Molti conoscono il Forum di Villa d’Este a Cernobbio, pochi invece conoscono la persona che l’ha fondato e da quarant’anni* lo organizza: il Cavaliere del Lavoro Alfredo Ambrosetti. Quando a settembre le élite italiane, europee e mondiali si ritrovano nel lussuoso albergo sul lago di Como per confrontarsi e discutere di economia e società, i media fanno raramente riferimento al nome del fondatore, quanto piuttosto al “Forum di Villa d’Este” o “di Cernobbio”.
Forse perché le celebrità e i protagonisti sono tanti e tali da rubare la scena a chiunque, o più probabilmente perché Ambrosetti ha fatto della discrezione uno dei valori guida lungo tutta la sua carriera (come presidente dello Studio di consulenza che porta il suo nome), se si chiede per strada “conosce Alfredo Ambrosetti?”, pochissimi risponderanno di sì. Eppure, quando questo varesino di 83 anni chiama a raccolta capi di Stato, massimi responsabili delle istituzioni europee e mondiali, ministri, premi Nobel, imprenditori ed economisti di prestigio, molti rispondono all’invito.
In che misura il meeting influenza le idee dei partecipanti?
Quando arriva al Forum, ogni partecipante ha inevitabilmente in testa uno scenario di riferimento per la propria realtà. Durante i convegni vengono discussi, da parte di relatori di grande competenza, argomenti in ambito mondiale, europeo e italiano. Gli ospiti hanno così modo di aggiornare il proprio scenario grazie agli autorevoli contributi delle eccellenze nei rispettivi settori. Stando tre giorni insieme, non va poi sottovalutato il vantaggio di avere numerosi interscambi. Ricordo che tutti i partecipanti sono di altissimo livello.
Quando si parla di meeting a porte chiuse vengono sempre fuori teorie complottisti che su lobby e simili.
Gli incontri di alto livello a porte chiuse sono fatti per permettere ai partecipanti di esporre le loro idee con franchezza, senza doversi preoccupare costantemente di quello che si dice o può essere travisato. È normale che su una riunione alla quale partecipano solo le élite vengano fuori malignità. Un esempio su tutti è il gruppo Bilderberg, alle riunioni del quale io ho partecipato più di una volta. Si dicono tante cose sul Bilderberg ( meeting annuale per 130 invitati eccellenti, l’ultimo dei quali si è svolto nell’Hertfordshire, in Inghilterra, ndr), ma solo chi non lo conosce può pensare che ci sia del losco dietro a quelle che sono soltanto delle riunioni riservate in cui ci si confronta e si discute. Poiché il gruppo è animato da parte della élite mondiale, è chiaro che i partecipanti discutono ad alto livello e trattano i problemi principali della scena globali. Il Bilderberg ha diramazioni internazionali, e ci sono dei soggetti che sono in qualche misura responsabili del gruppo all’interno di ogni Paese.
In Italia chi è il responsabile?
In Italia per tanti anni è stato Agnelli. Morto l’avvocato, Bernabé è diventato il responsabile. Per quanto mi risulta dovrebbe esserlo ancora adesso. Visto che la partecipazione è a numero limitato, il responsabile nazionale suggerisce le personalità di prestigio per ogni Paese membro, personalità che siano in grado di contribuire alla discussione e che siano qualificate. Le assicuro che io non ho mai sentito in vita mia tante cose scorrette quanto quelle spese sul Bilderberg. Poiché è molto selettivo, naturalmente l’invidia e la gelosia si scatenano perché coloro che non partecipano reagiscono, parlandone male. Tra l’altro, il gruppo, che si sposta dall’Europa all’America, comunica i nomi dei partecipanti e i temi in discussione.
Lei ha vissuto le tappe dell’unificazione europea fin dagli albori. Cos’è oggi l’Europa?
L’Europa ha fatto la Storia, sia pure con luci ed ombre, ha abbellito il mondo per secoli, ma senza sviluppo il futuro è grigio. In un’epoca di globalizzazione è necessaria una concreta strategia competitiva che purtroppo manca. C’è un’eccessiva focalizzazione sul rigore e sull’austerità a scapito della crescita e, quindi, dell’occupazione. Non c’è sviluppo senza coesione e non c’è coesione senza obiettivi, progetti, programmi e risultati capaci di assicurare l’adesione attiva della gente, altrimenti si originano fratture e nazionalismi. Con l’euro, per esempio, penso che l’obiettivo fosse quello di creare una moneta unica che facesse da motore e da traino a tutto il resto. Gli egoismi dello stato nazionale hanno prevalso e da motivo di unione è diventato motivo di mancanza di unità. In ogni caso, con la globalizzazione l’Unione Europea non è un’opzione, ma una necessità. Però deve essere all’altezza delle sfide di quest’epoca.
Crede che ci sia un problema di comunicazione tra le istituzioni europee e i cittadini?
L’Unione Europea è venduta malissimo. L’insufficienza di comunicazione è paradossale. Non esistono comunicazioni in eurovisione sui canali televisivi più importanti da parte dei responsabili delle istituzioni europee per quanto riguarda decisioni e questioni di particolare importanza. Ed è altrettanto paradossale che i giornali più importanti non abbiano una sezione dedicata alla Ue. Vale l’Europa, vale per l’Italia: dotarsi di una concreta strategia competitiva da applicare con rigore.
* Dal 2009, nel ruolo di responsabile del Forum, è subentrato Valerio de Molli, attuale ad del gruppo