Essenziale è il tema attorno a cui ruota l’undicesima edizione del WIRED NEXT FEST, evento a partecipazione gratuita, a Milano dal 14 al 16 giugno nel cuore della città a Parco Sempione. Secondo WIRED, riscoprire l’essenza di ciò che ci circonda è la base da cui partire per ispirare e guidare le scelte future nel rapporto con la tecnologia, il cui sviluppo viaggia ad una velocità sempre più sostenuta, e nello sviluppo di politiche economiche e sociali per un domani che possa dirsi concretamente sostenibile.

Attraverso un programma ricco di incontri, dibattiti, interviste, workshop e laboratori,ospiti provenienti da tutto il mondo discutono di temi che vanno dalla salvaguardia dei diritti fondamentali allo sviluppo tecnologico di nuovi linguaggi, con particolare focus sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale e su come questa stia impattando sui processi decisionali dei singoli individui e della società nel suo complesso. I temi affrontati sono sapientemente declinati sulla base dei differenti ambiti di applicazione: dalla cultura all’economia, dalla politica alla ricerca accademica.

In apertura, tra i primi incontri del sabato mattina, “Tecnologie da Museo” attraverso cui Giuliano Gaia e Giorgia Barzetti hanno affrontato un tema su cui si discute ancora troppo poco. In un’epoca dove lo sviluppo digitale procede ad una velocità nettamente superiore rispetto a quello della società civile, come è possibile preservare e valorizzare un luogo, il museo, che per secoli ha rappresentato fonte di grande conoscenza? La risposta, comune ad entrambi, è una sola: innovandolo. I poli museali sono pensati per custodire le tracce del nostro passato, ma anche loro sono investiti dal futuro.

Giorgia Barzetti è la curatrice del un percorso espositivo MEI, il Museo Nazionale dell’Emigrazione Italiana di Genova. «Il Museo, nato nel 2022, è ospitato all’interno della medioevale Commenda di San Giovanni di Prè, si sviluppa su tre piani divisi in 16 aree dove è possibile ripercorrere le molteplici storie delle migrazioni italiane, dall’Unità d’Italia alla contemporaneità» parlando dell’idea alla base di questo progetto, evidenzia che all’interno del museo non sono presenti oggetti o documenti originali e non perché ritiene che la transizione digitale debba completamente distaccarsi dalla tradizionalità ma perché, in questo caso, «lo sviluppo del percorso è stato possibile grazie ad una lunga collaborazione con oltre ottanta realtà presenti in tutto il mondo a cui abbiamo chiesto di inviarci copie digitali di documenti di cui disponevano, in modo da poter ricostruire con il maggior numero di fonti a disposizione, un ritratto più completo delle migrazioni italiane all’estero».

Secondo il suo punto di vista,una delle sfide più grandi ad oggi, è creare spazi c in grado di veicolare dei messaggi ma che siano al tempo stesso fruibili e all’altezza di soddisfare le esigenze di tutte le generazioni. Giuliano Gaia, cofondatore di Invisible studio, focalizza il suo discorso proprio sulla percezione del pubblico: «Ad oggi, i casi di musei digitali sono pochi e in Italia il MEI è l’unico. Il punto, però, è che il pubblico, soprattutto quello giovanile, è digitalizzato. Quindi, la richiesta di trasformazione arriva dal basso. Ciò che emerge nella transizione è che il museo sta diventando uno spazio sempre più liquido e non definito, senza barriere».

Invisible Studio è una realtà nata a Londra nel 2007. I due fondatori, Giuliano Gaia e Stefano Boiano, profondamente radicati nella grande tradizione umanistica europea che custodisce la lezione senza tempo del Rinascimento,hanno una sola consapevolezza: dovere sviluppare nuovi strumenti che siano adeguati a preservare la storia e l’arte dei popoli per un futuro sempre più complesso e digitalizzato. «I musei tendono ad essere delle strutture poco innovative e abbastanza statiche ma sono anche luoghi dove sono custoditi artisti, poeti e personaggi storici che ai tempi erano estremamente innovativi. I musei raccontano spesso storie di innovazione congelata e questo è il motivo per cui, pur essendo nativi digitali, stiamo aiutando i musei a sviluppare progetti di Design thinking».

Uno degli obiettivi di Invisible Studio è infatti qfacilitare l’interazione in prima persona con i concetti artistici e culturali attraverso attività pratiche, riconoscendo l’efficacia dell’apprendimento esperienziale. Obiettivo ampiamente condiviso anche da Giorgia Barzetti che sostiene come un’altra grande sfida del domani sia proprio elaborare strumenti che siano facilmente accessibili ai non nativi digitali ma non scontati per le nuove generazioni che molto spesso, avendo una spiccata conoscenza della tecnologia, non seguono il percorso. In entrambi i casi, il rischio è che il messaggio che vuole essere comunicato, non venga recepito.

La tecnologia digitale e l’uso dell’intelligenza artificiale hanno il potere di impattare notevolmente sui processi educativi e di assimilazione culturale così come sulle attività economiche e aziendali. In questo senso, di grande valore è stato il dibattito intavolato da Giovanni Miragliotta e Gianluca Perin, intitolato La gestione dell’incertezza.Come creare figure professionali che possano fronteggiare il repentino cambiamento tecnologico? Come rendere più efficienti le attività economiche, sfruttando l’utilizzo dei dati? Come creare processi di interazione virtuale con i clienti e quali sono le applicazioni più promettenti dell’intelligenza artificiale?

Giovanni Miragliotta, docente e co-direttore dell’Osservatorio AI e del centro di ricerca applicata AIRIC del Politecnico di Milano, parlando degli strumenti che il POLIMI ha predisposto per gli studenti, sstiene che «oggi come docente non è facile fornire gli strumenti giusti perché, in questo caso specifico, noi siamo pienamente consapevoli che il lavoro che spetterà agli studenti un domani magari ancora non esiste. Per preparare nuove figure professionali competenti in questo settore, dove secondo molte statistiche italiane e straniere c’è ancora una grave carenza, cerchiamo di creare solidi rapporti con il mondo imprenditoriale, affinché i ragazzi si rendano conto di cosa serva al mercato del lavoro. Per sostenere il lavoro di chi fa formazione, invece, abbiamo creato MY LEARNING TALK, un assistente virtuale del docente che ha letto e studiato tutto quello che il docente ha scritto e che supporta gli studenti nel loro percorso di studio».

Gianluca Perin, Country General Menager di Assicurazioni Generali Italia, collegandosi al discorso di Miragliotta, evidenzia, invece, quanto sia importante per un’azienda assicurativa l’uso dell’intelligenza artificiale come strumento per la gestione dei dati:«Le assicurazioni si focalizzano molto sullo studio dei dati per fornire adeguati servizi. La potenza di calcolo che abbiamo oggi ci consente di offrire servizi sempre più innovativi ma se non c’è un personale adeguato è chiaro che l’azienda ne risente. Siamo in grado di liquidare un sinistro e valutare il costo di un danno in pochissimo tempo rispetto a ieri e questa è una grandissima innovazione perché ci permette di velocizzare eventuali rimborsi e diventare sempre più efficienti. Ma soddisfare le necessità di 12 milioni di clienti resta una grande sfida». Perin prosegue parlando della dimensione umana in questo processo: «Ad oggi, però, ciò che stiamo riscontrando è che le persone si fidano ancora troppo poco dei servizi digitali supportati dall’intelligenza artificiale: la ragione è perché sono spaventate e preferiscono sempre il contatto umano. Siamo in possesso di una quantità sterminata di dati socio-economici e i nostri consulenti sono in grado di proporre coperture realmente utili ai clienti ed è questo ciò che fa la differenza nel mercato». Entrambi hanno una visione positiva di ciò che ci aspetta perché anche in futuro, secondo Migliarotta e Perin, saranno gli uomini a comandare le macchine e non il contrario. Tutto, però, dipenderà da come saremo in grado di gestire l’incertezza e da come sfrutteremo ciò che invece è certo.

Perché la società civile si fida ancora troppo poco dell’intelligenza artificiale? Perché le generazioni non sono ancora digitalmente alfabetizzate e non hanno le competenze adatte o perché ci sono rischi reali legati al suo sviluppo? Diversi esponenti del mondo accademico stanno cercando di dare una risposta attenta e dettagliata a questa domanda; tra di loro ci sono Giovanni Ziccardi, professore di Informatica Giuridica dell’Università di Milano, e la giornalista Carola Frediani, co-fondatrice della newsletter e poi del sito di informazione guerredirete.it.

Il tema discusso dai due specialisti è incentrato sulla minaccia cibernetica. A questo proposito, Ziccardi ha pubblicato il volume Dati avvelenati. Truffe, virus informatici e falso online, in cui affronta la minaccia globale generata dall’elaborazione di virus informatici che rubano, diffondono e avvelenano dati personali e sensibili, inquinando l’ambiente digitale in cui i cittadini comunicano e lavorano. «Ho scritto questo libro durante il periodo iniziale dell’intelligenza artificiale e ho iniziato a riflettere sull’impatto che un virus può avere sull’AI: mi sono reso conto che ci troviamo in un punto di svolta epocale. Più questo strumento entrerà a far parte della società, più la renderà vulnerabile, soprattutto perché le istituzioni politiche nazionali ed internazionali potrebbero, ad ora, non essere in grado di fronteggiare ogni tipologia di attacco cibernetico». Ziccardi prosegue poi evidenziando un aspetto importante ma sottovalutato, secondo cui la minaccia principale che dovremo fronteggiare in futuro non proviene dai sistemi tecnologici e informatici ma dall’uomo. I criminali informatici non hanno un volto ed è più complesso combattere un nemico quando non si sa contro chi si sta combattendo. Inoltre, «l’Unione Europea sostiene che una persona su due compresa tra i 14 e i 75 anni non ha le competenze tecnologiche adatte per comprendere sistemi digitali in costante evoluzione e questa potrebbe essere un’altra ragione per cui stentiamo a fidarci dell’intelligenza artificiale».

Per Carola Frediani, giornalista e scrittrice che da diversi anni si occupa di cybersicurezza e diritti digitali, «in generale negli ultimi anni si è cercato di rendere la sicurezza cibernetica alla portata di tutti ma questa resta comunque la sfida più grande da affrontare. La sicurezza nelle comunicazioni, per esempio, è sempre relativa perché tutto dipende non dal singolo ma dalla collettività. Un altro aspetto interessante riguarda il livello di sviluppo dell’intelligenza artificiale. Se qualche anno fa era più semplice dimostrare che un testo fosse stato scritto da un’AI perché riportava un certo tipo di errori, oggi è esattamente il contrario. Il testo scritto da un’AI è diventato talmente sofisticato che è quasi impossibile distinguerlo da un testo umano». Secondo Frediani, la minaccia più grande nel prossimo futuro, al di là dell’essere umano, è rappresentata da una serie di strumenti informatici silenziosi tra cui i cosiddetti spyware che agiscono raccogliendo informazioni sensibili. Ad oggi, però, non è stato elaborato un sistema normativo adeguato che possa tutelare gli utenti da questo tipo di software e più soggetti saranno in grado di controllare questi strumenti, più difficile sarà assicurare la tutela del trattamento dei dati personali e sensibili.

C’è chi nutre grande fiducia verso lo sviluppo tecnologico di nuovi linguaggi e c’è chi è spaventato da ciò che sarà. A prescindere da ciò che il futuro ci riserverà, una cosa è certa: in quanto esseri umani, dovremmo sforzarci di comprendere ciò che accade intorno a noi attraverso lo studio, il dialogo e l’ascolto.