Si presenta come un Paese capace di mediare nei conflitti in Medio Oriente, partner indispensabile per le democrazie occidentali. Ora l’Emirato ha messo in campo tutta la sua ricchezza per impressionare il mondo. Dalle naturalizzazioni dei calciatori alla costruzione di sette stadi, passando per i diritti negati e le morti sul lavoro. La preparazione dei mondiali in Qatar è iniziata nel 2010 e nulla è stato lasciato al caso. A partire dal 20 novembre, a Doha, in gioco non ci sarà solo la coppa del mondo, ma la reputazione internazionale di un Paese che secondo diverse organizzazioni a tutela dei diritti umani ha deciso di fare dello sportwashing “una stampella di politica estera”, come ha spiegato Amnesty International a magzine.it.

Non solo gas
Innovazione, idrocarburi, e ricchezza. Il Qatar è un emirato del Vicino Oriente, sul Golfo Persico, ed è uno dei più grandi investitori del mondo. Suddiviso in dieci municipalità, l’emirato è retto dalla monarchia assoluta della famiglia reale Al Thani, che ha sostenuto progetti per sfruttare l’enorme giacimento di gas, principale fonte di ricchezza del Paese. Il Qatar è oggi una delle realtà più dinamiche ed innovative del mondo, oltre a vantare una grande sicurezza interna. La popolazione ha un alto tasso di crescita, dato però non dalla natalità, bensì dal continuo flusso di immigrati che stagionalmente vanno ad offrire manodopera straniera. Il Qatar risulta essere il Paese meno corrotto di tutta l’area mediorientale, ma possiede ancora parecchie criticità dal punto di vista dei diritti umani e della libertà di pensiero: l’esistenza di una monarchia assoluta non permette la possibilità di creare forme di opposizione politica organizzata. E i numerosi migranti sono oggetto di sfruttamento lavorativo, come denuncino diverse organizzazioni non governative. Inoltre, il Paese non è ancora coperto da una rete ferroviaria.

radoslaw-prekurat-a-kdjff86zE-unsplash

In Qatar le donne possono votare dal 1999: l’emirato è il primo emirato arabo del Golfo Persico a consentire il diritto di voto femminile in ordine di tempo. Tuttavia, il simbolo più riconosciuto del Paese a livello mondiale è il canale satellitare all-news Al Jazeera: l’emittente ha consentito per la prima volta a commentatori del mondo arabo di confrontarsi in diretta tv.  Sulla scena internazionale, il Qatar si è sempre comportato come un Paese neutrale, mediando tra diversi conflitti in Medio Oriente, dal Sudan all’Afghanistan, passando per la Palestina. La grande ricchezza di gas consente all’emirato di detenere posizioni di vantaggio rispetto alle superpotenze mondiali. Guardando al futuro, il Qatar punta a raggiungere entro il 2030 lo status di nazione “completamente sviluppata”, garantendo allo stesso tempo un alto tenore di vita agli abitanti. Sembra essere sulla buona strada, considerato che, secondo i dati dell’FMI del 2015, vanta di essere il Paese con il più alto Pil pro-capite al mondo.

Il Qatar si presenta come un Paese capace di mediare nei conflitti in Medio Oriente, partner indispensabile per le democrazie occidentali. Ora, con i mondiali di calcio, l’emirato ha messo in campo tutta la sua ricchezza per impressionare il mondo

L’Aspire Academy e il problema delle naturalizzazioni
Se oggi si parla di Qatar e pallone è impossibile non soffermarsi su naturalizzazioni e doppi passaporti. D’altronde, in un mondo globalizzato come quello dello sport, chi non ne ha almeno uno in squadra scagli la prima pietra. In realtà da quelle parti la naturalizzazione è diventata prassi e costume: dai mondiali di pallamano giocati a Doha con una squadra piena zeppa di campioni spagnoli a quelli di calcio che verranno disputati con 24 giocatori naturalizzati e solo due qatarini in rosa. Poco importa la disciplina, l’importante è primeggiare. Imporsi nel calcio però non è così facile, soprattutto non è facile farlo in tempi così brevi. La soluzione scelta – e voluta dall’ex emiro Hamad Al Thani nel 2004 – si chiama Aspire Academy ed è la fotografia del modus operandi di un Paese che guarda gli altri e cerca di emularli. In origine il progetto Aspire si chiamava Football Dream: già il nome racconta tutto. Una fabbrica del talento ai confini del pallone.

Il lavoro della Aspire Academy è enorme: visiona e recluta giovani di 13 anni in tre continenti e 18 Paesi. In realtà si occupa di vari sport, ma il calcio è senza dubbio il fiore all’occhiello. L’iter di selezione dei ragazzi è sempre lo stesso e negli anni sono stati coinvolti più di 3,5 milioni di aspiranti calciatori sui 12-13 anni: vengono valutati tramite una partita in un campo a 11, poi i migliori passano per Doha e finiscono in Belgio, a Eupen, dove c’è un’altra squadra di proprietà dello sceicco. E’ il laboratorio in cui il Qatar costruisce il suo futuro calcistico. La storia di tanti giocatori che oggi sono in nazionale parte da lì, grazie a un sistema di naturalizzazione e doppi passaporti che favorisce il processo. L’Academy ha dato loa possibilità di evadere da contesti difficili: questi ragazzi si sono fatti valere e stanno aiutando il Paese ad affermarsi nel mondo del pallone. In sintesi, è un rapporto do ut des. Un altro fattore è l’influenza spagnola: la gestione dell’Academy per anni è stata affidata a Josep Calamer, ex scout della Masia a Barcellona. Dalla Catalogna viene anche il c.t. della nazionale, Felix Sanchez, per oltre un decennio allenatore dell’under 16 Blaugrana. È alla guida dello stesso gruppo di ragazzi dal 2014, e non è cambiato nulla, neanche lo staff. Un unicum nel mondo del calcio. A maggior ragione, scendere in campo in un Mondiale contro Messi e Ronaldo per molti di loro conterà di più.

rhett-lewis-W-6grboBEIY-unsplash

Otto stadi in un’unica città. Il capolavoro architettonico a Doha
È possibile immaginare otto stadi tutti concentrati in un’unica città? Evidentemente sì e quella che sembrava pura utopia è diventata realtà. Per averne la conferma basta chiedere all’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani, che grazie ad alcuni dei migliori architetti e ingegneri in circolazione ha trasformato la capitale Doha in un vero e proprio centro sportivo di dimensioni gigantesche. Un po’ come se a Roma – che ha circa mezzo milione di abitanti in più rispetto alla capitale qatarina – venissero costruiti attorno all’Olimpico altri sette stadi. Qualcosa di impensabile in un Paese come il nostro. A proposito di numeri, sono serviti oltre 200 miliardi di euro per finanziare gli stadi e le infrastrutture del primo Mondiale arabo della storia. Non solo stadi, appunto, ma anche reti autostradali, aeroporti e linee ferroviarie sono state ampliate e ammodernate all’interno di un progetto avviato nel 2008 e denominato Qatar National Vision 2030. L’obiettivo è facilmente intuibile: rendere il Qatar uno dei Paesi più innovativi e all’avanguardia del pianeta. In linea con il progetto, si è deciso di costruire da zero ben sette impianti su otto. Un’opera mostruosa in termini architettonici ed economici che rende l’idea della quantità di risorse investite dal Qatar per rendere memorabile questa manifestazione.

C’è anche un pizzico di Italia, che non sarà sul campo a giocarsi la coppa ma che ha comunque messo la firma su questi Mondiali. Tra le varie imprese che hanno realizzato le gradinate superiori e la copertura dell’Al Bayt Stadium c’è anche la Cimolai Spa, azienda italiana con sede a Pordenone, che in passato ha contribuito anche alla costruzione del Soccer City di Johannesburg, sede della finale del Mondiale sudafricano nel 2010. Tra gli elementi architettonici più originali e inaspettati spiccano i container, la cui natura industriale è stata declinata in una più strutturale ed estetica. Lo Stadium 974 sarà infatti il primo stadio “trasportabile” al mondo, costruito proprio con 974 container, in una struttura a incastro che ricorda molto quella dei mattoncini Lego e che come tale può essere smantellata e rimodellata. A pochi chilometri di distanza, ad Al Emadi, sorge una fan zone che mette a disposizione centinaia di camere dedicate ai tifosi, tutte realizzate proprio all’interno di container trasformati in stanze d’albergo. Le polemiche si sono subito infiammate, dato che serviranno 200 dollari per trascorrere una notte all’interno di questi container. Quel che è certo è che il Qatar è riuscito a far diventare realtà un capolavoro architettonico che per molte grandi potenze mondiali resta tuttora un sogno.

Stadio Al Bayt Qatar 3

Morti sul lavoro
Sono 6500 i lavoratori morti in Qatar nella costruzione delle infrastrutture per i prossimi mondiali di calcio. Lo riporta il Guardian e il portavoce di Amnesty International Riccardo Noury sottolinea a magzine.it che si tratta di una cifra enorme, soprattutto se confrontata alle stime ufficiali che registrano qualche decina di vittime. “I certificati di morte riportano come causa gli infarti, ma in realtà si tratta di colpi di calore. Si lavora su impalcature con oltre 50 gradi e non vengono fatte autopsie indipendenti”, spiega Noury. Amnesty denuncia condizioni di sfruttamento estremo, salari non versati, turni di lavoro massacranti e diniego del riposo. La comunità internazionale, però, non ha mosso un dito: “Semplicemente non è pervenuta”, taglia corto il portavoce dell’organizzazione. Il motivo è semplice: “Lo sport è una stampella della politica estera” e gli Stati del Golfo sono partner strategici sia per l’equilibrio geopolitico dell’Occidente, sia per l’approvvigionamento degli idrocarburi. Nemmeno la Fifa è intervenuta: “Si è fidata molto del comitato supremo, che è l’organismo che organizza i mondiali. È stata raccontata una versione molto edulcorata della realtà”. Tanto che diverse organizzazioni, tra cui Amnesty, hanno dovuto fare pressione perché venisse istituito un fondo di 440 milioni di dollari per risarcire le famiglie dei lavoratori morti. La richiesta ufficiale risale a maggio, la risposta ancora manca. Lo sfruttamento dei lavoratori in Qatar è diventato noto con i mondiali di calcio, ma alla base c’è un sistema strutturato. Noury spiega che “il lavoratore è vincolato, come proprietà del datore di lavoro”. Nel 2017 è iniziato un processo di riforma parziale, che si è interrotto nel 2020. “Molti imprenditori emettono a proprio piacimento certificati di nulla osta per consentire ai lavoratori di cambiare impiego o lasciare il Paese, ma i lavoratori rimangono di fatto bloccati in Qatar”, spiega Noury, che evidenzia anche come solo il 2% dei lavoratori abbia aderito ai comitati misti. Si tratta di sindacati gestisti direttamente dai datori di lavoro. Una volta passati i mondiali, il tema dei lavoratori migranti resterà: “Ci saranno i campionati asiatici di calcio nel 2023, poi i giochi asiatici invernali nel 2029 in Arabia Saudita: che condizioni saranno garantite?”

La comunità Lgbtqi+
«L’omosessualità è una malattia mentale, l’omosessualità è haram». Haram, dunque proibito dalla morale e dalla legge islamica. L’ultima dichiarazione che ha scatenato la bufera sui Mondiali di calcio in Qatar è giunta per voce di Khalid Salman, l’ambasciatore di questo campionato che durante un’intervista all’emittente televisiva tedesca Zdf ha detto: «È importante che i gay che arriveranno nel Paese rispettino le nostre regole», aggiungendo che i bambini potrebbero essere influenzati negativamente dai loro comportamenti.

IMG_8087
La questione dei diritti umani resta un’ombra sui giochi che inizieranno il 20 novembre, e a essere minacciata è anche la comunità Lgbtq+, perché in Qatar l’omosessualità è illegale.
Il codice penale qatariota punisce con la reclusione da uno a tre anni gli atti omosessuali tra maschi adulti e consenzienti e, commenta il portavoce di Amnesty International, Riccardo Noury, «chi prova a manifestare la propria percepita espressione di genere rischia di essere arrestato dalle forze di pubblica sicurezza». «Il fatto – prosegue Noury – è che sotto i riflettori potrebbe non accadere nulla, ma dobbiamo chiederci cosa lasceranno in eredità questi mondiali quando l’attenzione non ci sarà più».  Il torneo può essere l’occasione per fare luce sulla violazione delle libertà, ma il rischio è al fischio d’inizio l’operazione di sportwashing riesca a raggiungere gli effetti desiderati.