Si è appena conclusa l’edizione 2023 di uno degli appuntamenti più attesi dalla grande e piccola editoria italiana. Nella XXXV edizione, il Salone del Libro di Torino ha saputo mostrare i suoi molteplici volti, per un’offerta culturale arricchita dalla contaminazione e dall’incontro, che sappia andare “attraverso lo specchio”.

In Sardegna è boom di festival letterari, per una cultura che non isola

«La Sardegna è l’isola dei libri e delle storie, ma è diventata anche l’isola dei festival». Dalla sala dedicata ad esplorare il profilo letterario e culturale dell’isola emerge questa convinzione. Merito dell’aumento delle manifestazioni in cui si promuove la lettura e l’incontro con gli autori. I festival sono cresciuti negli ultimi anni e ad oggi se ne possono contare una cinquantina: alcuni sono presenti da più di dieci anni e sono ormai radicati come appuntamenti tradizionali.

Entrando nella sala bianca allestita nel cuore del padiglione 1, la caoticità esterna lascia il posto alla discussione pacata, alla riflessione lenta. I racconti di organizzatori e fondatori delle manifestazioni letterarie trasportano nelle piazze di città e paesini sardi, dove la tradizione si nutre del continuo confronto con la contaminazione.

A Cagliari la scienza è la protagonista del festival organizzato da Davide Peddis, direttore scientifico di una manifestazione arrivata alla sua sedicesima edizione. La “scienza in movimento” è lo slogan della manifestazione ideata proprio per portare la cultura scientifica alla portata di tutti. Cagliari FestivalScienza, dopo la prima tappa nel capoluogo dal 9 al 14 novembre, porterà la scienza in giro per l’isola.

«Il festival nasce come giornate dedicate all’inizio degli anni 2000 – racconta Peddis – Abbiamo creato i “caffè scienza” e li terremo a Cagliari con cadenza mensile». La missione divulgatrice proviene dall’ “umanesimo scientifico” dell’editore torinese Paolo Boringhieri: «Ha importato la divulgazione scientifica in Italia. Ha fondato per Einaudi la collana blu Piccola biblioteca scientifica. Vogliamo avere anche noi l’ambizione di fare entrare la scienza nell’orizzonte dell’uomo comune. Scegliamo tra i relatori gente che abbia pubblicazioni scientifiche, a dimostrazione che la scienza la fanno in prima persona».

Itinerante per natura è Éntula di Francesca Casula, “l’antifestival”, come ama definirlo, per la natura “diffusa e permanente”. La manifestazione, arrivata alla sua undicesima edizione, ha l’obiettivo di portare i libri e gli autori nei paesini dove non c’è nemmeno una libreria. Accade così che i 650 abitanti di Neoneli, in provincia di Oristano, iniziano a discutere di società matriarcale insieme ad un reporter argentino. I 700 abitanti di Mara, nella provincia di Sassari, incontrano il fantasy di Terry Brooks e gli fanno assaggiare il porceddu mentre a Fordongianus, Oristano, risuonano i racconti dell’autrice angolana Dulce Maria Cardoso.

«Il nostro antifestival dilata ed estende l’offerta culturale nel tempo e nello spazio – racconta Casula – ha l’obiettivo di rendere la partecipazione culturale una consuetudine, qualcosa che entri nelle abitudini di tutti, soprattutto di chi legge molto poco. A un festival classico di solito va chi legge. Mentre noi vogliamo portare autori sardi e non solo nei piccoli paesi dove non c’è la libreria».

L’antifestival diventa un modo per avvicinare ai libri, per iniziare a seminare lì dove non si crede che possa nascere nulla, per iniziare a entulare, in sardo, ventilare, lanciare in aria il grano per separarlo dall’involucro, la pula: «Raccogliere quel grano che poi diventa pane e fare della cultura un pane quotidiano che abbia il sapore del pane della festa».

Gli organizzatori di questi festival chiedono tuttavia di non essere lasciati soli nelle sfide culturali. Le luci e le ombre italiane si riflettono sulla Sardegna dove c’è grande fermento culturale nelle manifestazioni ma dove ci sono anche il record negativo di abbandono scolastico e un indice di lettura sempre più basso. Non va meglio per il numero dei laureati. A fronte di 1 milione e mezzo di finanziamenti che ogni anno la Regione dà ai festival, gli organizzatori chiedono nuovi criteri per monitorare con un’azione congiunta gli indici di lettura in Sardegna.

«I Comuni dovrebbero investire più concretamente». Ne è convinto Emiliano Longobardi, libraio e organizzatore del festival di letteratura gialla Florinas in giallo: «Il festival, nato nel 2010, ha l’obiettivo di garantire il dialogo attraverso cinque parole. La prima è territorio. Vogliamo che il festival diventi parte di un paese, di una collettività, per questo lo facciamo nella piazza centrale di Florinas, Piazza del popolo. Vogliamo anche il dialogo con la dimensione internazionale. Guardiamo ad autori armeni, spagnoli, messicani. Il festival è anche multidisciplinare, dialoga con cinema, fumetto, teatro, fotografia e scrittura. Vogliamo continuare a scavare per coltivare e fare della Sardegna l’isola dei misteri» conclude Longobardi.

Autori classici per «aprire le coscienze». Il programma di SetteSere SettePiazze SetteLibri, si apre e si chiude con Giuseppe Fiori e Italo Calvino, nell’anno del centenario. Il festival, diretto da Giacomo Mameli, continua a portare dopo tredici edizioni autori classici e contemporanei a Perdasdefogu, in provincia di Nuoro.

«Portiamo autori nazionali per aprire un po’ le coscienze» racconta Mameli – «Abbiamo scelto due autori legati al nostro paese. Poi abbiamo il post festival, dove il gruppo teatrale del paese propone un adattamento de “Il barone rampante”». L’anima di questo festival è la volontà di dialogare con gli autori, di portare la letteratura alla portata di tutti, per questo centrale è la reazione istantanea del pubblico che assiste agli incontri: «Ci vogliono scrittori che sappiano spiegare la letteratura senza essere troppo in cattedra. Il festival è nato per chi non legge, bisogna avvicinare i non lettori alla lettura, con la chiarezza del linguaggio e senza stare in cattedra. Nel nostro festival c’è il feed back perché quando un autore sale in cattedra viene fischiato».

I festival dimostrano come un modo per diffondere la conoscenza sia proprio incontrarsi. Perché come scrive Calvino in “Ultimo venne il corvo”, e come recita lo slogan del festival di Perdasdefogu, «io poi, che la guerra sia finita non credo».

 

L’Albania, una Nazione sedotta e abbandonata dai media italiani

Sarebbe riduttivo individuare nella televisione l’unica responsabile dell’amicizia tra italiani e albanesi che ha ormai fecondato il nostro immaginario. Certo, il piccolo schermo ha svolto un ruolo chiave nella storia della fratellanza spesso stereotipata tra i due popoli, ma è solo la punta di un iceberg che sott’acqua nasconde secoli di relazioni, sempre più intense e poi consolidate dallo sviluppo dei media. “Nell’Impero Ottomano, gli albanesi erano considerati un pericolo per i turchi, come Asterix e Obelix per i romani. La loro lingua era vietata – racconta Vito Saracino, autore di Ciao Shqiperia! Il secolo dei media nei rapporti culturali italo-albanesi, dalla “grotta” rossa del Salone del Libro – e i primi giornali in albanese erano scritti e confezionati in Italia”.

Favorite dagli appena 60 chilometri di mare Adriatico che separano i due Paesi, le frequenze prima radiofoniche e soltanto poi televisive hanno attratto in fretta Tirana. “All’inizio, tra gli anni Sessanta e Settanta, il mondo televisivo italiano raggiungeva l’Albania in modo inconsapevole, nei giorni di vento, nonostante gli inutili tentativi del governo per fermare il segnale delle antenne. La propaganda – prosegue Saracino – divenne volontaria ed evidente con l’avvento delle reti private nel periodo post-comunista”. Tanto che Maria De Filippi ricevette persino un’onorificenza per avere aperto i propri spettacoli ai ballerini albanesi.

Il processo di italianizzazione dei media albanesi riguarda anche la radio: la propaganda del regime comunista ricalcava quella del ventennio fascista. “La questione della propaganda si estende anche alla musica, che ad altre latitudini può avere interpretazioni differenti, anche politiche. Addirittura – svela Saracino –, un brano di Albano secondario in Italia, Libertà, viene visto come l’inno non ufficiale della liberazione dal comunismo. Al tempo, l’Albania era simile alla Corea del Nord: cantare Celentano sotto il regime era come cantare Elvis nell’Unione Sovietica, e tanta gente per questo si è fatta anni di confino o di carcere”.

La vicinanza culturale e soprattutto musicale si è sublimata nel 2020 quando Alketa Vejsiu, popolare volto televisivo albanese, è stata la co-conduttrice in una serata del Festival di Sanremo. Un evento, secondo il governo, troppo vicino agli aspetti più occidentali, dalla scalinata al cambio d’abito. Il tema dell’italiano suadente e subdolo emerge anche nei film di regime che Saracino, grazie alla collaborazione con la Fondazione Gramsci di Puglia, Regione Puglia e Università di Foggia, dove è ricercatore, sta digitalizzando dall’Archivio Centrale del Cinema Albanese. “Il regime voleva mettere in guardia il popolo dall’apparente progresso italiano; infatti, alcuni albanesi giunti in Italia negli anni Novanta sono rimasti disincantati da un Paese in crisi economica. L’Albania – conclude – è stata un’amante non amata: l’Italia ha abbandonato l’idea di continuare a esportare la propria cultura, e oggi ad Anna Oxa si preferisce Dua Lipa, nel senso che il sogno italiano è stato rimpiazzato da un sogno più internazionale”.

 

Fumetti e giornalismo: il caso de La Revue Dessineé

Il giornalismo può essere anche a fumetti e i fumetti possono essere un mezzo giornalistico. La Revue Dessineé è un esempio di come è possibile unire creatività, impegno e approfondimento. Rivista nata nel 2013 in Francia, ha ispirato la versione italiana creata sulla spinta di Massimo Colella. Nel 2021 in Italia non esisteva nessuna testata capace di replicare quel modello. Oggi la Revue Dessineé Italia è arrivata al quinto numero ed esce ogni tre mesi; il lavoro che c’è dietro a ogni volume è meticoloso e comincia all’incirca un anno prima. È la filosofia di Slow News e di Andrea Coccia , suo fondatore e direttore della Revue: «La lentezza che ci contraddistingue non vuol dire solo approfondimento, ma un diverso approccio alla notizia. Per i quotidiani o per le testate tradizionali, l’apice è l’edizione straordinaria. La cosa più eclatante successa quel giorno. Tuttavia, ostinarsi a cercare sempre l’eccezionalità non porta a una rappresentazione reale del mondo. Noi vogliamo raccontare quello che succede tutti i giorni ».

L’esempio può essere l’inchiesta realizzata da La Revue sulle violenze subite in sala parto dalle donne. Un progetto che allarga il discorso prescindendo dalla notizia eccezionale della morte di un neonato per soffocamento riportata da tutti i giornali all’inizio di quest’anno. Un lavoro che ha portato alla luce dei dati altrimenti invisibili, su tutti quello che evidenzia come quattro donne su dieci non vogliano più avere figli dopo l’esperienza vissuta in sala parto.

la revue dessinnee

«Il punto di partenza può essere un pitch esterno di qualcuno con una proposta, oppure sono io in maniera diretta a contattare un giornalista che conosco. Si prosegue dapprima con la scrittura della storia giornalistica o dell’inchiesta, poi si passa alla scelta del disegnatore o della disegnatrice da associare » . Proprio la selezione del fumettista è una delle questioni più delicate. Talvolta si procede tenendo conto dell’ambientazione della storia e, nel caso di un territorio con un ruolo di peso nell’inchiesta, si preferisce contattare qualcuno che quel posto lo conosce bene. Ci sono invece inchieste e reportage per i quali si ragiona in base al mood: a una storia pesante, che tratta temi gravi o cruenti, si tende ad abbinare tratti e colori poco marcati, quasi volatili. Viceversa, con i racconti giornalistici più leggeri, si propende verso disegni dai contorni accentuati.

«La caratteristica imprescindibile dei nostri reportage rimane comunque la durevolezza nel tempo, dato che i tempi di lavorazione sono molto lunghi. Scegliamo storie che siano sempre attuali», spiega Coccia. In un mondo si muove a un ritmo forsennato, dove i giornalisti sono tutti in gara in una corsa infinita contro il tempo, come rapper alle prese con un brano tutto in extra-beat, La Revue Dessineé è una realtà che va controcorrente. Una rivista dall’animo punk, per i mezzi scelti, per il metodo adottato e anche per il circuito di distribuzione. I numeri si trovano in libreria o si possono acquistare dal sito. Un libro o una rivista alla quale abbonarsi, dipende dai punti di vista. La rivista non si trova invece su Amazon, uno dei nemici da cui tenersi alla larga. Non è un caso che il numero zero avesse al proprio interno proprio un’inchiesta su come il colosso si fosse arricchito durante la pandemia: «Siamo contrari al modello che scarica sui lavoratori il peso e, pur di far arricchire poche persone, sacrifica tutto il resto – spiega Andrea Coccia -. Dopodiché ci sono anche altri nemici. Abbiamo appena fatto un’inchiesta sulla concentrazione di potere della filiera libraria italiana che di fatto è in mano a quattro famiglie. Un assetto che mi viene da definire latifondista».