Alla preghiera del venerdì il Centro Islamico di via Cassanese, alle porte di Milano, raccoglie un gran numero di fedeli della comunità milanese. Ma di giovani se ne vedono pochi. Non c’è da stupirsi. Come per i loro coetanei cristiani, i luoghi di culto non esercitano più una grande attrattiva sui ragazzi musulmani.
Eppure, la maggioranza dei combattenti che da tutto il mondo vanno in Siria e Iraq per unirsi alle milizie dell’Isis, non ha ancora trent’anni. Secondo gli ultimi dati rilasciati dal Viminale, dei 15 mila foreign fighters partiti per il Medio Oriente, solo 50 sono italiani (contro gli oltre 400 di Francia o Inghilterra). Nonostante la cifra ridotta, è plausibile pensare che le dinamiche che spingono i giovani immigrati a lasciare i Paesi d’adozione per arruolarsi nell’Isis valgono in tutto l’Occidente.Dei 15mila combattenti internazionali arruolati dall’Isis, solo 50 sono italiani, contro gli oltre 400 di Francia e Inghilterra.
La realtà dei fatti smentisce le convinzioni di quelle forze politiche che vede nelle moschee centri potenziali di reclutamento di terroristi o estremisti. «Spesso chi interpreta l’Islam come una religione di odio è una persona che non è mai venuta in contatto con l’esperienza di un imam», spiega Ali Abu Shwaima, presidente del Centro Islamico di Segrate. «Chi cerca un alibi alla sua violenza, troverà nel Corano un’incitazione alla violenza. Ognuno legge quello che vuole leggere, se non ha gli strumenti adatti per interpretare i testi in maniera corretta».
Chi decide di convertirsi come auto-didatta si è formato su una galassia di siti e testi vicini all’interpretazione più radicale delle parole di Maometto. «Certamente, se si leggono le cronache arabe del 1100, l’Islam sembrerà una religione costretta a difendersi dai crociati, ma non si deve applicare una visione medievale ai giorni nostri», continua Shwaima.
Spesso la deriva più radicale, che può arrivare fino all’estrema scelta di unirsi alle fila del terrorismo internazionale, non ha nulla a che fare con un messaggio religioso. O meglio, nel caso di chi è emigrato in Paesi stranieri, questo viene preso a schermo di un senso di frustrazione frutto dell’emarginazione e della difficoltà a integrarsi nel Paese di adozione. Per altri ancora, la radicalizzazione del messaggio religioso è il risultato di un rifiuto ad identificarsi nel sistema di valori appreso dai genitori.
«Vorrei dire a chi conduce la battaglia per impedire la costruzione di una moschea a Milano che professare la nostra religione alla luce del sole aiuterebbe noi a evitare distorsioni estremiste della nostra religione, e farebbe capire alla città che ci ospita che in moschea ci limitiamo a pregare», conclude Shwaima.