Quando si parla di salute mentale e giornalismo prevale ancora lo stigma, ma qualcosa sta cambiando anche grazie all’opportunità di affrontare la questione. Questo è stato uno dei primi concetti che Nadine Hoffman, vicedirettrice dell’International Women’s Media Foundation, ha espresso nel panel “Come tutelare la salute mentale dei giornalisti che subiscono attacchi online” del Festival internazionale del giornalismo di Perugia dove è stata moderatrice. L’IWMF è un’organizzazione globale fondata da alcune giornaliste americane nel 1990 a Washington DC, dove ha sede.

Di cosa si occupa l’International Women’s Media Foundation?

L’IWMF opera per sostenere le giornaliste donne e non binarie in tutto il mondo. Lo fa attraverso la creazione di opportunità, come le borse di studio e la formazione. Ci concentriamo sulla parità di genere, ma anche sull’equità per altri tipi di giornalisti emarginati. Ci occupiamo molto di sicurezza, focalizzandoci anche sulla violenza online oltre che su quella fisica e psicologica. Inoltre, diamo premi che riconoscono il coraggio delle giornaliste.

Quali sono le principali difficoltà che le giornaliste affrontano ogni giorno?

Sono tante. Direi che le barriere di genere che ostacolano la parità delle donne nei media restino un problema serio: vediamo tanta misoginia. In questo momento, notiamo in particolar modo come in tutto il mondo i diritti delle donne siano stati fatti regredire. Un fenomeno che certo riguarda anche le donne nei media: per questo, è necessario stabilire parità ed equità all’interno delle redazioni per poter prendere decisioni in quelle redazioni ed essere promosse a posizioni di responsabilità, ma anche per la sicurezza e per le sfide uniche per la sicurezza che le donne affrontano. In quanto donne, presentano livelli unici di rischio e hanno più probabilità di subire attacchi online rispetto ai colleghi uomini.

Che impatto hanno sui giornalisti gli attacchi online?

Credo che il più grande sia quello di metterli a tacere. Ciò ha certamente lo stesso impatto di un’aggressione fisica, solo che un attacco online vi segue ovunque voi andiate e fa sì che le persone sentano il bisogno di smettere di scrivere della storia che potrebbe suscitare attacchi, di non essere così presenti sui social media o di nascondersi per non essere attaccati.

Avete sviluppato una guida per proteggere le redazioni e i giornalisti contro la violenza online. In cosa consiste?

L’abbiamo creata perché ci siamo resi conto che non esistevano molte risorse pratiche in grado di aiutare le persone che hanno a che fare con gli effetti sulla salute mentale di un attacco online. La guida analizza come valutare il rischio per la propria salute mentale derivante da questi attacchi. Inoltre, si occupa di alcuni esercizi pratici che possono aiutare a gestire situazioni come lo stress, gli attacchi di panico, il disturbo da stress post-traumatico e persino a prevenire lo sviluppo del disturbo post-traumatico. Non sostituisce il terapeuta, ma è un punto di partenza per aiutare a riprendere il controllo e iniziare a pensare a come prendersi cura di sé stessi.

Che ruolo hanno le redazioni nel gestire situazioni del genere?

Le redazioni hanno una grande responsabilità riguardo al dovere di diligenza dei loro giornalisti e nell’assicurarsi che ci siano sistemi in atto per proteggerli, per consentire loro di riferire quando si trovano di fronte a questi attacchi e di ottenere il sostegno di cui hanno bisogno, compreso quello terapeutico. Non si è soli: ci sono molte organizzazioni che fanno parte della Coalition Against Online Violence create apposta per fornire risorse, formazione e supporto alle persone che subiscono questi attacchi.