«Chissà, chissà domani / su che cosa metteremo le mani / se si potrà contare ancora le onde del mare», così cantava Lucio Dalla negli Ottanta raccogliendo le preoccupazioni di un’intera generazione minacciata dallo spettro della Guerra fredda. E a distanza di anni, le parole dell’artista bolognese appaiono attuali di fronte a una contemporaneità ferita da conflitti e tensioni. Il 4 marzo Lucio avrebbe compiuto 81 anni e il mondo lo ricorda ancora come uno dei cantautori più influenti del ventesimo secolo. L’anno che verrà, La sera dei miracoli e Caruso: tanti i brani di Dalla che ormai appartengono all’immaginario collettivo e che, nonostante i decenni, riescono a catturare anche l’attenzione dei più giovani.
«E pensare che all’inizio Lucio cantava e suonava, ma non scriveva i testi», racconta Gioachino Lanotte, chitarrista che collaborò con il compositore nella realizzazione di due dischi. Ormai Lanotte ha preso un’altra strada appendendo la sua chitarra al chiodo: da tempo insegna all’Università Cattolica, ma il ricordo del cantante è ancora vivo nel suo cuore. «L’incontro con il produttore Sandro Colombini ha segnato un punto di svolta: è stato lui a intravedere il potenziale di Lucio come autore, consigliandogli di buttarsi sulla scrittura», aggiunge. E Colombini ci vide lungo: dalla penna dell’artista bolognese, in quegli anni, nacquero pezzi come Anna & Marco, Balla balla ballerino e Cara. Lucio Dalla, da grande polistrumentista, divenne autore di testi indimenticabili e senza tempo.
«Quando lo conobbi per la prima volta era steso in terra, con la testa sulla custodia del suo sassofono: non era ancora il Lucio che vendeva milioni di album», racconta sorridendo Lanotte. Quel giovane Lucio, di lì a poco, avrebbe dato vita a uno dei dischi più memorabili della storia della musica italiana: Come è profondo il mare. Il suo successo fu inarrestabile, ma il cantautore rimase sempre quel ragazzo talentuoso, spontaneo e genuino. «Una sera andammo a cena dopo un concerto a Verona: si mise una coppa sulla testa e due ciliegie dietro le orecchie, a mo’ di pendenti, e iniziò a ballare per la sala», ricorda il musicista. In Dalla la maturità e l’infanzia si fondevano in un tutt’uno e fu, forse, questo dualismo a renderlo così accessibile a tutti, senza limiti di età. «Da lui potevamo aspettarci di tutto, anche che salisse su un tavolo e iniziasse a cantare e danzare», aggiunge Lanotte, mentre un sorriso sempre più marcato appare sul suo volto.
«Nel mondo ci sono le persone comuni e poi c’è chi abbatte i confini dell’ordinarietà: Lucio apparteneva decisamente alla seconda categoria», lo ricorda con nostalgia Lanotte. Dalla, però, era quasi inconsapevole del suo talento e del suo impatto sulla discografia. Empatico, generoso e dal cuore gentile, aveva un grande rispetto per chiunque si approcciasse alla musica: per lui, infatti, quella degli artisti era una grande comunità, senza distinzioni tra chi era primo in classifica e chi, invece, suonava per le strade di Bologna. «Supportava molti musicisti in erba, dagli Stadio a un giovanissimo Cesare Cremonini dicendogli: “se va bene a me, andrà bene a tutti”», aggiunge Lanotte. In realtà, forse, Lucio aveva captato le capacità di artisti che, di lì a poco, avrebbero calcato i grandi palchi nel nostro Paese.
Sono trascorsi anni dai più grandi successi di Lucio, ma la sua musica è ancora una colonna sonora della vita di molti italiani. Le sue canzoni non invecchiano mai e per Gioachino Lanotte la spiegazione è una sola: «Le abitudini cambiano, le mode passano veloci soccombendo al tempo, ma le canzoni di Dalla mirano al cuore delle persone e quello non cambia mai».