Friedrich Nietzsche pensava che “i giorni in cui non abbiamo ballato almeno una volta” andrebbero considerati “persi”. Eppure, per quasi un anno il Covid ha lasciato  impotente un pezzo della cultura italiana, il balletto, chiudendo i teatri. Il dpcm del 18 ottobre ha segnato per la seconda volta una battuta di arresto e ha portato tutto il mondo della danza verso l’attesa di una decisione definitiva, un limbo dove la cultura respinge la mannaia della serrata, e chiede un tavolo di confronto, oltre che sostegni economici a fondo perduto, soprattutto per le Compagnie di ballo.

© Photo Carla Moro & Aurelio Dessì

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Un esempio di eccellenza del settore che si è trovata a combattere con le chiusure da Coronavirus è la compagnia ‘Balletto di Milano’, ambasciatrice della danza italiana con i suoi spettacoli in tutto il mondo. Sostenuta da MIBACT (Ministero per i Beni e le Attività Culturali) e riconosciuta dalla Regione Lombardia, ha la sua sede al Teatro degli Arcimboldi di Milano.

© Photo Carla Moro & Aurelio Dessì

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Da 22 anni la Compagnia è diretta dal maestro Carlo Pesta e, nel corso della sua storia, ha collaborato con artisti e coreografi di grandissima fama. Grazie a Pesta, negli ultimi anni,il Balletto di Milano ha dato il via a relazioni internazionali in collaborazione con istituzioni quali la Svizzera, la Francia, l’Estonia, la Finlandia, il Marocco ed l’Egitto. Tra le più importanti si ricorda la realizzazione degli spettacoli per il Saaremaa Opera Festival 2015 (Estonia) e l’inaugurazione del Festival FITUC 2017 a Casablanca su invito dell’Ambasciata Italiana in Marocco per rappresentare l’Italia. Dal 2018 la Compagnia fa la sua parte nel programma ufficiale per le celebrazioni dei Cento anni della Repubblica Estone, sotto l’egida dell’Ambasciata Italiana a Tallinn.

I progetti della Compagnia sono sempre stati pensati in grande, per abbattere le barriere internazionali e portare la danza italiana in tutto il mondo, finché non è arrivato Il Covid. Abbiamo ripercorso tutto lo scenario attuale proprio con Carlo Pesta, per capire cosa sta cambiando nel panorama artistico in un’era caratterizzata da mascherine e distanziamento sociale.

Quando è diventato direttore del ‘Balletto di Milano’ e che cosa prevede il suo progetto artistico?

Sono subentrato nel 1996 come direttore di produzione e nel 1998 sono diventato presidente e direttore artistico per realizzare un progetto importante, ovvero quello di far diventare la compagnia seconda a Milano solo alla Scala. Nel progetto artistico rappresentiamo questa nostra città nella sua completezza, e anche nella ricerca del design, dell’eleganza e della moda nei nostri balletti.Ci occupiamo al 90% di balletto classico, ma attualizzandolo con una ricerca continua di movimenti e di gusto, che abbia come base la danza accademica. Usciamo dalla squadratura tecnica per reinventarci. Infatti, il successo della compagnia è dovuto anche alla scenografia e ai costumi (abbiamo fatto collaborazioni anche con Armani, Atelier Bianchi, Max Mara). 

Quanti sono i membri della Compagnia?

Abbiamo uno zoccolo duro di ballerini fissi, che in questo momento sono 14, ma con gli aggiunti stagionali o a progetto arriviamo a 26.La fascia di età dei ballerini è molto importante per noi, perché vengono selezionati a partire dall’ottenimento del loro diploma in Accademia e li formiamo. Vengono scelti 4-6 danzatori l’anno e vengono presi per imparare e studiare con la Compagnia, in modo che vengano traghettati dal mondo dello studio al mondo del lavoro. Non pagano nulla per la formazione, anzi vengono pagati per la loro partecipazione agli spettacoli. Molti di loro, dopo il periodo di apprendimento, si sono sempre fermati con noi. Li ingaggiamo a partire dai 18 anni: il più “anziano” ha 34 anni. Siamo una Compagnia con tanti progetti e una vita interna molto vivace, che va oltre i 100/120 spettacoli all’anno. Abbiamo un valore di mercato in tutto il mondo, soprattutto in Russia e nei Paesi ex-sovietici, i quali sono riconosciuti per la qualità artistica e manageriale. 

Qual è il ricordo più bello che porta con sé nella sua carriera artistica?

Tocchiamo sempre teatri importanti e grandi, maricordo in particolare nel Duemila il momento in cui siamo sbarcati al Teatro Bolshoi di Mosca come prima compagnia italiana in scena. Cinque recite tutte piene e stavano facendo bagarinaggio in aggiunta nelle metropolitane, per avere i nostri biglietti. Oppure due anni fa in Italia ho questo ricordo felice al Teatro Massimo Bellini di Catania, un vero e proprio museo, dove abbiamo raggiunto il record di incassi e di presenze per la danza: sette recite sold out, oltre la capienza possibile. E, infine, a casa nostra all’Arcimboldi, prima del Covid, abbiamo rappresentato lo Schiaccianoci con 5mila presenze in due giorni. Abbiamo ballato con l’orchestra dal vivo, l’Orchestra Filarmonica Italiana, con cui continuiamo a collaborare. 

Quest’anno purtroppo il mondo dello spettacolo è stato il primo a subire gli effetti delle ondate di epidemia da Coronavirus. Il governo vi è stato accanto in queste circostanze? 

Assolutamente no. Siamo stati penalizzati a partire dalla prima ondata perché da febbraio non facciamo più uno spettacolo. Mettere in moto uno spettacolo è come accendere una macchina enorme e complessa, fatta di persone e prove. Poi sembrava da ottobre che potessimo ufficialmente ripartire, ma dal 24 ci hanno dato un ulteriore stop.Per noi è una tragedia; tutti i ragazzi e lo staff sono in cassa integrazione, anche se le segreterie non possono chiudere perché è necessario gestire tutti i rapporti con l’estero. Continuiamo a cancellare e a spostare spettacoli, sperando che qualcosa possa cambiare. Gli aiuti dello Stato non sono aiuti concreti per noi: dalla cassa integrazione non si ricava lo stipendio e sono soldi tassati. 

“Provate a immaginare che cosa vuol dire chiudere un teatro. Un teatro come il nostro, da 2360 posti, con 40 persone dentro che lavorano, con le spese necessarie. Solo di una cosa sono sicuro: dopo tutto questo non si tornerà alla normalità di prima, in nessun settore”

I ballerini hanno trovato dei modi alternativi per allenarsi? O avete pensato a introdurre spettacoli sul web?

A casa si può fare qualche cosa, ma è una cosa castrante e deprimente. Abbiamo sale molto grandi e tenevamo sempre la mascherine, adottando le misure di sicurezza (misurazione della temperatura tutti i giorni, tamponi, etc…). Si lavorava anche bene. Invece adesso le compagnie fanno fatica a sopravvivere e come loro anche le scuole di ballo dove i ragazzi hanno la necessità di studiare. Le iniziative nei nostri confronti sono molto pesanti. Ma soprattutto,provate a immaginare che cosa vuol dire chiudere un teatro. Un teatro come il nostro, da 2360 posti, con 40 persone dentro che lavorano, con le spese necessarie. Molti eventi vengono organizzati online, ma nel nostro caso non ci sono le condizioni, in quanto non portano abbastanza introiti. Tutti i sabati sera durante il lockdown mandavamo gratis i nostri spettacoli sul web, ma lo facevamo per mantenere un contatto con il nostro pubblico. La miopia dei Governanti in questo settore ci fa sentire adesso un po’ soli. 

Le chiedo di immaginare uno scenario futuro, nonostante l’incertezza. Come vede il mondo dello spettacolo nei prossimi mesi?

Non saprei, perché dopo il primo lockdown pensavamo di ripartire con le attività durante l’estate, ma sono state bloccate. Adesso anche la stagione autunno-inverno è stata fermata e non si può prevedere più niente. Ci siamo sempre lanciati nell’organizzazione esolo di una cosa sono sicuro: dopo tutto questo non si tornerà alla normalità di prima, in nessun settore. 

Con l’idea di una possibile riapertura, continuerete a viaggiare?

Speriamo di poter riprendere dalla tournée di Israele con Anna Karenina a febbraio e magari in qualche località italiana. A metà marzo avevamo previsto come tappe la Francia e la Svizzera, senza dimenticare il nostro Arcimboldi con la messa in scena della Carmen. A maggio avevamo previsto un tour anche negli Stati Uniti e in Canada.I progetti ci sono ed è solo una questione di riaccendere i motori. Ma da febbraio scorso a questo gennaio parliamo di un anno di stasi e questo è veramente troppo.