I deserti sono luoghi magici. Una volta attraversati non si dimenticano. Max Calderan ama essere definito un “esploratore estremo di deserti” ed è noto in tutto il mondo per averli attraversati senza soste, senza dormire e senza assistenza medica. La sua prossima – e forse ultima – sfida sarà la traversata del ‘Quarto vuoto’ in Arabia Saudita, la più grande distesa sabbiosa del mondo, tuttora inesplorata.


Com’è nata l’idea di attraversare deserti?

«Il segreto sta nel voler esplorare il mondo intorno a noi. Mi piace attraversare deserti impraticabili, con dune di sabbia altissime che neanche le auto possono affrontare, arrivare in luoghi dove nessuno è mai giunto prima. Quando qualcuno mi dice che è impossibile sento già che lo posso fare. Mi interessa aprire nuovi itinerari che nessuno ha mai neppure lontanamente immaginato, pensato o ipotizzato».

Come sceglie quali deserti attraversare?

«Avviene tutto in modo casuale. Mi scatta qualcosa nella mente e sento un’emozione fortissima. Così capisco qual è il prossimo deserto da esplorare. Spesso mi capita di pensare a una nuova sfida prima ancora di affrontare quella che ho già in programma».

Che cosa contiene il suo zaino?

«Nello zaino metto quello che mangio tutti i giorni: frutta e carne secca, latte di cammella. L’importante è non sprecare l’acqua che porto con me. In un giorno riesco a percorrere fino a 160 chilometri a temperature altissime consumando soltanto mezzo litro d’acqua».

Imprese eccezionali come le sue richiedono un allenamento fisico molto intenso prima di mettersi in marcia. Come si è preparato?

«Con il caldo devi imparare a gestire una situazione davvero estrema, senza oltrepassare il limite» «Nulla si improvvisa, bisogna allenarsi costantemente. Come in ogni cosa infatti per ottenere buoni risultati si devono fare grandi sacrifici. Ho sempre praticato sport estremi imparando a dominare il mio corpo. Il grande allenamento, però, è mentale: non mangio per tre giorni, non bevo per tre giorni oppure non dormo per tre giorni. Chiunque raggiunga questi livelli può sopravvivere in ogni ambiente e situazione».

Lei dorme pochissime ore a notte. Come ha imparato a gestire il sonno?

«Negli anni ho sviluppato un metodo di privazione del sonno. Faccio dei micro cicli di riposo di circa 5 minuti ogni tre o quattro ore. Non posso fermarmi a dormire nel deserto di notte: troppi animali e pericoli».

© Mauro Grigollo


Il deserto regala spazi infiniti, paesaggi solitari e soprattutto tanto silenzio. Quali emozioni prova durante le traversate?

«La sensazione che si prova attraversando luoghi ignoti è unica, un’esperienza straordinaria. Questi territori sono vergini e incontaminati ed esplorarli in solitaria è la cosa più bella del mondo. Sono emozioni che vanno assaporate e gustate passo dopo passo».

Le capita mai di avere paura?

«La paura non esiste nel mio vocabolario. È uno strumento di controllo che condiziona la vita: per paura rinunciamo a troppe cose finendo per vivere un’esistenza che non ci appartiene. Tutto quello che definiamo paura è già a priori un limite, un’interferenza sul nostro equilibrio che possiamo facilmente eliminare».

I beduini l’hanno soprannominata ‘Mahdī’, che significa ‘Il ben guidato’. Soltanto ai profeti era concesso di attraversare il deserto in totale solitudine e senza alcun tipo di assistenza. I beduini hanno accostato le sue imprese a qualcosa di spirituale, di mistico.

«La spiritualità si connette a una sfera personale e privata. È un’esigenza che ognuno di noi vive a modo suo. Di sicuro, per i beduini definirmi ‘Il ben guidato’ ha una valenza spirituale, nel senso di un’entità superiore e benevola che si prende cura di me. Penso che abbia anche una connotazione logica: per fortuna fino a oggi non mi sono mai perso, né sono rimasto intrappolato nella morsa della sabbia».

Quando incontra nomadi o beduini che cosa le domandano?

«I beduini sono increduli nel vedermi sparire e riapparire inghiottito dalle sabbie infuocate. Ogni volta mi sconvolge la loro spontaneità: tanti di loro non hanno mai visto il mare, né la pioggia. Sanno essere accoglienti e generosi pur non possedendo niente. Tra di noi c’è una grande forma di rispetto reciproco».

«Il deserto che mi ha colpito di più è quello che devo ancora esplorare» Tra tutti i deserti che ha attraversato, quale le è rimasto più impresso?

«Quello che mi ha colpito di più è quello che devo ancora esplorare. Considero un po’ come dei figli tutti i deserti che ho attraversato. Non ne esiste uno più o meno bello. In ognuno di essi ho vissuto emozioni uniche e irripetibili».

© Mauro Grigollo


Lei è l’unico esploratore che sia riuscito ad attraversare una porzione del Rubʿ al-Khālī, il grande deserto della Penisola araba. 360 chilometri in 75 ore. Durante l’impresa ha resistito a temperature di 58 gradi. Che cosa accade al nostro corpo in condizioni estreme?

«Mi sono preparato a lungo per affrontare situazioni estreme, con temperature del suolo di 75 gradi. Il caldo mi attrae terribilmente, ha un fascino particolare perché non ci si può difendere. Per quanto freddo possa fare l’uomo può sempre proteggersi da solo. Al contrario, con il caldo devi imparare a gestire una situazione davvero estrema cercando di non oltrepassare mai il limite».

Lei ha raggiunto traguardi incredibili e scientificamente inspiegabili. Quando ritiene che una situazione sia davvero estrema?

«L’estremo è quel punto oltre il quale esiste il non ritorno, la morte. Quando qualcuno dice che bisogna oltrepassare i propri limiti secondo me sbaglia. Il segreto è arrivare al limite e spostarlo proiettandosi nel mondo dell’estremo, un limbo pericoloso dal quale soltanto l’esperienza ti permette di tornare a casa sano e salvo».

Di notte come si difende dalla forte escursione termica?

«Il mondo dell’estremo è un limbo pericoloso, soltanto l’esperienza ti può salvare» «Lo sbalzo termico non è forte in tutti i deserti. Nel Golfo Persico ci possono essere 55 gradi di giorno e 42-44 di notte. In alcuni deserti, invece, la temperatura può raggiungere lo zero termico. La mia particolarità è quella di non fermarmi mai: lo sforzo fisico mantiene la temperatura del mio corpo a un livello accettabile e il freddo non rappresenta un problema».

Nel Progetto Exodus ha ripercorso il cammino di Mosè. 150 chilometri in 24 ore. Un record per sensibilizzare la situazione dei pozzi d’acqua nel Sinai che si potrebbero risistemare con minimi investimenti. Quanto incide l’impegno civile nella scelta dei deserti da attraversare?

«L’impegno civile incide poco perché ovunque ci sono situazioni che necessitano di avere maggiore visibilità. Nel Sinai grazie alla mia traversata sono stati costruiti o rimessi a posto sette pozzi d’acqua che hanno aiutato piccoli villaggi ad avere una vita migliore».

Lei tiene programmi di training che permettono di sbloccare, ottimizzare e massimizzare il potenziale. Quale consiglio darebbe ai giovani per affrontare le sfide professionali e quelle personali della vita quotidiana?

«Indipendentemente dal tipo di avventura che dobbiamo affrontare, il mio consiglio è di non seguire i pensieri di altre persone per raggiungere i propri obiettivi. Ognuno di noi deve scrivere il proprio libro. Un altro consiglio è di essere sempre se stessi: nessuno di noi è una persona media. Possiamo creare il nostro metodo per raggiungere gli obiettivi sia nello sport che nella vita. Molto spesso di fronte alle sfide la risposta giusta è dentro di noi».