stordisce e deforma il mondo reale. “Noi informatori non possiamo permetterci di inciampare nel ‘chilling effect’, l’autocensura causata dalla paura di ripercussioni legali. Sarebbe la fine del giornalismo.”

Maria Ressa incentiva la creatività e la fiducia nell’utilizzo dei nuovi media. “Non abbiate piena fiducia nei nuovi mezzi, usateli con cautela. Però innovatevi e utilizzateli in modo creativo e originale”. E riguardo agli attacchi personali che ha ricevuto come giornalista d’inchiesta, processata e incarcerata dall’ex presidente delle Filippine Rodrigo Duterte, chiude lanciando un messaggio di speranza: “Lasciatevi ispirare. Ispiration spreads as fast as anger”. 

L’importanza degli archivi giornalistici 

Grande interesse anche per quanto riguarda l’importanza degli archivi giornalistici: nella sala della Vaccara di palazzo Priori si sono riuniti diversi giornalisti provenienti da tutto il mondo. Mark Graham, direttore di Wayback Machine, ha spiegato l’importanza di questo mezzo per poter recuperare siti internet che non sono più sulla rete: «stiamo archiviando gran parte del web pubblico cercando di rendere questo materiale prima di tutto disponibile alle persone di oggi, per potervi accedere e potervi fare riferimento, ma anche per preservare questo materiale per le generazioni future». Wikipedia, ad esempio, ha milioni di URL a cui fa riferimento ma 20 milioni di questi sono andati perduti. Grazie al lavoro del software di Wayback Machine sono state riportate alla luce queste “pagine” perdute, archiviate con nuovi URL e, adesso, sono consultabili per tutti.

Altro progetto che sicuramente verrà sdoganato in Europa è quello di Cuestión Publica. Con l’Odin Project (Optimized Data Integration Network) sono stati archiviati più di 4mila dati su politici e personaggi pubblici colombiani. Il fine è quello di avere un archivio pubblico in cui l’utente, digitando nome e cognome di un personaggio pubblico, ha accesso ad una cronistoria in stile “thread” del social network X. Tutto ciò è permesso grazie all’ausilio dell’AI.

Proprio sull’uso dell’intelligenza artificiale si è soffermato Paul Radu, cofondatore dell’OCCRP (Organized Crime and Corruption Reporting Project). Ai nostri microfoni ha affermato che il giornalismo deve costruire nuove infrastrutture per arrivare verso nuove frontiere: «bisogna costruire infrastrutture di cloud computing, dove tutti possono sperimentare con Lens, intelligenza artificiale e altri strumenti perché ci sono sempre più dati da analizzare nel giornalismo e abbiamo bisogno di strumenti specifici per lavorare questi dati nell’interesse del pubblico». 

Paul Radu è intervenuto anche durante il panel “Giornalismo e docufiction”. Insieme a lui Philippa Kowarsky, cofondatrice e direttrice Floodlight, e Paul Kolsby, sceneggiatore e produttore cinematografico. Il tema principale, appunto, è l’unione del mondo del cinema con il mondo del giornalismo: ambienti all’apparenza molto divergenti ma che possono completarsi a vicenda. Tramite la potenza delle immagini che solo il cinema hollywoodiano può dare e le testimonianze raccolte dai giornalisti investigativi nasce Floodlight. 

Elezioni europee: quale ruolo per i nazionalismi?

A meno di due mesi dall’appuntamento elettorale, in tutta Europa ci si interroga sulla futura composizione dell’Eurocamera: ci sarà una sostanziale conferma o bisognerà aspettarsi degli sconvolgimenti? Molto dipenderà dal ruolo svolto dalla destra nazionalista in ascesa un po’ in tutto il continente. Basti pensare ad Alternative für Deutschland (AfD), partito politico di estrema destra, che si presenterà alle prossime europee col 20% circa dei consensi (primo partito del Paese nella parte orientale). Discorso simile per i nazionalisti austriaci, in netta crescita dopo l’Ibiza-gate del 2019 che ha visto tra i coinvolti anche l’ex leader Strache.

Secondo Angela Mauro, corrispondente da Bruxelles per l’Huffington Post e intervenuta al panel “Viaggio nella politica italiana, verso le elezioni europee”, già da tempo l’agenda politica europea si è piegata alla propaganda nazionalista. «Pensiamo al patto sull’immigrazione. Ormai non si parla più di accoglienza, ma di sicurezza e difesa delle frontiere», afferma. Nazionalismo, immigrazione, sovranismo, parziale o totale indipendenza dall’Europa: sono questi i temi sui quali sta spingendo l’estrema destra europea per accumulare sempre maggiori consensi. Secondo Tonia Mastrobuoni, corrispondente di Repubblica dalla Germania, cruciale sarà anche lo scontro con i verdi.

In generale, però, l’ondata di consensi per la destra nazionalista europea non basterà a sconvolgere l’attuale composizione del Parlamento europeo. Secondo Dino Amenduni, comunicatore politico e collaboratore di Repubblica e Wired, è «improbabile che l’Europa svolti completamente a destra, ovvero che si formi una maggioranza apertamente euroscettica», sottolinea, pur riconoscendo che i rapporti di forza all’interno del Parlamento europeo cambieranno inevitabilmente.