Per chi si affaccia sul mercato del lavoro le prospettive non sono di certo incoraggianti e quelle future rischiano addirittura di far rabbrividire chiunque sogni di fare questo lavoro. «In questo momento – sentenzia Roberto Natale, presidente della Fnsi – il mercato è praticamente chiuso. Le previsioni future sono critiche e occorre subito una pesante ristrutturazione dell’editoria italiana». «C’è la necessità – continua Natale – di riformare l’accesso alla professione. Non è possibile che in media ogni anno ci siano 1.400 nuovi giornalisti iscritti all’albo dei professionisti e che meno di 300 provengano dalle scuole di giornalismo. Da dove arrivano tutti gli altri? È normale che sia in crescita il numero dei precari».

A novembre 2009 risultano iscritti all’ordine dei giornalisti più di 83mila tra praticanti, pubblicisti e professionisti. Con 19.784 tesserati, la Lombardia è la regione che ne conta di più. Il Molise, con 447, quella che ne ha di meno. Solo 26mila sono iscritti all’Inpgi, l’istituto nazionale di previdenza dei giornalisti. E dall’indagine Una vita da giornalista precario, svolta dall’ordine a fine 2008, emerge che solamente un terzo ha un contratto a tempo indeterminato. Inoltre, più di 5mila risultano precari e oltre 20mila giovani lavorano e svolgono informazione senza essere minimamente disciplinati e tutelati.

«Giorno dopo giorno – racconta Lorenzo Del Boca, presidente del Consiglio nazionale dell’ordine – stanno diminuendo i contratti a tempo indeterminato, sostituiti da quelli a termine. Gli editori stanno riducendo all’osso le presenze dei giornalisti messi sotto contratto definitivo in redazione, gonfiando gli organici con massicce dosi di contratti a termine». Se si vanno poi ad analizzare le motivazioni che spingono gli editori a scremare il numero di giornalisti, si capisce istantaneamente che si tratta di interessi economici.

«Sono precipitati gli investimenti pubblicitari sulla stampa – spiega Paolo Pozzi, responsabile comunicazione e stampa dell’Odg Lombardia –. Nel 2008 sono calati del 20% rispetto al 2007. Nel 2009 del 18% rispetto al 2008. La situazione è pessima e forse solo nel secondo trimestre del 2010 ci sarà una lenta ripresa. Gli editori, così, tagliano e riducono le redazioni. Oggi mi sento di dire che ci sono almeno 20mila giornalisti precari in tutta Italia».

Le previsioni dunque sono estremamente negative. «A un anno dagli Stati generali dell’editoria convocati a Roma nell’ottobre 2008 – fa eco Roberto Natale – non si vedono ancora risultati. Anche la firma del contratto collettivo di aprile fino ad ora è stata pressoché inutile. Se gli editori non tornano a investire, per il bene del giornalismo e non solo per i loro interessi, la crisi non passerà».

Il problema, in ogni caso, non pare essere solamente italiano, come si evince dalle parole di Mario Calabresi, direttore deLa Stampa, cresciuto all’Ifg di Milano: «La crisi dell’editoria è devastante e globale. Si pensi anche agli Stati Uniti, doveWashington Post e New York Times, quotidiani di primo piano, stanno riducendo il personale in modo impressionante». Le soluzioni per uscire dallo stallo sembrano comunque esserci. «Per il futuro – propone Calabresi – occorre maggiore complementarietà tra giornali e sito internet: è l’unico modo per rispondere alla crisi. Il sito dà le notizie, il giornale le approfondisce, la pubblicità investe su entrambi. Bisogna ricostruire l’intero sistema».

In tutto questo, chi esce dalle scuole di giornalismo sembra tuttavia essere leggermente avvantaggiato. Quelle riconosciute dall’ordine sono 14: tre a Milano, una a Roma, Urbino, Perugia, Napoli, Sassari, Bologna, Salerno, Padova, Torino, Bari, Teramo. «Ora – sottolinea Paolo Pozzi – sono state anche ridotte rispetto al passato. A Milano le scuole sono passate da quattro a tre. E a prescindere dalla crisi dell’editoria, le statistiche dicono che il 20% degli assunti annuali arriva dalle scuole di giornalismo. Chi ha fatto la scuola inizialmente va incontro a stipendi bassi o a collaborazioni, ma ha tutti gli strumenti, la versatilità e le competenze per entrare sul mercato». Una tenue speranza, anche se appare evidente che per i giornalisti il peggio deve ancora arrivare.

di Enrico Turcato