Esiste un filo sottile che lega il mondo del giornalismo a quello dell’arte e che permette all’uno di integrare l’altro, arricchendo un racconto con la potenza dell’umanità. Molly Crabapple è un’artista e scrittrice newyorkese che, con le sue immagini documentaristiche, incarna alla perfezione questo filo, unendo all’universalità di sistemi politici e sociali la soggettività degli individui che ne fanno parte. Per anni Crabapple ha viaggiato tra zone di guerra e la prigione di Guantanamo, tra i campi di lavoro di Abu Dhabi e Porto Rico devastata dopo l’uragano Maria, traendone scritti poi confluiti sul New York Times, Guardian, Rolling Stone e altre testate.

Ospite al Festival Internazionale di Perugia 2023 la Crabapple ha dialogato con la giornalista e più volte collega Marisa Mazria Katz: l’esito è stato un incontro dedicato al valore documentaristico di un’arte che sceglie di schierarsi in prima linea, in nome della dignità umana e della necessità della testimonianza.

L’interrogativo a partire dal quale è stato introdotto l’incontro è come sia possibile racchiudere in un’unica immagine tutta la complessità e il significato di un momento storico. Come risponderebbe a questa domanda?

È molto soggettiva e varia per ogni fotografo, videomaker, scrittore, artista. Quello che io cerco di fare è immedesimarmi con il luogo in cui mi trovo, cercando di capire che cosa al suo interno è essenziale. Penso sempre alla capacità di resilienza e alla sfida, anche di fronte a situazioni difficili, e quando la vedo cerco di catturarla.

Quali sono le potenzialità offerte dall’arte nell’atto di documentare un pezzo di storia?

Penso che la fotografia fornisca una prova, che abbia una parvenza di oggettività: può essere usata infatti per provare i crimini e anche per esporre persone che al contrario non dovrebbero esserlo, come i whistleblower. Ma l’arte è qualcosa di diverso: è necessariamente filtrata da una mano e da un cervello umani e per questo soggettiva e molto esplicita. Quello che cerco di fare quando mi occupo di guerra o di disastri naturali, come a Porto Rico, è mostrare, attraverso il mio lavoro, la dignità e l’umanità delle persone.

Persone nei campi di lavoro di Abu Dhabi. Illustrazione: Molly Crabapple.

Persone nei campi di lavoro di Abu Dhabi. Illustrazione: Molly Crabapple

Quale metodo di lavoro segue nel dare vita ai suoi disegni?

Di solito percorro due strade diverse: quella dello schizzo o quella del lavoro più rifinito. Nel primo caso mi armo semplicemente del mio quadernetto, di un pennarello, di una penna pilot e disegno. Nel secondo prendo il mio iPhone e scatto foto di riferimento per me stessa – sono una pessima fotografa, nessuno pubblicherebbe mai le mie foto –, poi quando sono a casa nel mio studio lavoro su quelle immagini scattate a penna e inchiostro.

Le sue illustrazioni sono ricche di volti, di persone, di storie: come sceglie i suoi soggetti e come è possibile raccontarli in un disegno?

Basta parlare con le persone, in maniera semplice, guardarle in volto e poi le si cattura. A volte ci sono persone così straordinarie. Mi ricordo quando ero ad Abu Dhabi e ho incontrato un giovane pakistano che faceva il whistleblower. È una città così razzista che era inimmaginabile che un giovane pakistano della classe operaia potesse aiutare grandi giornali internazionali a denunciare le violazioni. Non potevo disegnare il suo volto, dovevo tutelarlo. Così l’ho raffigurato con in mano un libro del suo poeta preferito: volevo mostrare qualcosa di lui senza però metterlo in pericolo.

Campo profughi di Domiz nel Kurdistan iracheno. Illustrazione: Molly Crabapple

Campo profughi di Domiz nel Kurdistan iracheno. Illustrazione: Molly Crabapple

Spesso i suoi lavori si caratterizzano per una compenetrazione di disegno e parola: qual è il risultato di questa fusione?

Sì, spesso mentre disegno e le persone dicono qualcosa di affascinante lo annoto. Nel rispondere a questa domanda dovrò cadere in un luogo comune: quello secondo cui un’immagine vale più di mille parole. Le parole sono per forza di cose limitate dallo spazio, mentre la realtà è infinita e i giornalisti si ritrovano a dover sottostare al conteggio dei termini. Un’immagine, invece, può catturare un istante forse non nella sua interezza, ma mostrare molto di più di quanto sarebbe mai fisicamente possibile raccontare.