«Io credo che i diritti umani siano una delle poche formule per pareggiare i conti con le grandi disuguaglianze che caratterizzano la nostra epoca, soprattutto di fronte a sanguinosi conflitti, disagi economici e ad un welfare che non funziona. Per questa ragione è necessario battersi affinchè i diritti siano uguali per tutti, altrimenti sono da considerarsi come dei privilegi». Danilo De Biasio, voce storica di Radio Popolare, dirige il Festival dei Diritti Umani da ormai nove edizioni. Dall’8 al 10 maggio, il fil rouge di questa edizione è la violenza in tutte le sue forme.

La partecipazione giovanile è corposa e interessata. Gli studenti di alcuni istituti superiori milanesi e non, da alcuni anni partecipano attivamente alla realizzazione di podcast e materiale visivo che permette loro di trattare temi legati alla tutela dei diritti fondamentali dell’individuo. «Gli studenti e gli insegnanti  si sono sin da subito trovati bene con i progetti che abbiamo sottoposto loro e hanno sparso il verbo. Ogni anno la partecipazione è diventata sempre più cospicua. Per questa edizione abbiamo deciso di dedicare gli incontri mattutini agli istituti superiori che possono collegarsi per tutta la durata del festival anche da remoto», prosegue De Biasio illustrando il programma dell’evento. Tra gli istituti superiori presenti, ci sono l’IS Lorenzo Rota, l’ISIS Zenale e Butinone, l’IS Eugenio Montale, l’IP Domenico Modugno e l’ITSOS Albe Steiner.

Il Festival è uno dei principali eventi culturali italiani per sensibilizzare il pubblico sui diritti umani, tutelati e non, in Europa e nel mondo. Il festival unisce le diversità culturali attraverso racconti di esperienze vissute in prima persona, incontri con esperti sul tema e operatori del settore, testimonianze dirette, cortometraggi e gamification per una sempre più frequente interazione con il pubblico giovanile.

Gli ospiti della prima mattinata – Giovanna Ferrari, madre di Giulia Galiotto vittima di femminicidio, Francesca Donnaruma aspirante magistrato affetta da sindrome di Usher e Jaun Paul Habimana sopravvissuto al genocidio ruandese – si alternano alla presentazione dei progetti realizzati dagli stessi studenti. Il primo intervento è di Jaun Paul Habimana, autore del libro “Nonostante la paura. Genocidio dei Tutsi e riconciliazione in Ruanda”, sopravvisuto ad una sanguinosa guerra civile quand’era solo un bambino. I giovani studenti con grande attenzione ascoltano il messaggio che Habeida  trasmette: «Voi oggi siete bombardati da migliaia di informazioni che molto spesso sono inesatte e superficiali.Con la mia storia, vorrei farvi capire che la superficialità e, soprattutto, la discriminazione che da essa deriva sono assolutamente da evitare perché cio’ che è successo in Ruanda è la deriva di ciò che ha avvelenato le popolazioni, discriminazioni e superficialità, e che poi è sfociato nel genocidio che tutti conosciamo.». Habeida prosegue, focalizzando l’attenzione sull’inestimabile valore dello studio. «Non scaricate i problemi del Paese a qualcun altro, soprattutto sulla classe politica. Siete voi che dovete informare i vostri genitori. Siete voi che avete la possibilità di aprire i libri, di leggere e di studiare e di imparare a conoscere il mondo in cui vivete. Tanta gente si informa ma non è formata. Voi studenti siete informati ma anche formati: questa è la vera grande differenza».

Interviene poi Ludovica Mattioli che si è occupata della mediazione tra le scuole e il festival per realizzare dei progetti: «Abbiamo cercato di spaziare anche a seconda dell’indirizzo delle scuole. Quest’anno, per esempio, abbiamo attivato “Podcaster per il futuro” con Shareradio, attraverso cui le classi sono state accompagnate nella creazione di podcast sui diritti umani che sono stati pubblicati sul canale digitale di Radio3 per la trasmissione Radio 3 Mondo. L’argomento è stato scelto da loro e loro stessi hanno realizzato le interviste. Alcuni hanno parlato con persone esterne, altri hanno intervistato i loro stessi compagni perché si sono resi conto della grande diversità culturale che li caratterizza e che poi in fondo li accomuna». E prosegue: «Un altro progetto è “UE Care” con Shareradio. I ragazzi in questo caso si sono messi in gioco confrontandosi con grandi esperti di diritti umani a livello europeo perché, anche se hanno 16 o 17 anni, possono analizzare argomenti di un certo tipo, possono fare domande e possono confrontarsi.  L’ultimo progetto si chiama “Creators per il futuro” ed e’ stato portato avanti con l’Istituto Butinone a Treviglio. Cinque quinte superiori hanno creato una serie di contenuti grafici sui diritti umani. Si sono sbizzarriti e io ho lasciato loro la libertà di scegliere. Credo che, nel momento in cui si pongono dei paletti ai ragazzi, venga sedata la loro creatività».

Preziosa e di grande esempio è la testimonianza di Francesca Donnaruma che, nonostante le grandi difficoltà che si è trovata a dover affrontare, ha dimostrato come la determinazione sia importante nella vita per raggiungere gli obiettivi che si pone. Durante l’intervista, sottolinea tuttavia di non voler essere considerata “speciale” per i traguardi che ha raggiunto ma solo come una persona cha ha dovuto affrontare dei problemi a causa della sua patologia.

Chiude la prima mattinata, Giovanna Ferrari, madre di Giulia Galiotto, uccisa a San Michele dei Mucchietti (MO) nel 2009 da suo marito e gettata in un fiume in piena: «In molti casi di femminicidio, non c’è una violenza fisica prima del delitto ed è difficile denunciare. Il caso di Giulia è emblematico in questo senso. Io all’epoca non avevo le conoscenze che ho oggi ma lei con noi parlava e ci raccontava le cose spiacevoli che accadevano con Marco ma non si è mai verificato un atto di violenza fisica diretta.Probabilmente la verità è che quando una persona è soggetta a violenza psicologica, la cosa che si dovrebbe fare è andarsene immediatamente; ma anche in questo caso, è molto difficile slegarsi da certe dinamiche soprattutto se si convive. Giulia non me la ridarà nessuno e Marco è in semi libertà per buona condotta: la cosa che posso fare oggi è cercare di fare rete con le famiglie della altre vittime. Penso che sia fondamentale».

Ad aprire l’edizione serale del Festival e’ poi l’incontro “LA CURA DELLE PAROLE. Testimonianze contro la violenza di genere” in collaborazione con UNITE. Azione letterarie e Amnesty International Italia. Tra le ospiti, sono presenti Laura Bosio, scrittrice e fondatrice di Penny Wirton, Marta Perego, giornalista, autrice e conduttrice televisiva, Irene Soave, giornalista, autrice de “Lo statuto delle lavoratrici” (Bompiani, 2024), Alba Bonetti, presidentessa di Amnesty International Italia, Leila Belhadj Mohamed, giornalista esperta di migrazioni, diritti umani e geopolitica e Francesca Garisto, vice presidentessa della Casa delle Donne Maltrattate di Milano.

Laura Bosio prende la parola, raccontando la testimonianza di una donna nigeriana che ha frequentato la Penny Wirton, scuola di formazione fondata nel 2009 con lo scopo di insegnare la lingua italiana agli stranieri. «Questa donna – che chiamerò Annabel – portava con sé a lezione una bambina di sei mesi e mi ha raccontato che aveva subito una violenza fisica culminata in uno stupro.Durante il viaggio che ha compiuto dalla Nigeria, come tutti, ha dovuto raggiungere la Libia. Lo stupro è avvenuto lì e lei ha dovuto affrontare il viaggio in mare incinta. Ha chiamato la sua bambina Destiny».

Leila Belhadj Mohamed interviene, invece, sulle dinamiche legate alla percezione della violenza di genere: «Io sono italo-tunisina e sono figlia di una coppia mista, quindi la mia esperienza è molto diversa rispetto a quella di altre donne. Il problema della violenza di genere, però, c’è dappertutto. Essendo una giornalista, la raccolta dati per me è importante quindi ho focalizzato la mia attenzione sui dati relativi alla violenza di genere in Italia. Sono dieci anni che non si fanno statistiche sui dati relativi alle denunce, l’ultima risale al 2014. Un dato interessante, inoltre, riguarda chi denuncia: spesso sono le donne razzializzate a denunciare.C’è un enorme substrato di violenza che si mischia al razzismo sistemico e, in aggiunta a questo, le donne che vengono maltrattate molto spesso non vengono prese sul serio quando decidono di denunciare. Questo è un problema strutturale che la politica non vuole affrontare».

Francesca Garisto, vicepresidente delle Casa delle Donne Maltrattate, si concentra sull’importanza dell’intervento tempestivo in caso di violenza: «Negli anni c’è stato un importante sviluppo a livello legislativo per tutelare le donne vittime di violenza. L’allontanamento forzato è una delle misure che possono essere considerate efficaci in questo senso. L’emergenza, per le donne che subiscono violenza, è nel quotidiano ed è fondamentale intervenire subito soprattutto quando non c’è un’evidenza fisica. Ed è per questo che esistono le case e i centri anti violenza ad indirizzo segreto. Noi non abbiamo bisogno di fare del mero assistenzialismo ma abbiamo bisogno di fare politica per contrastare questo tipo di violenza perché è sistemica».

Irene Soave affronta un tema delicato che riguarda le varie forme di violenza: «Molto spesso le prime forme di violenza non si palesano come tali. Ho scritto un libro sul lavoro intitolato “lo statuto delle lavoratrici” perché quando fu scritto lo statuto del lavoro si diceva che l’opera avesse portato la Costituzione italiana nelle fabbriche ma da questo processo furono escluse le donne. Sul lavoro siamo titolari di diritti che non sempre riusciamo però ad incassare e questo è un grande problema che riguarda la nostra società».

In chiusura, Alba Bonetti, presidentessa di Amnesty International, si interroga sul senso del titolo dell’incontro:  «“La cura delle parole”: cosa vuol dire? Significa che è importante scegliere le parola con cura? O che le parole possono curare le ferite? Io penso che la risposta sia entrambe e credo che sia importante fare attivismo quotidiano. Questo fa la differenza. Il patriarcato, diceva Virginia Wolf, è nato per far sentire l’essere maschile superiore ed è per questo che è importante fare attivismo. La molestia è per chi la riceve, non per chi la dice.Le parole che diciamo parlano del mondo che abbiamo in mente. Consentire l’uso di determinate metafore e modi di dire porta al lassismo culturale. Amnesty International sta lavorando ad una campagna a livello europeo intitolata “Io lo chiedo”, affinché sia riconosciuto che ogni rapporto sessuale senza consenso e’, di fatto, uno stupro».