In diverse parti del mondo la siccità è un grave problema. Per questo motivo si ricorre, sempre più spesso, alla pratica del cloud seeding. Traducibile in italiano con l’espressione “inseminazione delle nuvole”, consiste nel favorire artificialmente la formazione della pioggia tramite la diffusione di particelle nelle nubi. Una tecnica nota in meteorologia fin dagli anni Cinquanta, ancora molto dibattuta nel mondo scientifico e che presenta diversi pro e contro. Ma come funziona esattamente?
Come funziona il cloud seeding
Vincenzo Levizzani, dirigente di ricerca dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr di Bologna, illustra il funzionamento di questa tecnica. «L’inseminazione artificiale delle nubi – spiega Levizzani – consiste nell’avere una nube che di per sé può produrre, senza l’intervento umano, la precipitazione». Il primo “ingrediente”, quindi, è la presenza di una nube in cielo, perché «in cielo libero la cosa non funziona».
Per stimolare le precipitazioni, con degli aerei si fanno cadere nelle nubi dei nuclei di condensazione, ovvero delle particelle microscopiche attorno alle quali il vapore acqueo si condensa e si trasforma in pioggia. Queste particelle, che possono essere di origine naturale (come la polvere) e antropica (come alcuni inquinanti), vengono introdotte mediante aerei che sorvolano le nubi o tramite l’utilizzo di piccoli razzi che, deflagrando, le rilasciano. Così facendo, «si aumenta la popolazione dei nuclei di condensazione, si formano più goccioline e, di conseguenza, cresce il potereprecipitante della nube», chiarisce Levizzani.
I nuclei che vengono usati in questa pratica sono artificiali: il più conosciuto è lo ioduro d’argento (in alternativa, si può usare il ghiaccio secco, ovvero anidride carbonica allo stato solido), un composto inorganico dalla struttura simile a quella del ghiaccio capace di legarsi alle molecole d’acqua presenti nella nube. In questo modo, si formano dei piccoli cristalli di ghiaccio che si uniscono tra loro e formano i fiocchi di neve i quali, attraversando il livello zero dell’atmosfera, si sciolgono e formano la pioggia.
Alla domanda se questa pratica possa avere un impatto negativo sugli equilibri atmosferici e naturali, Levizzani risponde in maniera molto chiara. «Se io inseminassi tutto il globo – dice – la risposta sarebbe sì, andiamo a intaccare quelli che sono gli equilibri ambientali naturali, ma l’inseminazione è sempre molto locale, ovvero si insemina la singola nube o il singolo gruppo di nubi, quindi in un’area molto limitata per cui il danno eventuale è molto piccolo». Di fatto, Levizzani esclude che il cloud seeding possa provocare grandinate o temporali eccezionali perché, afferma, «grandine e temporali si formano per ragioni completamente diverse. L’inseminazione delle nuvole non può provocare un evento talmente avverso da sconsigliarne l’uso».
Pro e contro del cloud seeding
Sicuramente, il vantaggio dell’inseminazione delle nuvole sta nel rendere più frequenti le piogge dove le precipitazioni sono scarse, rendendo coltivabili terreni che altrimenti non lo sarebbero.
Per quanto riguarda gli svantaggi, il cloud seeding è una tecnica molto costosa, tanto è vero che diversi paesi, soprattutto occidentali, preferiscono optare per una soluzione (secondo loro) più economica come quella della desalinizzazione delle acque di mari e oceani. Oltre all’aspetto economico, Levizzani sottolinea il fatto che si tratta di una pratica con «grossi problemi di ripetitività e di efficienza, poiché le nubi sono tutte diverse: può capitare che l’inseminazione di una vada a buon fine, mentre quella della nube accanto fallisca».
Proprio per quest’ultimo motivo, nel 2018 l’Organizzazione meteorologica mondiale definì il cloud seeding una tecnologia promettente, riconoscendo però che la variabilità naturale tra le nubi rende difficile quantificare la sua efficacia, ancora oggi fortemente dibattuta nel mondo accademico. Al riguardo, Levizzani si dimostra scettico. «Non mi sembra che i risultati ottenuti finora ci conducano a pensare che queste tecniche possano avere veramente l’effetto sperato, non essendo provata la loro efficacia ed efficienza», spiega.
Quali Paesi ricorrono maggiormente al cloud seeding?
L’inseminazione delle nuvole viene usata in varie parti del mondo per favorire l’agricoltura ma anche per diminuire l’inquinamento, dal momento che le precipitazioni sono in grado di togliere gli inquinanti presenti in atmosfera migliorando, di conseguenza, la qualità dell’aria. Varie sperimentazioni si segnalano negli Stati Uniti (in particolar modo, in Stati come California, Colorado, Nevada, New Mexico e Texas), negli Emirati Arabi Uniti (Paese molto poco piovoso come tutti quelli della penisola araba) e in Cina. In quest’ultimo caso, suscitarono scalpore le immagini delle Olimpiadi di Pechino del 2008 quando vennero usati cannoni e lanciarazzi, caricati a ioduro d’argento, per disperdere nelle periferie le piogge che, altrimenti, avrebbero potuto raggiungere il centro e disturbare la cerimonia di apertura.
Come sottolineato in uno studio del 2017 da tre ricercatori del dipartimento di Scienze dell’atmosfera e geografia dell’Università Nazionale di Taiwan, nei Paesi non democratici si registra una maggiore tendenza dei governi a incidere sul clima. Si tratta di Stati dove l’opinione pubblica esprime minore dissenso verso le politiche dei propri governi che, molto spesso, non rendono pubblici (o, se lo fanno, sono molto generici) i risultati di certe operazioni. A tal proposito, Levizzani mette in guardia: «Pensandoci un attimo, se fosse possibile inseminare uragani oppure aree dove ci sono energie enormi, chissà quali potrebbero essere le conseguenze se questo strumento finisse nelle mani sbagliate. La questione è sempre nel come e per quali scopi si usano certi strumenti».