Quattro capolavori della danza sono in scena al Teatro alla Scala di Milano fino al 9 febbraio. Quattro i coreografi contemporanei: David Dawson, Nacho Duato, Philippe Kratz e Jiří Kylián. Alcuni balletti sono prime assolute, altri ricompaiono sulla scena dopo molti anni. Il repertorio musicale è molto ricco: dalle arie barocche di Vivaldi fino al rock alternativo dei Radiohead. Il linguaggio del balletto classico, ricamato con pirouettes, arabesques e fouettés, si intrecciano con i movimenti muscolari del contemporaneo, governati in battere e in levare dai bit elettronici.
ANIMA ANIMUS – DAWSON
Bianco e nero. Maschio e femmina. Fusione di identità e celebrazione del singolo. Il titolo del balletto si rifà alla concezione dello psichiatra e filosofo svizzero Carl Jung: animus è l’aspetto maschile della psiche femminile, mentre anima è ciò che appartiene alla parte femminile ma che alberga nella psiche maschile. Il sipario si apre. Appare una sola ballerina con un body bicolore: la parte superiore è bianca, quella inferiore è nera. Lo sfondo è quasi accecante: un rettangolo bianco, incastonato in una cornice nera, illumina la platea. La danzatrice corre con le braccia alzate a forma di V, leggermente inclinate all’indietro, come se volesse farne delle ali al palcoscenico. La scena si affolla a poco a poco. Gli altri ballerini entrano fendendo lo spazio con una serie di ports de bras. Le femmine indossano lo stesso body della prima ballerina e portano le punte, mentre i maschi calzano le scarpette e vestono con la bicromia invertita: sopra il nero e sotto il bianco. La musica è del noto compositore italiano Ezio Bosso, scomparso ormai quasi tre anni fa. Lo spettacolo, creato nel 2018 per dieci artisti del San Francisco Ballet, non era mai apparso in Italia. Così, il coreografo David Dawson ha deciso di sfidare le leggi del balletto classico (ordine, struttura e simmetria), affidando agli uomini passi e movenze tipicamente femminili, facendo ricreare loro posizioni che non sono mai accademicamente corrette. Ciò che si avverte è una simmetria, seppur non perfetta, soprattutto nelle linee delle arabesques e nei lifts. Ma Anima Animus celebra proprio questo: la vita “di mezzo”.
I coreografi Dawson, Duat, Kratz e Kyliàn offrono quattro coreografie contemporanee già classiche al pubblico del teatro, tagliandole sul corpo di ballo e sulle etoiles de La Scala
REMANSO – DUATO
Remanso, titolo di una poesia di Federico García Lorca, richiama un posto tranquillo in campagna, un luogo in cui ci si può riposare. Questa sensazione di pace ha ispirato il coreografo spagnolo Nacho Duato che ha creato nel 1997 un passo a tre maschile per l’American Ballet Theatre. Remanso è un balletto potente dal punto di vista espressivo in cui predomina la geometria delle linee e che viene eseguito per la prima volta al Teatro alla Scala da Nicola del Freo, Mattia Semperboni e dall’étoile Roberto Bolle. Tre uomini, tre colori predominanti – verde, giallo e blu – e una rosa sono i protagonisti della scena e si muovono danzando attorno ad un fondale quadrato. I ballerini si arrampicano, si nascondono, interagiscono tra loro alternando movimenti dalla forza esplosiva a linee raffinate e delicate. Accompagnati dal pianoforte di Takahiro Yoshikawa, i tre portano in scena l’espressione di “un amore giovanile e dell’amicizia tra uomini senza connotazioni sessuali”, come dichiarato da Duato.

Fonte: Eugenia Durastante
SOLITUDE SOMETIMES – KRATZ
Una coreografia ispirata alla mitologia egiziana su note di musica elettronica di Thom Yorke e dei Radiohead. Il connubio creato dal coreografo tedesco Philippe Kratz è suggestivo: Kratz porta sul palco quattordici danzatori che entrano ed escono dalla scena come fossero parte di una corrente liquida trascinante; solo un ballerino non si sottrae mai dagli occhi del pubblico. Per questo pezzo visionario e intimo, a tratti malinconico, Kratz ha preso spunto dal Libro dell’Amduat (“ciò che è nell’aldilà”), l’antico documento funerario risalente al 1500 a.C. che descrive il viaggio di Ra, il dio del Sole, nel regno dei morti. Questo percorso di risalita, trasformazione e rinascita che il defunto deve affrontare viene ricreato dai ballerini grazie a spostamenti continui dal lato destro a quello sinistro del palcoscenico, secondo l’occhio del pubblico, come un fiume che non si ferma mai e che spesso ignora i bit della musica in sottofondo per creare una ritmicità propria. I quattordici ballerini vestiti con costumi color carne, alcuni ricoperti di squame, si muovono in una scenografia semplice composta solo da un LED digitale. Nascono a solo, piccoli gruppi coreografici, file e un passo a due interpretato dai primi ballerini Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko.
BELLA FIGURA – KYLIÁN
Un gioco di tende, torsi nudi e gonne rosse vaporose. Tra realtà e finzione, arte e artificio. La coreografia di Jiří Kylián lascia lo spettatore con il fiato sospeso per tutto il tempo. Lo incalza con scene curiose e stravaganti, ma allo stesso tempo lo coccola attraverso la rappresentazione della bellezza in tutte le sue forme. Perché Bella Figura? La meraviglia di un corpo anche nelle situazioni difficili della vita, il sublime nelle imperfezioni. Il bello così com’è. Per questo i ballerini e le ballerine sono tutti a petto nudo. La seminudità è un costume ed è parte integrante dello spettacolo. Il repertorio musicale riprende il tema barocco del balletto, con sonate barocche (Giovanni Battista Pergolesi, Lukas Foss, Alessandro Marcello, Antonio Vivaldi, Giuseppe Torelli). La parte si apre con un’artista seminuda intrappolata nelle tende del sipario. Si dimena e sembra sospesa da terra. Anche le tende e il sipario, così, sono parti fondamentali della coreografia: chiudono parzialmente il palco, incastrando alcuni dei ballerini; poi riaprono la scena, allargando lo spazio visivo. I movimenti dei danzatori riproducono la gestualità delle marionette: si muovono a scatti, bloccano alcune parti del corpo mentre ne liberano altre. La spalla è ferma e il braccio penzola. A volte sono rigidi, altre volte snodati. I ballerini trasportano lo spettatore in una dimensione surreale. Il sipario si chiude del tutto e il sogno è finito.