Nella prima settimana di maggio 2023, la questione del caro affitti è tornata ad occupare le prime pagine dei giornali grazie alle tende che molti studenti hanno eretto come segno di protesta davanti ai maggiori atenei d’Italia. Le voci degli studenti universitari hanno sollevato una questione reale, ma che fa parte di un problema più ampio che coinvolge molti centri del Paese. Niente di troppo nuovo per la verità. Infatti, già dal 2015, in seguito alla crisi finanziaria del 2008, era stata registrata una forte crescita nel valore degli immobili, specie nelle grandi città del Centro-Nord come Milano, Bologna, Roma e Venezia.Non a caso le zone in cui sorgono le più importanti università del Paese per qualità della didattica e numero di studenti fuori sede. Per capire quanto pesino le università nel generare questo caro affitti basta considerare che il valore medio del patrimonio edilizio nazionale è sceso di più del 25% dal 2012 a oggi ma, nello stesso periodo, la variazione in Lombardia è stata del -18%, in provincia di Milano dello 0% e nel Comune di Milano del +39%! Valori più estremi sono rintracciabili esplorando le regioni meno dinamiche del paese. Sembra chiaro allora che, sebbene non sia l’unica motivazione, ci sia una stretta correlazione tra il rialzo dei prezzi degli alloggi del centro città con atenei che aumentano il proprio numero di studenti fuori sede.
Infatti, la radice del problema del caro affitti andrebbe rintracciata ancora più indietro, almeno alla fine degli anni Sessanta, periodo in cui l’istruzione superiore italiana passa, da essere il luogo per eccellenza della formazione delle élites della classe borghese, all’università cosiddetta di massa. In questo modo, nell’arco di quattro decenni il rapporto tra laureati e coetanei diplomati è passato dal 5,7 per cento del 1967, al 40,6 per cento del 2008, allineando l’Italia ai paesi europei. Tutto questo senza che le strutture si adattassero più di tanto al cambiamento (in molti casi si fa ancora lezione in palazzi antichi e lussuosi ma con aule minuscole), e rimanendo di fatto un sistema imperniato nel modello dell’ateneo urbano, come è sempre stato in passato.Il cortocircuito sta nel fatto che il numero dei laureati oggi in italia è ancora di gran lunga inferiore rispetto a quello degli altri maggiori paesi europei, ma le città italiane, che ospitano nei propri centri storici le più antiche università al mondo, già mostrano i primi segni di cedimento nel sostenere l’università ormai divenuta di massa.E che si prevede cresca ancora di più nei prossimi anni, specie se si vogliono raggiungere i livelli di laureati di Francia e Germania.
La dinamicità del lavoro attrae gli studenti a Milano e l’ha fatta diventare la città più cara dove vivere e risiedere. Ma, per la questione dei prezzi degli alloggi non può funzionare né l’equo canone, né sussidi monetari. Unica soluzione, secondo il professore Ugo Fratesi del Politecnico, “sono i campus fuori città, tutti ancora da costruire”
Veniamo al caso più emblematico di Milano, la città in cui è nata la protesta delle tende. È un fatto che negli ultimi anni la città abbia subito una trasformazione significativa nella composizione dei suoi cittadini, che ha portato a congestionare il mercato immobiliare, provocando una netta sovrabbondanza di domanda rispetto all’offerta. Da uno studio sulla mobilità degli studenti fuori sede condotto qualche anno fa dal professor Ugo Fratesi, docente di economia e politiche regionali al Politecnico di Milano, e da tre suoi colleghi si evince un dato importante relativo alle città più dinamiche del Paese, che può spiegare almeno in parte la situazione della città di Milano. Come ha spiegato lo stesso professore a Magzine “i fenomeni, di spostamento a lungo raggio degli studenti fuori sede che abbiamo studiato erano fondamentalmente tutti da Sud verso Nord”, ma come spiega il professore, la discriminante principale nella scelta degli studenti che si spostano, non è soltanto la qualità dell’ateneo ma “la dinamicità del mercato del lavoro nella città in cui vanno a studiare”. Questo spiega il grande successo di una città come Milano che oltre ad avere una grande diversità nell’offerta formativa, possiede anche un buon mercato del lavoro per quando gli studenti avranno terminato il loro percorso di studi. Tutto però è concentrato in un unico centro che, per via di questo grande successo, comincia a diventare una città molto ambita e perciò costosissima.
Oltre al già citato aumento degli studenti, ad oggi compreso tra 66mila e 200mila, Milano ha attratto numerosi investimenti internazionali negli ultimi anni, con oltre 150 società che hanno scelto il centro lombardo come sede. Sebbene sia difficile stimare con precisione il numero di dipendenti di queste società, potrebbero essere compresi tra 10mila e 20mila. Tuttavia, molti di loro potrebbero essere in città solo per brevi periodi o turni di lavoro.
Come è noto, poi, il numero di turisti a Milano è aumentato in modo significativo, superando i 6 milioni di visitatori all’anno. Questo ha creato una maggiore pressione sulla disponibilità di alloggi, incidendo sulla domanda degli alloggi. A Milano, la quantità di letti disponibili in strutture alberghiere e extra alberghiere è approssimativamente di 80mila, il che significa che l’offerta di alloggi a breve termine si è notevolmente ampliata.Tuttavia, questa situazione presenta alcuni problemi significativi. Innanzitutto, mancano regole e regolamenti specifici per questo tipo di alloggio. Inoltre, la proprietà è molto frammentata e spesso gli affitti vengono effettuati in modo informale e non dichiarato, ad esempio, da piccoli proprietari che ricavano da essi un reddito, che magari rappresenta la loro unica fonte di guadagno. Questo rende quasi impossibile ottenere una stima accurata del numero di alloggi disponibili. L’incremento dei costi è sostenibile per i turisti, ma per gli studenti, e ora anche per molti lavoratori della classe media, rappresenta una sfida. Sempre più persone si devono accontentare di stanze condivise da due, tre o quattro persone, fornite solo dei servizi essenziali.
L’offerta di letti negli studentati nel nostro Paese è bassa e le misure di sostegno ai giovani meritevoli e privi di mezzi sono ancora insufficienti. Se si vuole agire seriamente su questo aspetto bisogna allora ripensare criticamente alcune scelte compiute nel tempo. Infatti in Italia non si è mai pensato seriamente a finanziare forme di welfare studentesco, studentati e incentivi economici per chi decide di proseguire gli studi. Non a caso sono solo il dieci per cento gli iscritti in Italia che ricevono una borsa di studio, contro il 63 per cento francese o l’89 per cento svedese, e allo stesso tempo solo il 24 per cento lavora mentre studia, molto meno del 47 per cento tedesco, ma anche del 59 per cento polacco.
Tra le varie proposte che vengono sia dai giovani universitari, che dalla politica, c’è quella di calmierare il prezzo degli affitti. Ma secondo il professor Fratesi “reintrodurre una sorta di equo canone non funzionerebbe, perché se l’immobile a Milano attualmente costa svariati migliaia di euro al metro quadrato, imporre un affitto concordato significherebbe di fatto lasciarlo vuoto perché i privati non affitterebbero più agli studenti”.
Altra proposta presa in considerazione è quella di concedere sussidi monetari per permettere agli studenti meno abbienti di pagare l’affitto in città. Ma anche questa soluzione presenta alcune criticità. “Un bonus per funzionare deve essere in grado di intercettare la problematica nel modo giusto e nella misura giusta, altrimenti rischia di introdurre delle distorsioni”, spiega il professore. Dare un bonus agli studenti per pagare gli affitti, può essere una soluzione temporanea. “Ma di fatto un bonus del genere renderebbe ancora più elevati i prezzi degli immobili e finirebbe per trasferire in significativa parte i soldi pubblici dagli studenti ai proprietari delle case”: d’altronde sussidiare la domanda a fronte di un’offerta rigida non fa altro che aumentare i prezzi. Secondo Fratesi avrebbe molto più senso allora costituire degli alloggi pensati appositamente per gli universitari.Ad essere dello stesso avviso è l’Europa. Infatti, tramite il Pnrr sono stati stanziati complessivamente 960 milioni di euro per il potenziamento degli alloggi universitari.
È notizia di settimana scorsa che il governo Meloni, in pochi giorni ha ritirato l’emendamento da 660 milioni di euro per contrastare il caro affitti, per promettere poi di inserirlo in un nuovo decreto legge di cui non si conoscono ancora le sorti. La maggioranza temeva infatti che il provvedimento fosse dichiarato inammissibile, ma bisogna considerare che i soldi questa volta ci sono davvero, basterebbe impiegarli con più criterio. Nell’ambito della Riforma 1.7, del PNRR sono stati stabiliti due traguardi e due obiettivi su questo tema. L’obiettivo da raggiungere entro dicembre 2026 è molto ambizioso: aumentare di 60mila i posti letto, corrispondenti al 125% rispetto al dato iniziale di 47.500.Per raggiungere questo obiettivo, il PNRR prevede l’utilizzo dei 960 milioni di euro attraverso due strumenti. Da un lato, si prevede un aumento della percentuale di finanziamento ministeriale per i posti letto nelle residenze universitarie tramite la partecipazione a bandi previsti dalla legge 338/2000. Questa misura, che scadeva a dicembre 2021, mirava a fornire circa 7.500 posti letto aggiuntivi entro dicembre 2022, ma che per problemi burocratici non è ancora stata realizzata. Dall’altro lato, il Pnrr prevede di agire attraverso la riforma della legislazione sugli alloggi, al fine di introdurre nuove forme di partenariato pubblico-privato, agevolazioni fiscali e ridefinizione degli standard, con scadenza dicembre 2022. A questo secondo intervento il Pnrr affida gli ulteriori 52.500 posti letto da conseguire entro dicembre 2026.
Come è stato suggerito da alcuni commentatori, una soluzione efficace d’investimento per questi fondi è quella di puntare al modello dei campus americani, che spesso si trovano in aree distanti dai centri urbani più congestionati. In questo modo si potrebbero svuotare le città dal sempre crescente numero di studenti fuori sede, e abbassare domanda e prezzi.Un programma decennale di costruzione di nuove residenze è fattibile, commenta anche Fratesi, “ma non è una soluzione applicabile nell’immediato”. Oltretutto “la maggior parte dei campus universitari di successo, sono fuori città, ma non sono in mezzo al deserto”, infatti sono facilmente raggiungibili dalla città. Pensare di avere buone istituzioni universitarie scollegate dal sistema innovativo e produttivo della città è improbabile, spiega il professore, anche perché la vicinanza con il centro urbano è una delle motivazioni principali per cui gli studenti scelgono proprio quegli atenei e fattore di successo per gli atenei stessi. Ecco perché è fondamentale investire per potenziare il trasporto extraurbano. Tra le altre cose “bisognerebbe estendere le linee della metropolitana al di là dei ristretti confini comunali; rafforzare le linee ferroviarie extra-urbane; creare un efficace sistema di trasporto pubblico circolare e rafforzare i parcheggi di interscambio automobilistico alle porte della città”. Questi e altri interventi gioverebbero all’espansione dell’hinterland dando respiro al centro delle città.