Crescendo, i marciapiedi su cui abbiamo sempre camminato assumono una connotazione diversa. Pensiamo di conoscere a memoria le strade della nostra città, come fossero una prevedibile topografia, e invece sono le strade a conoscere meglio noi, i nostri passi, le nostre suole. La città in cui nasciamo ci vede crescere, ci accoglie in tutti quegli spazi che diventano parte emblematica della nostra vita; ci guarda andare via, cambiare strada, tornare diversi. Quei luoghi si ricordano di noi, mentre noi ci ricordiamo i frangenti di vita che gli abbiamo dedicato. E così i vicoli di Gaeta e i suoi bottegai; la spiaggia di Serapo e i suoi turisti; il Belvedere e i primi amori; il lungomare e le vere amicizie, condizionano fasi della vita che sono destinate ad appartenere per sempre a quei luoghi.
Luoghi innati
INFANZIA
Così penso a quel giardinetto, nel centro di Gaeta, di fronte la piazza della scuola elementare Virgilio. Le scalinate esterne color grigio perlato dell’istituto sono abbastanza panoramiche da permettere alle maestre di assicurarsi dall’alto la presenza dei genitori, così da poter liberare la presa dei piccoli che al suono dell’ultima campanella iniziano a correre verso il parco. I giardinetti sono tutto tranne che un vero giardino: ci sono cespugli sciatti, foglie di una folata di vento di qualche settimana prima; alla ghiaia lavata mancano alcune pietre, le stesse su cui, ancora oggi, i bambini inciampano mentre corrono per raggiungere la grande fontana sbriciolata, con acqua melmosa e priva di pesci rossi, che non si sa in quale modo appaga il divertimento infantile.
I giardinetti sorgono in prossimità della Piazza XIX maggio, intitolata così in ricordo del giorno in cui gli americani liberarono Gaeta dagli orrori del nazifascismo e mettendo fine alle sofferenze della seconda guerra mondiale. C’è poco in ricordo di quel giorno del lontano 1944, solo una ghirlanda posizionata tra la via del Virgilio e la torre del Comune di Gaeta. I due edifici fiancheggiano Sottoglialberi, nome che lascia poco spazio all’immaginazione: un corridoio di arbusti le cui foglie assecondano il clima del mediterraneo con estati calde e inverni umidi. Gli alberi filati sono alternati a panchine di legno, in un mosaico tale da rendere quel corridoio di Gaeta uno scorcio atemporale, protagonista di quei dipinti novecenteschi folkloristici di cui non si intuisce mai l’anno di realizzazione perché sempre uguali l’uno all’altro. Come un fermo immagine.
Uscendo dalla galleria piantumata, si scorre un breve tratto di lungomare che affaccia sul porto nautico Flavio Gioia con i suoi pescatori. Da questo punto, con i tramonti giusti, è possibile intravedere Napoli. E anche se Gaeta è nel confine della provincia di Latina, è partenopeo il dialetto con cui destreggiano circa 20mila gaetani. Questa influenza dialettale – e la minore distanza geografica – è sufficiente per farci sentire “più napoletani che romani”.
Alle spalle del molo, appena fuori Sottoglialberi, inizia Via Indipendenza: una stradina stretta e ombrosa la cui estetica in pietra è ferma agli anni della sua costruzione, eccetto per quei negozietti che verniciano il contorno del proprio ingresso provando a persuadere i passanti dalle pareti settecentesche.
Per me, all’età di dieci anni, Via Indipendenza era una semplice strada di passeggio dove era difficile correre per colpa dei sampietrini irregolari. Un atteggiamento incurante del fatto che quella strada rappresentasse invece una delle più belle eredità romane. Via dell’Indipendenza fu infatti tracciata dagli antichi Romani per collegare il porto e le ville borghesi all’Appia e alla Flacca, strade geograficamente strategiche del sud Pontino.
Via dell’Indipendenza è frutto di un’opera di architettura ben elaborata: presenta la tipica forma a spina di pesce, in cui i vicoli verso il mare non sono mai coincidenti con quelli lato monte – il tutto per evitare che il vento di mare possa penetrarvi con facilità, rendendoli poco vivibili. Originariamente nota come Via del Borgo, la strada fu ribattezzata Via dell’Indipendenza nel 1861 con l’Assedio di Gaeta, quando i Piemontesi presero possesso della fortezza in cui si rifugiava Francesco II di Borbone, costituendo da lì a poco il Regno d’Italia.
Quella stradina parallela al lungomare è come se non invecchiasse mai perché offre necessità che non passano mai di moda: le botteghe, l’artigianato, i prodotti caserecci provenienti dalle campagne gaetane, le borse de La Cruella realizzate a mano, i forni, le pasticcerie.
Via Indipendenza è anche il luogo rispettabilissimo degli anziani come Marisella, signora che l’unica colpa mai avuta è stata quella di vivere nello stessa piazzetta dove – un po’ per dispetto un po’ per principio – ci si sentiva in dovere di giocare a pallone. Per ringraziarla della sua pazienza e generosità, qualche artista gaetano ha pensato bene di dedicarle un murales: lei dipinta nella sua semplicità, con il suo grembiule bianco e rosso.
Sono tanti i figli di quella piazzetta urbanisticamente anonima. Mio nonno è tra quelli: negli anni ‘40 i bambini giravano tra le case vendendo giornali per guadagnare qualche soldo. Oggi, anche se i giornalieri non esistono più, Via Indipendenza non smette di essere il luogo dove i ragazzi esaudiscono il loro primo istinto imprenditoriale. Io quella piazzetta l’ho vissuta così, con le bancarelle: quelle con i braccialetti a soli 50 centesimi adagiati scrupolosamente sulla cassetta della frutta rovesciata, un affare. Prima che Gaeta diventasse così turistica, quelle perline colorate coordinate alle conchiglie raccolte qualche ora prima in spiaggia sembravano valere un po’ di più: un lavoro realizzato con cura e con amore, gli stessi ingredienti con cui i residenti del posto portano avanti le loro botteghe.
Oltre la pesca e l’agricoltura, la produzione artigianale è infatti tra i principali business del Golfo: giusto lo scorso anno la Regione Lazio ha riconosciuto undici attività gaetane come fiere e botteghe storiche del Lazio. «Un’importante opportunità», dice il sindaco Cristian Leccese già soddisfatto della candidatura di Gaeta come Capitale della Cultura 2026, «con cui si conferma il patrimonio storico e culturale appartenente alle nostre tradizioni e alla nostra storia, che non solo promuovono e valorizzano il tessuto commerciale, ma costituiscono da sempre luoghi di vita e di incontro tra le persone, di scambi e relazioni umane».
Il Mercato Settimanale del mercoledì, in esercizio dal 1937, è tra questi patrimoni: un perimetro di frutta colorata, di verdura fresca ancora sporca di terra, di note aromatiche, di strepiti che esortavano all’acquisto, di bancarelle asimmetriche e traballanti assemblate su binari ferroviari silenziosi dal 1981.
Di fatto il mercato si svolgeva, fino a qualche anno fa, nel piazzale dell’Old Station, bar storico di Gaeta nonché capolinea della stazione gaetana distrutta prima nel 1944 dai tedeschi, poi dal fallimento dell’unica fabbrica per cui avesse senso tenere la stazione operativa. A pochi passi dalle rotaie si trovava infatti lo stabilimento industriale più importante di Gaeta: la vetreria AVIR (Aziende Vetrarie Industriali Ricciardi).
Luoghi sconosciuti e che si fanno conoscere
PRE-ADOLESCENZA
La posizione dell’ex vetreria coincideva con la fermata dell’autobus da cui scendevo ogni giorno, al rientro a casa dalle superiori. Per anni, dall’altro lato della strada, ho guardato incuriosita quel cancello da cui fuori si intravedeva poco e nulla. Tra i miei coetanei non c’è mai stato il bisogno di parlare dell’Avir: che senso ha parlare di un luogo che esiste, ma che in realtà non esiste?
I miei occhi dodicenni hanno sempre provato ad immaginare quella fabbrica in azione: la prima azienda di vetro a Gaeta che ha dato il via all’industrializzazione di questo paese, sfruttando la risorsa madre a costo zero, la sabbia.
Ma l’unico vetro che si poteva scorgere da quel cancello era quello delle finestre frantumate della staff house, spaccate dal vento o da qualche atto vandalistico. Dietro la casa degli operai, un cimitero industriale di circa 25mila metri quadri con sullo sfondo una torre che non fumava più; una tettoia arrugginita dal tempo, abbandonata a se stessa tra pilastri spezzati e sterpaglia; un’insegna nera con la scritta AVIR, ormai quasi del tutto cancellata dall’aria salsedinosa e un graffito di un’aquila nera che esaltava la cupezza di quel luogo.
È difficile immaginare qualcosa che non si ha mai visto finché qualcuno non la racconta: «La fabbrica nasce nel 1909 a Gaeta: fu scelta questa città perché era ricca di sabbia silicea bianca, elemento principale per la composizione del vetro. Ci occupavamo della fabbricazione di bottiglie e damigiane, il lavoro non era ancora strumentalizzato, si lavorava “a soffio”. Con il passare degli anni c’è stata una rivoluzione riguardante le tecniche, ma in principio c’erano le macchine semi-automatiche e solo più tardi quelle del tutto automatiche. I macchinari venivano comprati in America e, successivamente, portati a Gaeta per aumentare e velocizzare la produzione del vetro, per poter poi competere sul mercato italiano» mi raccontò mio zio, ex operaio della fabbrica. È infatti proprio con la vetreria che Gaeta compie il primo passo verso l’industrializzazione: l’azienda AVIR era nata con il supporto della Federazione dei Vetrai, con sede a Sesto Valente. Quando i proprietari si stabilirono a Gaeta, la scelta fu strategica dal punto di vista industriale: per lavorare il vetro si sarebbero serviti della spiaggia di Serapo che offriva il materiale perfetto per la produzione di vetro a costo zero. «Negli anni ’70, la vetreria Avir era un esempio di cooperativismo: i vetrai erano proprietari dell’azienda e possedevano delle quote. Si contavano almeno 300 operai, la metà dei quali proveniva da fuori. La maggior parte dei lavoratori arrivava da Livorno, loro portarono nuove mentalità alla città. Nacque la prima cooperativa dei lavoratori, una sorta di sindacato che si riuniva in un locale di Corso Cavour. Questo bar fu anche uno dei primi luoghi in città ad avere una televisione, influenzando così il modo di vivere» racconta Gennaro Pallini, storico e sociologo di Gaeta.
É il Corso Cavour, perpendicolare a via Indipendenza, il nido del progresso sociale gaetano. È in quella strada che nascono i primi locali come il Bar Triestina; i primi tabacchi, negozi e il primo e unico cinema di Gaeta: l’Ariston. Lo stesso teatro che per diversi, ma pochi, anni mi accoglieva un sabato sera al mese. L’Ariston, inaugurato nel 1954 con il film Pane Amore e Fantasia di Luigi Comencini, con Vittorio De Sica e Gina Lollobrigida, è molto probabilmente il teatro più bello della zona, con le sue seicento sedute rosse camosciate e un palco enorme. Tuttavia, le poche proposte di film hanno sempre spinto il pubblico verso il Cinema Multisala di Formia, agevolato dalla presenza di più sale e quindi più proiezioni.
Poco cinema ma tanti film. Fin dagli anni ’30 il Sud Pontino è stato, grazie ai suoi paesaggi, il perfetto set a cielo aperto: il verde del Parco Naturale dei Monti Aurunci, il promontorio del Circeo, il lungomare di Sperlonga o la spiaggia dei sassolini di Minturno sono sempre stati motivo di ispirazione per tantissimi registi.
La prima troupe cinematografica a “scoprire” Gaeta fu quella di Aldebaran nel lontano 1935, con la regia di Alessandro Blasetti. Da lì Gaeta fu un successo: i ’60 e i ’70 sono stati anni del boom cinematografico in tutto il sud pontino. Gaeta, Sperlonga, Formia e dintorni diventano il set di Totò, Bud Spencer, Nino Manfredi, Terence Hill e tanti altri. Poi, racconta Daniele Urciuolo, produttore cinematografico di Formia: «c’è stato un periodo in cui non si è prodotto nulla e il territorio, gli imprenditori e la filiera commerciale hanno perso l’attenzione in questo settore». È nel 2014 che Urciuolo riporta il cinema sul territorio, rimettendo in moto una macchina ferma ormai da un quasi un ventennio. «Quando è stato girato il film di Pieraccioni, Il Professor Cenerentolo, c’è stata una grande partecipazione della comunità, che ha visto riemergere un grande entusiasmo. Negli ultimi dieci anni il cinema è ripartito anche qui: ora le produzioni girano tra Formia, Gaeta, Minturno, Ponza, Ventotene e Sperlonga, portano visibilità, utilizzano location come set cinematografici, coinvolgono anche la popolazione locale come comparse, oltre a fornitori di catering e servizi. Tutto questo ha creato un indotto economico significativo per il territorio» conclude.
Famoso il film Compromessi sposi girato nel 2018 interamente tra Formia e Gaeta, con volti amati dalla televisione italiana come Vincenzo Salemme e Diego Abatantuono. L’ambientazione cinematografia del sud pontino si prende i meriti anche per Croce e Delizia di Simone Godano; Brave Ragazze di Michela Andreozzi con Ambra Angiolini e scene della note serie L’Amica Geniale e Gomorra. Sono molti i personaggi famosi legati a questa zona, da Michela Andreozzi, che passava le estati a Gaeta; Luca Manfredi, figlio del famoso attore Nino Manfredi; Alberto Sordi e il famoso impresario teatrale Remigio Paone che portò a Formia celebrità come Sophia Loren, De Sica e Gassman durante gli anni ’50 e ’60.
In questo risveglio cinematografico, c’è comunque un paradosso: i comuni limitrofi come Formia, Gaeta, Minturno, Itri, Fondi, Castelforte, San Cosma e Damiano, Ponza e Ventotene, che insieme fanno 150.000 abitanti, hanno a disposizione solo un cinema, l’Ariston di Gaeta e la multisala di Formia. «Gli esercenti non lavorano bene in questo settore, ed è necessario investire nel pubblico, stimolandolo ed educandolo con eventi, festival e prime cinematografiche. Il film Compromessi Sposi del 2018 ha incassato un milione e mezzo di euro al cinema, con una distribuzione in 400 sale e un budget di un milione di euro, generando un indotto molto grande sul territorio. Le riprese, durate otto settimane, hanno coinvolto e pagato molte persone locali, oltre a ristoranti, alberghi e fiorai. Le produzioni devono stare attente anche a non essere invasive: per girare scene nel centro di Gaeta, specialmente in notturna, sono necessarie riunioni straordinarie con la polizia locale e gli uffici competenti per ottenere le autorizzazioni e permettere le riprese, creando disagi alla circolazione e alla viabilità. Ma se la città comprende l’importanza di queste produzioni, ne trae benefici significativi» spiega il produttore cinematografico. Anche se c’è ancora molto lavoro da fare, gli ultimi dati della Camera di Commercio hanno rivelato che la Regione Lazio – grazie soprattutto al cuore del cinema, Roma – si conferma la prima nel territorio nazionale per presenza di realtà operanti nel settore cinematografico, con una percentuale del 27,5%.
I luoghi più belli dove girano i film sono i posti che i gaetani custodiscono gelosamente credendoli ancora intimi e unici, allo stesso tempo sono quelli frequentati di meno perché mai di passaggio.
Tra i posti più magici di Monte Orlando c’è il Santuario della Montagna Spaccata, indicata anche da Miguel de Cervantes in Don Chisciotte come punto di pellegrinaggio e famosa per la mano del turco timbrata nella roccia; la grotta del turco; il Belvedere di Serapo.
Sulla stessa linea d’aria, dall’altra parte del promontorio che affaccia su Gaetavecchia, c’è la Pinacoteca di Gaeta, una galleria d’arte vista Napoli che ospita decine di opere. Il direttore artistico, Vincenzo Lieto, racconta della forte influenza del passato nell’arte locale, in particolare di quella del tardo ‘800 napoletano. «Gaeta è una città solare e pittoresca. Lo stile, ancora legato alla pittura di genere e oleografica, rappresenta la maggior parte delle volte il paesaggio locale. Ci sono comunque stati dei tentativi di superare questo localismo e guardare verso un’arte Mitteleuropea più importante, ma è molto difficile fare questo step» spiega Lieto che accenna ai primi artisti inizialmente legati al periodo borbonico e al regno di Napoli, che appartenevano alla scuola di Posillipo, corrente dell’800 napoletano. «Nel tardo ‘800 l’arte era fortemente legata al territorio, con poca ricerca sulle tecniche e sulla materia» prosegue, «tra i primi artisti, Saturno Bartolomeo si distingueva per l’ottima qualità tecnica, pur essendo legato a un’arte non al passo con i tempi. Nel ‘900, i pittori gaetani rappresentavano scorci della città, figure di processioni e scene folkloristiche e popolari. La loro arte guardava all’impressionismo e ai macchiaioli, un’altra corrente italiana della fine dell’800».
A pochi metri dalla Pinacoteca sorge la Cattedrale di San Francesco, tempio madre di Gaeta dalla cui terrazza si apre lo scorcio più bello di tutto il litorale.
San Francesco conquista il cuore di milioni di turisti e futuri sposi, affascinati dalla facciata tardo gotica realizzata da Ferdinando II di Borbone. Fu lui a promuovere la costruzione di strade e palazzi e la maggior parte dell’architettura di Gaetavecchia porta la sua firma: il castello Angioino-Aragonese; l’ex carcere militare, da cui trae origine il detto “Ti mando a Gaeta”; i bastioni del lungomare.
Luogo che lasci, luogo che trovi
ADOLESCENZA / ETA’ ADULTA
Il marciapiede su cui ho sempre camminato riconosce ora il mio passo più deciso, sicuro, veloce. Crescere fa abbandonare dei luoghi e te ne fa frequentare altri. Quei passi si dirigono verso Gaetavecchia che, nonostante sia la zona più antica della città, è allo stesso tempo quella con più movida giovanile.
La maggior parte delle attività locali sono gestite da ragazzi under 30. Contrariamente a quello che si sente riguardo il Sud, c’è da dire che Gaeta è un città che non è abbandonata agli anziani. Anzi, i giovani riconoscono le potenzialità turistiche di questo posto e ci scommettono tutto. C’è un dare e avere reciproco tra le generazioni: gli anziani si occupano della materia prima con la pesca e l’orto ecologico, i giovani – la maggior parte delle volte, nipoti – usano queste materie prime per far conoscere i prodotti di qualità del territorio.
I tipi di attività su cui si investe di più sono la ristorazione, le attività balneari e i cocktailbar. C’è chi, prima di aprirsi un locale proprio, fa esperienza altrove per acquisire più competenze o per entrare nella mentalità imprenditoriale che contraddistingue le città grandi come Milano, per poi riportare quello spirito di iniziativa a casa.
Ed è quello che ha fatto Fabio, 26enne originario di Itri che entro un mese aprirà, dopo tanti sacrifici, il suo primo locale proprio a Gaetavecchia. «Vivere una grande città come Milano può servire per capire come funziona la mentalità imprenditoriale» racconta, «in una grande città ci si trova in mezzo ai lupi; a Gaeta di questa cosa non te ne accorgi perché tutti questi lupi non ci sono. E questo perché è difficile che un ragazzo investa sul proprio stesso territorio. A Milano sei uno su un milione e la concorrenza è altissima: si impara a lavorare sui dettagli per fare la differenza, a distinguerti. Poi quei dettagli vanno portati a casa».
Fabio era tornato a Gaeta, da Milano, per l’emergenza pandemica: «non sono più ripartito perché mi sono reso conto che qui abbiamo tutto ciò che ci serve: commercio, salute, imprenditoria. Gaeta è una città turistica; gli altri vengono in vacanza e noi andiamo via?».
Fabio ha ereditato il sogno del padre e sostituendo il basket con il mestiere del barman si è messo alla ricerca delle materie prime: «Abbiamo tutto: dagli infusioni naturali agli ingredienti per le preparazioni. A Itri abbiamo le olive, i finocchi, i pomodori, l’insalata. Ad esempio, un drink che ho in mente: un Martini con olio di oliva. I pomodori dell’orto di mia nonna li userò per la diluizione, anche i limoni li prenderò dalla campagna» conclude.
Gaeta che cresce
“ADULTA”
Conosco Gaeta in due dimensioni: quella che ho vissuto nelle fasi della mia vita e quella che incontro ad ogni mio rientro.
Con gli occhi di oggi, i giardinetti sono curati, ma le pietre continuano a togliersi dalla ghiaia e la fontana continua a non dare segni di vita.
Via Indipendenza è mio zio Franco, proprietario della storica bottega di cuoio la Cruella, icona storica della musica jazz gaetana, autore dei Sciusci, canzone popolare gaetana che le bande cantano a Capodanno. Da quando è scomparso, lo scorso anno, quella via non è più la stessa.
L’ex vetreria Avir, qualche anno fa, è stata acquistata dal Comune di Gaeta e tutta l’aerea è stata bonificata: ora il cancello è aperto giorno e notte; l’erba è stata tagliata ma sul nuovo parcheggio realizzato spunta ancora l’ombra di quella torre.
Il mercato del mercoledì è stato spostato proprio all’interno di quel perimetro, mentre i binari della vecchia stazione sono stati tagliati via da nuovo cemento levigato.
I bastioni di Gaetavecchia sono stati ristrutturati e il grigio borbonico è stato sostituito da pavimentazione bianca e panchine nuove, i resti della fortezza medioevale sono ancora a qualche metro del Ponte degli innamorati.