Aksh. Armaj Kombëtare Sqhiptare, Esercito nazionale albanese. Sta in un acronimo di quattro lettere l’ennesima conferma che i Balcani sono destinati a non trovare pace e stabilità, almeno nel breve periodo. Quattro lettere che ricordano al mondo che il processo di disgregazione della ex Jugoslavia non si è compiuto, che alcuni tasselli non hanno trovato il proprio posto, perché nel mosaico balcanico le tessere non sono state modellate per stare insieme.

È dal 1991 che gli stati eredi della fu Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia, inseguono il sogno di repubbliche monoetniche su territori molto più grandi di quelli ereditati. Si è parlato di Grande Serbia, di Grande Croazia e poi addirittura di Grande Albania. Si, perché nel “Paese delle Aquile” vivono soltanto la metà degli Albanesi della regione. Il resto vive in un’area compresa tra il Montenegro meridionale, la Serbia meridionale, la Macedonia occidentale e la Grecia settentrionale. Se le guerre del 1991-1995 sono state causate e alimentate dal sogno nazionalista di Serbi e Croati, le perturbazioni che hanno colpito la regione sul finire degli anni ’90 sono legate alla questione albanese. Ma la coperta è sempre una. E così come non poteva nascere una Grande Serbia senza produrre una piccola Croazia e una mini Bosnia, allo stesso modo non potrà nascere una Grande Albania senza mutilare la Grecia, la Serbia e la Macedonia. Producendo nazionalismi di riflesso. Questo il dramma balcanico. Grande Albania perché l’Aksh è la sola formazione della galassia paramilitare albanese ad aver elaborato ed esplicitato un programma panalbanese.

L’Uçk è il gruppo che ha guadagnato la maggiore notorietà ma non è l’unico. Nato all’incirca nel 1993 come una formazione marxista leninista, si è nel tempo trasformata in una banda di pulitori etnci, pesantemente infiltrata all’inizio, e poi egemonizzata, dalla mafia kosovara. L’ascesa dell’Uçk nella seconda metà degli anni ’90 si lega a quella dei clan kosovari nel sistema criminale internazionale. I Kosovari arrivano a scalzare i turchi nella gestione del fiorente traffico di droga dall’Asia centrale all’Europa, stringono patti in Italia con la ‘Ndrangheta e si danno al commercio di armi. E poi ci sono il contrabbando e i traffici di esseri umani, gestiti in accordo con la mafia serba, bulgara e macedone. Quando Thaçi e il suo Direttorato politico prendono il controllo della guerriglia, si apre uno scontro di potere con altri comandanti e boss, che reclamano una fetta di torta. Le rotte dei principali traffici trovano nelle terre albanesi uno snodo nevralgico e il controllo di quell’area è di vitale importanza per una mafia con ambizioni quasi egemoniche. Non si è mai combattuto solo per il Kosovo ma, come rivelato da un ex combattente, Rifat Haxhijai, si è combattuto anche per il potere.

La comparsa di ogni guerriglia ha sempre creato nuovi feudi e nuovi esclusi, che hanno cercato maggior fortuna imbracciando le armi e portando la violenza altrove. All’Uçk successe l’Uçpmb nella Serbia meridionale, e l’Uçk macedone, in Macedonia. Qui, il suo leader Ali Ahmeti, grazie all’appoggio americano ed europeo divenne un interlocutore del governo macedone, ottenne modifiche costituzionali a vantaggio della minoranza albanese e fondò un partito, il Dui, con cui entrò al governo insieme ai socialisti dell’Sdsm. I radicali scontenti di Uçpmb e Uçk-m confluirono nell’Aksh, dando vita alla formazione più oltranzista e radicale del panorama albanese. Operativa dal 1999 circa, dell’Aksh si cominciò a parlare in Macedonia nel 2000, quando un dettagliato rapporto dei servizi macedoni fu passato da una manina (probabilmente quella del Colonnello Kostovski) al canale televisivo A1-Tv. Eclissata temporaneamente dalla crescita dell’Uçk-m, ritorna in attività dal 2001. Uccide poliziotti serbi e cittadini albanesi ostili nella Valle di Preševo, attacca le sedi del partito di Ali Ahmeti in Macedonia, dove uccide anche poliziotti e soldati in imboscate e piazza bombe davanti a palazzi amministrativi. L’atto più crudele e sanguinario in Kosovo, quando uccide tre ragazzini serbi che facevano il bagno in un fiumiciattolo nei pressi di Gorazdevac.

Macedonia, Serbia meridionale e Kosovo. Il centro nevralgico dei traffici della regione. L’area in cui si muove l’Aksh. L’Unmik l’ha messa al bando, inserendola nella lista delle formazioni terroriste attive nella regione. Washington ne ha congelato i beni negli Stati Uniti e ha inserito alcuni suoi uomini nell’elenco degli indesiderati. Uno di questi è Gafur Adili, alias Valdet Vardari, il responsabile dell’ufficio politico del gruppo a Tirana. Trafficante un tempo residente in Svizzera, privato dal governo elvetico della cittadinanza, e del passaporto da quello albanese. Che adesso lo considera un sorvegliato speciale. Con lui, nella lista nera americana, altri due compagni di estremismo: Kastriot Haxhirexha eNezvat Salili. I tre sono indicati dai servizi della Kfor come gli ideologi e i fondatori di un altro gruppo armato, l’Ari, l’Esercito della Repubblica dell’Illirida. Cioè della Grande Albania. Fermati dopo le prime due riunioni operative di Gnjlane (Kosovo) ed Elbasan (Albania). E sono sempre loro le ombre che si scorgono dietro l’Aksh. Come anche quelle diXhavit Hasani, trafficante legato ai servizi di Tirana e grande accusatore di Hashim Thaçi, l’attuale primo ministro del Kosovo. E poi Emrush Xhemajli, altro combattente messo ai margini da Hashim Thaçi e dai suoi.

Dopo tre anni di silenzio, l’Aksh torna alla ribalta. Ricomincia ad arruolare e a disseppellire le armi. Si riapre la faida intra-albanese. Nuove nubi si addensano sulla regione.