La Libia, ogni giorno che passa, diventa l’esempio più eclatante del fallimento delle primavere arabe. Oltre alla fortunata eccezione della confinante Tunisia, in tutti i Paesi interessati si è tornati o alla riaffermazione dei regimi precedenti, come nell’Egitto del generale al-Sisi, oppure in una situazione di aperta guerra civile come in Siria. Un risultato che il principe Manfredi creato dalla penna di Tommasi di Lampedusa ha immortalato con il motto “bisogna che tutto cambi perché tutto resti com’è”.

La Libia non fa eccezione. Con il colonnello Gheddafi saldamente al potere, il centinaio di tribù che almeno a parole accettavano lo stato nazionale venivano tenute a bada con la spartizione delle posizioni chiave dell’amministrazione e dei proventi derivati dalla vendita del petrolio.
Caduto Gheddafi, e con lui l’unità apparente dello stato libico, l’unico bottino che ha continuato a fare gola a tutti è stato l’oro nero. Per controllarne qualche barile i gruppi armati più eterogenei si affrontano da più di tre anni, salvo brevi periodi di calma apparente.

Dopo Gheddafi, un presente incerto

Non è un compito facile tentare di fare chiarezza sulle forze che si stanno affrontando nella Libia post Gheddafi. Non esiste un fronte unitario. Ogni città diventa una roccaforte a sé stante e anche delle forze che a rigor di logica dovrebbero combattere dalla stessa parte sono meno unite che in apparenza. Il parlamento libico, riconosciuto dalla diplomazia internazionale, è asserragliato nella città di Tobruk, a 1500 chilometri dalla capitale Tripoli e a poco più di 300 chilometri dal confine con l’Egitto.

Da qui i 115 deputati, dei 200 che dovrebbero formare l’assemblea, esercitano un controllo teorico sul Paese facendo affidamento sulle poche divisioni dell’esercito rimaste fedeli al governo e sul teorico ombrello protettivo della comunità internazionale. La situazione è talmente precaria che i deputati e le loro famiglie vivono su un traghetto greco pronto a levare l’ancora in qualunque momento. Ai cronisti del Guardian, fonti ufficiali hanno dichiarato che la scelta sarebbe dettata dalla mancanza nella città di Tobruk di strutture adeguate per ospitare il parlamento, ma in pochi sembrano credere alla versione ufficiale.

Tra le forze dell’esercito rimaste fedeli al parlamento eletto di Tobruk si trovano anche quelle del tenente generale Khalifa Belqasim Haftar, numero tre dello Stato maggiore libico. Sospettato di aver organizzato un colpo di stato nel mese di febbraio del 2014 è tornato alla carica nel maggio dello stesso anno, scatenando le sue truppe contro le forze filo islamiste concentrate a Bengasi. Con l’operazione Karama (dignità), Haftar, sospettato di essere un uomo della Cia che finanzierebbe la sua campagna militare, ha tentato di riprendere il controllo della seconda città libica. Stando alle ultime notizie della fine di novembre Haftar controllerebbe Bengasi e avrebbe intenzione di indirizzare la sua campagna contro Tripoli. Una parte dell’operazione Karama prevedeva infatti di riconquistare la città, anche se non è ben chiaro se il generale abbia poi intenzione di restituirla al governo legittimo.

Tra forze filo-islamiche e militari

© United Nations Photo / CC BY-NC-ND 2.0

Una bambina durante una celebrazione a Tripoli [© United Nations Photo / CC BY-NC-ND 2.0]

La capitale della Libia è diventata la roccaforte dei movimenti filo islamisti, che non riconoscendo l’attuale parlamento a maggioranza laica e progressista, hanno riportato al governo la precedente assemblea caratterizzata da una forte connotazione religiosa. Gli uomini di Alba Libica sono la principale forza militare dello schieramento, ma a questo si vanno ad affiancare anche le falangi del gruppo Ansar al-Sharia, in cerca di vendetta dopo la sconfitta di Bengasi ad opera del generale Haftar. Paradossalmente a questo fronte si aggiungono anche molte delle brigate nate per rovesciare il colonnello Gheddafi, come quella Misurata, che vedono nel parlamento di Tobruk il tentativo del vecchio entourage del regime di tornare al potere.

A questi due schieramenti si aggiungono le numerose milizie che cambiano quotidianamente bandiera con il solo scopo di controllare la più ampia fetta di torta del traffico di esseri umani, droghe, armi e risorse energetiche. Soprattutto questi gruppi di criminali travestiti da idealisti hanno un enorme interesse nel perdurare dell’anarchia in Libia.L’Isis ha usato il corrente stato di anarchia come grimaldello per affacciarsi sul Mediterraneo

Uno stato di anarchia che l’Isis ha usato come grimaldello per affacciarsi sul Mediterraneo. Da poco meno di un mese, un gruppo di 800 combattenti che si dicono fedeli ad al-Bagdadi ha cacciato da Derna le milizie della brigata Abu Salem di Al-Qaeda, proclamando l’appartenenza della cittadina al califfato. Il califfato di Derna, insieme alle forze islamiste sottomesse all’Isis controllano la Cirenaica tramite il Consiglio della Shura. Il Consiglio non ha mai tenuto segreta la sua intenzione di marciare verso la capitale ed estendere la legge sharitica su ciò che rimane dello stato libico.

Ora l’Isis ha la sua testa di ponte in Libia e l’Europa, Italia in testa, una nuova e bruttissima gatta da pelare.