Quando un festival funziona, è perché è in grado di creare bellezza e suscitare dibattito. Nel caso del Salone del libro di Torino, quel #SalTo che l’autrice e redattrice dell’evento Igiaba Scego auspicava potesse essere una serie di “pagine da sfogliare”, ha visto rappresentate posizioni contrastanti, in mezzo a centinaia di migliaia di libri in commercio e altri ormai immortali. Chi passeggiava negli stand mon ha potuto ignorare le vicende geopolitiche del momento; l’eco delle guerre nel mondo, da Gaza al Sudan all’Ucraina, ha raggiunto la kermesse torinese nei panel dei relatori tra i più disparati; nelle stesse sale, si sle’ parlato di fumetti, Baudelaire, muro di Berlino, gastronomia, Giacomo Matteotti e antisemitismo. Ha fatto rumore la protesta pro-Gaza all’esterno del Lingotto, la stessa in cui il fumettista italiano Zerocalcare è intervenuto a sostegno dei dimostranti. Si sono presentati autori che il grande pubblico non vede tanto spesso, come l’attesissimo Salman Rushdie, lo scrittore indiano su cui il regime iraniano ha apposto una fatwa, cioè una condanna a morte, dopo la pubblicazione de I versetti satanici. Nell’opera, le vicende di un Maometto romanzato hanno scatenato l’ira di Teheran, portando all’attentato del 2022 in cui Rushdie è stato accoltellato al collo, all’occhio e all’addome da un fondamentalista islamico. I piccoli editori hanno affiancato i big e, nonostante tutto, si sono fieramente distinti, con flussi di curiosi a dare la propria fiducia a case editrici poco conosciute o appena nate. Le file per i panel più inflazionati – Barbero, Canfora, Zerocalcare – hanno gremito fino allo sfinimento i corridoi.

In mezzo a tanta confusione, si sono distinti alcuni spazi di confronto e divulgazione degli intellettuali più pop, e con una ragione. È la capacità oratoria, unitamatteotti_ritratto allo studio e a una particolare empatia, a distinguere studiosi come Aldo Cazzullo che, nel suo incontro “Giacomo Matteotti, ritratto per immagini”, ha tratteggiato un profilo del politico ucciso dal fascismo, mettendone in risalto aspetti non solo da libro di storia. Per esempio, ha osservato Cazzullo, se Matteotti fosse sopravvissuto alla sua ribellione al regime, sarebbe potuto diventare una delle personalità di calibro dell’Italia del Dopoguerra; da buon riformista liberale che era, rigoroso e pragmatico, sarebbe stato un politico di cui avremmo parlato trattando della Guerra Fredda, che si sarebbe schierato in uno dei partiti della nuova Repubblica e, forse, ne avrebbe preso le redini. Socialista fino al midollo e dall’indole combattiva, Matteotti era avverso a qualsiasi forma di radicalizzazione, sia a ‘destra’, che a ‘sinistra’, tanto che fu inviso persino ai comunisti. [/mark]Come si sa, però, la sorte toccata a Matteotti è stata un’altra e cioè quella di palesare la volontà del fascismo di distruggere ogni afflato democratico rimanente dall’emergente regime iniziato nel ’22.[/mark]

Dopo il famoso discorso di Mussolini, in cui il duce si è preso la responsabilità “politica, morale e storica” dell’omicidio del politico, è di fatto partita la stagione dell’escalation autoritaria, cioè della definitiva supremazia dell’esecutivo sugli altri poteri e nella società intera, composto dall’unico partito legittimo, ovvero quello Fascista. Prima di Matteotti, a toccare una fine prematura per la stessa causa, sono stati personaggi come i fratelli Rosselli, Piero Gobetti, Giovanni Amendola. Le loro storie testimoniano che il fascismo non fu qualcosa di negativo solo dopo le leggi razziali e il corteggiamento con Hitler, ma anche prima. Nel caso di Matteotti, siamo lontani dal 1938, perché ci troviamo nel 1924. Secondo Cazzullo «la memoria condivisa non esiste, perché ciascuno ha la propria memoria. Al contrario, le conclusioni devono essere condivise e la conclusione è che il fascismo è da condannare». Non per ideologia politica, ma per un fattore storico: «Quando frequentavo la scuola di giornalismo, insistevano che non dovessimo dire la parola ‘problema’, perché evocherebbe qualcosa di matematico, come un’espressione liceale. Ma io trovo che sia un ‘problema’ che l’avversione a questo male non sia condivisa».

PieroGobetti

La conclusione non è universale e bisogna insistere finché non lo sarà. L’accompagnamento del racconto dello studioso con immagini quali il volto di Matteotti, ma anche quello di Mussolini, insieme ai ritratti di esponenti minori di un’opposizione messa a tacere, hanno aiutati gli spettatori a ripercorrere le vicende narrate da Cazzullo con un’icasticità inquietante e cruda, che non ha paura della forza del ricordo. Piero Gobetti aveva venticinque anni quando il regime, dopo averlo perseguitato per un lungo periodo, lo spinse in Francia moribondo; la stessa età in cui molti giovani, ora, si immettono sulla strada del loro futuro.