L’opera del collettivo artistico milanese Orticanoodles svetta nel cielo di Milano e con i suoi 55 metri d’altezza conquista non solo il record di murales più alto d’Italia, ma anche di quello tra i più alti d’Europa. Il progetto si aggiunge alla lunga iniziativa di Rinascimento della street art a Milano, cui negli scorsi mesi hanno collaborato altri artisti, prendendo parte a progetti come I cento muri liberi, I tombini dell’artista, fino ai I muri dell’ippodromo di San Siro.

Ieri, l’azienda milanese Fratelli Branca Distillerie, per celebrare i suoi 170 anni di attività, ha inaugurato l’opera di street art sulla ciminiera dello storico stabilimento di Milano in via Resegone 2. «Spesso si associa alla street art la trasgressione, invece mi piace pensare che oggi ci possa essere attraverso quest’arte, ultra-contemporanea, un ripescaggio di quello che di buon c’è del passato», ha detto Walter  Contipelli, uno dei due artisti, intervistato da Magzine.

Com’è nata l’idea della realizzazione di questo Murales, che vince oggi il record del più alto d’Italia?

L’idea nasce dalla collaborazione con Branca: abbiamo deciso di operare sulla città di Milano con un intervento molto particolare rispetto a quelli tradizionali dell’architettura industriale, che il più delle volte tendono a far sparire l’elemento architettonico stesso. Abbiamo scelto di portare invece in rilievo la ciminiera e farla spiccare tra i tetti della città con un murales che la celebrasse attraverso il suo disegno e i suoi colori.

Quest’opera, oltre a essere un’esaltazione della ciminiera, dà al tempo stesso la possibilità a tutta Milano di fruire un’opera di arte pubblica. Spesso, infatti, l’arte è concepita in modo elitario ed esclude a priori tutti coloro che non hanno un determinato tipo di background culturale per poterne fruire e comprenderla. L’arte pubblica, invece, ha la caratteristica di essere facilmente compresa da chiunque.

Come si è sviluppato il progetto e come l’avete realizzato?

Questa fabbrica ha distillato erbe per 170 anni: l’idea è stata di rappresentare quelle stesse erbe, seguendo il tema di un giardino essenziale e verticale, con un riferimento anche alle maggiori opere che in questo periodo vengono realizzate a Milano. Abbiamo però adottato una tecnica rinascimentale chiamata “spolvero”, la stessa con cui Michelangelo ha realizzato la cappella Sistina. Abbiamo iniziato a lavorare a fine settembre, realizzando un bozzetto in scala che poi è stato diviso in 500 fogli da un metro quadrato ciascuno. Su ogni foglio è stata applicata una porzione del disegno, che è stato poi trasposto sulla ciminiera bucherellandolo con un chiodo: a quel punto non rimaneva che riempirlo di colori.

Cos’è la street art oggi? E cosa è cambiato negli ultimi anni?

Negli ultimi anni il più grande mutamento nei confronti della street art è stato operato dalle istituzioni. Se fino a pochi anni fa hanno sempre adottato una campagna di repressione verso questo fenomeno, negli ultimi 7 anni l’orientamento è cambiato. Le istituzioni hanno capito che qualcosa della street art può essere salvato e utilizzato per riqualificare zone degradate. Il vantaggio è stato quello di poter usufruire delle superfici a cui gli street artist di seconda e di terza generazione non hanno avuto accesso.

Con l’intervento di istituzioni, Comuni o grossi investitori privati, come in questo caso di Branca, si sta dando la possibilità agli street artist di lavorare su superfici più grandi e di portare la street art nella direzione del muralismo, corrente artistica che nasce 100 anni fa quando in Messico il popolo rappresentava sui muri delle opere di arte popolare, di cui ciascuno poteva fruire senza sentirsi escluso da un circuito dell’arte elitario.

Oggi, da quando le istituzioni hanno deciso di salvare la street art e di portarla in un circuito istituzionale, avviene la stessa cosa che è successa in Messico ai primi del Novecento.

Il comune di Milano concede abbastanza spazio alla street art?

Ha preso una direzione che sicuramente è avanguardistica, infatti ha attivato 6 mesi fa una progetto che si chiama Muri liberi, dando uno spazio ai giovani che vogliono esercitarsi o agli artisti che vogliono esprimersi. Nel quartiere di Quarto Oggiaro per esempio sono state realizzate le prime pareti cieche della città: degli interi murales di 300/400 metri quadrati. Una direzione in Italia quindi c’è, ma dei passi sono ancora da fare e il percorso è ancora lungo.

Certamente ci sono città molto più avanguardistiche, tra le tante Parigi, Londra Berlino, che questa direzione l’hanno presa già 10 anni fa e sono molto più avanti. Berlino è uno dei primi esempi in cui la street art si associa alla pubblicità: Nike commissiona a pittori muralisti muri di centinaia di metri quadrati per fare murales che poi hanno poi un piccolo rimando all’azienda. A Parigi, nel 13esimo arrondissement, molti street artist sono stati chiamati a intervenire su pareti veramente grandi e oggi lì si possono andare a vedere opere pioneristiche in termini di grandezza, capaci di generare anche una forma di turismo.

In questo meccanismo di “istuzionalizzazione” vi è una perdita nella libertà dell’artista?

Nessuna perdita di libertà, ma ciò che avviene oggi è un compromesso: il Comune dà da un lato il permesso di usufruire di certi spazi, ma dall’altro impone il vincolo di utilizzare toni che siano istituzionali e di trovare tematiche popolari. Al tempo stesso, però, l’artista non deve perdere la sua funzione di artista, di filtro della realtà, non si deve standardizzare.

Quali progetti avete per il futuro?

Sicuramente la mia ricerca va verso l’arte condivisa  e la possibilità di poter realizzare dei murales in ambiente pubblico attraverso la collaborazione con le persone vivono quel luogo: ci siamo accorti che la possibilità di poter intervenire in modo attivo in un progetto preserva più di qualsiasi altro divieto.

Essere parte attiva nella costruzione di un progetto permette innanzitutto di avere la possibilità di poter divulgare in modo corretto la sua anima. Abbiamo diversi progetti in ballo con il Comune di Milano: spero che il 2016 sia l’anno dell’arte condivisa e partecipata.