«Ci avete fatto apparire come dei pazzi», lamentava Marco Pannella in uno degli interventi televisivi che lo vedevano prendere la scena e fissarsi nella memoria di chi, allora, lo ascoltava. Una “pazzia” esclusiva, la sua, e quella del suo partito, che non aveva niente a che vedere con la follia, perché si fondava su una libertà non dissoluta e anarchica, ma consapevole, quel “conoscere per deliberare” di Luigi Einaudi che i radicali elessero come loro mantra e motto.
Marco Pannella è un uomo di maggio: vi nasce, il 2 del 1930, a Teramo e vi muore a Roma il 19 del 2016, a 86 anni. La sua storia si intreccia in maniera indissolubile con la politica sin dalla gioventù. Nel ‘53 fonda la Giovane Sinistra Liberale, che riunisce esponenti di diverse ideologie ed è la base per la nascita del Partito Radicale, in cui confluiscono anche membri dell’Unione Goliardica Italiana (U.G.I.).
Tenendo alta la bandiera con la Marianna o Minerva dal berretto frigio, simbolo di lotta e di audacia, poi sostituita dalla rosa stretta nel pugno, che ricorda il papavero rosso socialista, i radicali di Pannella continuano a basare il loro operato su due presupposti: la centralità della persona fisica nella società e un rapporto con le altre forze politiche imperniato su una dialettica intelligente, ma non altezzosa, e che punti a «un’unità laica delle forze», cioè incentrata su obiettivi comuni, come sintetizzato da Franco Roccella, tra i fondatori del partito. «Abbiamo molti ideali e poche ideologie. Gli altri hanno ideologie e niente ideali, ormai. E, quanto a idee, nada», dichiara Pannella in un’intervista a Piero Chiambretti. Dagli ideali, che si declinano in approcci pragmatici, nascono le grandi battaglie radicali, tra cui l’introduzione del divorzio nel 1970, quando Pannella e Mauro Mellini, avvocato, portano avanti campagne di informazione e pressione politica attraverso la Lega Italiana Divorzio, da loro fondata nel ‘66. In quell’occasione, Pannella intraprende il primo di una serie di scioperi della fame – a volte sfociati in drammatici scioperi della sete – che avrebbe sempre di più adottato come strumenti di dialogo. Con la legge Fortuna-Baslini, che legittima e regolamenta il diritto allo scioglimento del matrimonio, «abbiamo pagato il prezzo perché è finito un mondo: la Democrazia Cristiana, che pensava di avere il controllo della vita delle persone, ha capito che non era così; il PCI non voleva il referendum per non dividersi», spiega Maurizio Turco, segretario del partito dal 2019 e militante da molto prima, «ma entrambi hanno dovuto accettarlo perché il movimento divorzista era ormai diventato di massa e transpartitico».
Tra le tante battaglie politiche si trovano l’impegno per l’abrogazione del concordato; per la libertà di Pietro Valpreda, il primo accusato della strage di piazza Fontana, poi assolto; per l’aborto e per la legalizzazione delle droghe leggere; per l’abolizione della pena di morte; per la giustizia e per la fame nel mondo; per la liberalizzazione sessuale.
Lo strumento eletto dai radicali per portare avanti i loro obiettivi è, prima di tutto, il referendum, l’unico mezzo per dare voce al popolo: «La democrazia è questo: è innanzitutto il potere di opposizione, è innanzitutto difendere le minoranze e saremo intransigenti in questa difesa come lo siamo stati per venti anni contro la DC» tuonava Giacinto, detto “Marco”. Ne propongono a decine per la legalizzazione dell’aborto, contro i tribunali e i codici militari, contro le norme fasciste del Codice Penale, contro la legge sul finanziamento pubblico, per il referendum sulla caccia.
C’è un elemento sostanziale che connota i radicali: la loro filosofia – o meglio, il “metodo” – che persiste indenne dai mutamenti del tempo e dei costumi. Questa singolarità li rende un organismo politico distinto dal resto: «Tutti gli altri, tra di loro, si fanno la guerra a livello di informazione, perché ciascuno ha degli spazi informativi. Noi nei salotti pubblici non abbiamo spazio perché abbiamo un’agenda politica nostra, mentre gli altri si adattano a quella del sistema», anche se tra fazioni diverse e contrapposte, dice Maurizio Turco. Ma nel cuore di questa compagine pulsa un’ispirazione universale: «Viva la vita del diritto e il diritto alla vita», diceva Pannella, difensore strenuo dello stato di diritto, che è tale se «democratico, federalista, laico e se fondato sul diritto alla conoscenza». La differenza tra i Paesi autoritari e quelli democratici sta proprio nel “diritto alla conoscenza”, da cui si dirama la libertà di scelta. Del resto, «anche la Cina ritiene di essere uno Stato di diritto perché c’è il parlamento e si va a votare», commenta il segretario del partito.
In virtù di questo diritto, nasce nel ‘76 Radio Radicale, che viene alla luce nel periodo delle radio libere, nate a spezzare il monopolio Rai. È un frangente in cui, nel pieno degli anni di piombo, vicini all’assassinio di Giorgiana Masi e all’attentato di via Fani, esplodono centinaia di migliaia di stazioni radiofoniche che trasmettono programmi alternativi e di “controcultura”, cantautori politicizzati, musica americana, ma anche informazione. Sono anni di cambiamenti in cui il Partito Radicale tocca un picco di popolarità.
L’emittente ha perciò bisogno di una base da cui operare, che viene trovata in via Principe Amedeo a Roma, vicino alla stazione Termini, a quei tempi zona non qualificata. «Ad un certo punto, si viene a sapere che l’appartamento in cui ci stabiliamo è lo stesso in cui ha operato dal febbraio del ‘44 al maggio del ‘44 la banda Koch, longa manus di via Tasso, dove c’era la prigione degli antifascisti, degli ebrei e di tutti quelli che si opponevano al regime», racconta Giovanna Reanda, direttrice dell’emittente, la cui storia nel partito prende avvio proprio attraverso la radio. In settimane importanti che Roma ricorda molto bene, nella sede di via Principe Amedeo sono stati imprigionati, torturati e uccisi tutti gli antifascisti e tutti gli ebrei più di rilievo della lotta contro il nazifascismo. «Noi abbiamo festeggiato e celebrato il 25 aprile di quest’anno da via Tasso con la maratona oratoria. Il 4 giugno, che è invece la festa della Liberazione di Roma nel ‘45, metteremo una targa qui in sede per ricordare che vi operò la banda Koch. Lo racconta bene Andrea Maori, nostro archivista, nel suo libro Pensione oltremare».
Pannella ha l’intuizione di rendere questo stesso luogo una propaggine di democrazia: «Radio Radicale nasce con un telefono, un microfono e un ripetitore – spiega Reanda – quindi Pannella ha pensato: portiamo fuori dal Parlamento la radio dei deputati, facciamola sentire alle persone, mettiamole in condizione di sapere come funziona il centro propulsivo delle leggi, in modo da fare scegliere loro meglio chi mandarci». È il motivo per cui, ancora oggi, le antenne di via Principe Amedeo diventano megafono delle sedute parlamentari, che occupano una parte importante del palinsesto in cui non hanno spazio pubblicità e musica – se non i requiem, che rappresentano la battaglia contro la fame nel mondo. L’assenza di tassativi risponde proprio alla scelta di essere liberi da qualsiasi vincolo. È invece il Parlamento che decide con la legge di bilancio di rinnovare periodicamente la convenzione coi radicali, ma non è una mossa scontata e «ogni anno bisogna sperare che venga confermata di nuovo. La coerenza si paga sempre», commenta la giornalista.
Ma come funziona l’informazione gestita da un radicale? «Sappiamo di essere uno strumento di informazione e di conoscenza. Anche il nostro modo di stare nelle istituzioni – la radio che sta dentro e fuori dal palazzo – lo dimostra: dentro perché ci lavoriamo, fuori perché il nostro lavoro è portare fuori quello che c’è dentro». Secondo Reanda, «è radicale chiunque si fa una serie di domande su ciò che lo circonda. Questo poi i radicali lo declinano in tantissimi ambiti: la libertà di cura, di scelta, di poter scegliere come vivere, come morire, la libertà rispetto al fatto del considerare la libertà della persona un elemento fondante. Di qui l’interesse nei confronti del carcere, che nasce dallo stato di diritto. Il conoscere per deliberare racchiude tutto, e anche la fortuna di aver imparato da un uomo come Marco Pannella che si faceva sempre molte domande». Lo spirito ricorda quello dell’ex segretario, «un vero antesignano. Ricordo che diceva: “Guardate che ci dobbiamo occupare dell’Africa, perché prima o poi l’Africa si occuperà di noi“, e tutti lo guardavano come se fosse un marziano. La lotta contro la fame nel mondo era sì una lotta di principio, ma è anche una lotta di chi ammoniva: “La fame li porterà a spostarsi“».
Nell’ottica del conoscere per deliberare è fondamentale un’enorme risorsa che Radio Radicale mette a disposizione dei cittadini tutti: il suo archivio. A raccontarlo è proprio l’archivista dell’emittente, Guido Mesiti, attualmente consigliere generale del partito. «Nel corso degli anni, i metodi di lavoro sono profondamente cambiati: abbiamo iniziato con la registrazione su bobine, per poi passare alle cassette, per arrivare a lavorare direttamente sul digitale, introducendo anche l’aspetto video oltre a quello audio – racconta. – E proprio perché il faro del nostro lavoro ha continuato ad essere la volontà di fornire ai cittadini una conoscenza profonda e completa, per poter compiere scelte consapevoli, abbiamo iniziato ad adoperarci per rendere tutti i contenuti, presenti e passati, accessibili». Mesiti illustra bene come questo progetto sia stato messo a fuoco progressivamente e in maniera via via sempre più nitida con l’evolversi della tecnologia raccontando un episodio significativo: «Pannella non è stato tra i fondatori materiali della Radio, che è invece nata per volere di alcuni militanti, ma l’ha sostenuta sin dall’inizio e ne aveva capito le potenzialità per perseguire i suoi ideali, tanto che a un convegno organizzato a Trento dalla Dc disse proprio: “All’inizio nessuno di noi aveva la coscienza di conservare, poi è diventata una scelta consapevole”». L’opera di digitalizzazione è ancora in corso, perché l’intento è quello di rendere accessibile anche tutti i primi prodotti, realizzati con supporti analogici, ma i contenuti sono molti e il lavoro è lungo: «Abbiamo superato il milione di registrazioni tra sedute parlamentari, processi e fili diretti tra ascoltatori e ospiti in studio, che generalmente sono politici, di ogni colore» spiega Mesiti. E dalle sue parole traspare un altro elemento non trascurabile che orienta il lavoro di Radio radicale e la conservazione di un archivio integrale, dove siano rintracciabili interventi di esponenti di tutti i partiti: «Se le radio libere sono nate tutte con l’obiettivo di fare controinformazione, questa definizione è per noi riduttiva. Da sempre abbiamo cercato di creare un metodo che potesse essere preso a modello dal servizio pubblico, in cui fosse dato spazio a tutte le voci – racconta l’archivista -. Volevamo agire su due fronti e dare spazio sia alle istituzioni sia ai cittadini, ma sempre in maniera pluralista e di conseguenza ampiamente democratica, per fornire un quadro quanto più possibile completo della realtà tutta».
«La definizione di controinformazione è riduttiva per Radio radicale» commenta Guido Mesiti
Un percorso così chiaro e sentito è stato e continua ad essere non privo di ostacoli.
Nonostante il Partito Radicale abbia una propria emittente, la sua storia di battaglie ideologiche è percorsa da un filo rosso di amarezza nei confronti del sistema dell’informazione generale, che si è anche inspessito negli ultimi anni. Questa circostanza, seppur spesso negata dalla politica, è stata sancita anche nelle aule di giustizia, come ricorda Turco attraverso la citazione di due celebri sentenze intervenute sul punto. La prima, una pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che ha riconosciuto come, durante una campagna elettorale, la televisione italiana avesse censurato la lista Pannella non offrendogli alcuno spazio di intervento: è un assunto importante, seppur affermato con parecchio ritardo, soprattutto a causa di resistenze interne al partito, a cui il portare avanti una simil denuncia pareva eccessivo. La seconda sentenza, di un paio di anni fa, appartiene al Consiglio di Stato, che ha richiesto alla Rai e soprattutto all’AGCOM la cancellazione di una decisione in base alla quale ai radicali era stato negato l’accesso a spazi informativi. Ma, come detto, nonostante queste pronunce, la situazione non accenna a migliorare, anzi. «Il nostro lavoro viene in qualche modo “censurato”, oscurato, e le nostre lotte vengono quindi percepite come clandestine- osserva Irene Testa, Tesoriera del partito-. Le ragioni possono essere molte: io credo sia dovuto al fatto che le nostre battaglie sono scomode e troppo limpide, connotate da una libertà di agire politico ritenuta quasi eccessiva, in un mondo dove tutti i partiti sono protagonisti di scandali di ogni tipo». Del resto, la trasparenza è uno dei capisaldi a cui Pannella auspicava: «Marco sottolineava sempre che noi abbiamo le mani libere per le carezze perchè non le abbiamo sul bottino», ricorda Testa, evidenziando come le idee radicale abbiano sempre mirato all’attenzione verso gli ultimi e all’affermazione dei diritti più che al ricavarne un tornaconto od ottenere consenso. «Ci siamo sempre distinti per non aver mai avuto paura di occuparci di temi difficili e fastidiosi per la politica e la “pancia della gente” e non abbiamo mai voluto mettere a tacere nessuno: ai congressi chiunque può prendere parola, dialoghiamo con tutti e, tra le altre cose, è consentita la doppia tessera». Si tratta di una peculiarità di questa realtà, che non preclude in alcun modo l’accesso agli individui per il solo fatto di essere già iscritti ad altri partiti.
«Marco sottolineava sempre che noi abbiamo le mani libere per le carezze perchè non le abbiamo sul bottino», ricorda Irene Testa, Tesoriera del Partito Radicale
Occorre ricordare poi che un ulteriore ostacolo alla divulgazione delle lotte radicali potrebbe essere dato anche dalla profonda differenza sussistente tra la comunicazione attuale e quella tipica del partito: «La politica e il giornalismo sono mutati con il tempo e rendono tutto sempre più banale e frivolo, mentre Pannella svolgeva un enorme lavoro dietro ad ogni suo discorso prima di diffonderlo, per curarne al massimo la forma ma anche, e soprattutto, il contenuto – osserva la Tesoriera – . E poi nell’ideologia radicale la notizia non è qualcosa che si crea o si rincorre, ma un elemento che si crea utilizzando anche il proprio corpo, la non violenza, secondo l’ispirazione gandhiana, proprio per gridare alla politica urgenze spesso dimenticate».