Dipende esclusivamente dal petrolio ma deve ora affrontare il problema dell’enorme eccesso di oro nero nella produzione globale: l’Arabia Saudita è tra i Paesi che si trovano a fare i conti con la caduta del prezzo del petrolio ai minimi storici. Ad oggi stabile a poco più di 50 dollari al barile, mentre, secondo tecnici sauditi, lo Stato arabo avrebbe bisogno che le quotazioni salissero a oltre 80 dollari per mantenere in ordine le sue finanze pubbliche.
Il peso del settore petrolifero rappresenta il 42% del PIL del regno nonostante il crollo del prezzo del greggio negli ultimi anni. Un’economia quella saudita che ha da sempre trovato nell’oro nero la sua ricchezza principale grazie alla presenza dei più grandi giacimenti al mondo nella regione che consentono allo Stato arabo di mettere sul mercato fino a 10,2 milioni di barili al giorno. Il petrolio saudita, a differenza di quello degli altri produttori, è particolarmente economico da estrarre: la maggior parte delle riserve è infatti concentrata in giacimenti a cui è facile accedere e questo permette di riempire un barile per meno di 10 dollari. L’Arabia Saudita produce fino a 10,2 milioni di barili al giorno L’Arabia Saudita si trova al primo posto nella graduatoria OPEC (Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio) degli Stati detentori di riserve mondiali di greggio: da sola dispone di oltre un quarto del totale mondiale di petrolio, con scorte che garantirebbero una fonte di ricchezza al regno per i prossimi 60 anni. Grazie alla sua elevata qualità, inoltre, l’oro nero saudita non comporta elevati costi di raffinazione e la Saudi Aramco, compagnia petrolifera statale che possiede la quasi totalità delle risorse disponibili nella regione, sta puntando sempre di più sulla produzione in loco di raffinati, in modo da sviluppare in patria l’intera filiera produttiva e far fronte alle oscillazioni dei mercati.
La continua crisi petrolifera degli ultimi anni ha infatti portato i Paesi OPEC e gli altri esterni al gruppo a siglare, lo scorso novembre a Vienna, un accordo per ridurre la produzione di petrolio e far risalire la sua quotazione a partire dal 2017. L’intesa, in vigore da poco più di un mese, ha già prodotto il 90% dei tagli promessi: un calo di 1,04 milioni di barili al giorno su un obiettivo di 1,16 mbg. Ruolo chiave è stato quello dell’Arabia Saudita, primo produttore ed esportatore di greggio al mondo, che ha ridotto la sua offerta di 486 mila barili al giorno e si è detta pronta a chiudere ulteriormente i rubinetti. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia già nel primo semestre del 2017 il prezzo del greggio potrebbe superare i 60 dollari al barile e mantenersi stabile. Una quotazione che non riuscirebbe comunque a pareggiare il pesante deficit accumulato nel bilancio di Riad che, nonostante le preoccupazioni destate fino a oggi dal costante calo dell’oro nero, può fare affidamento su riserve valutarie di oltre 600 miliardi di dollari che permetterebbero al regno di sopravvivere per altri sei anni anche con i prezzi del petrolio ai minimi termini.