Lo conosceva dal 1991, quando lavorarono insieme a un’intervista a Di Pietro. Poi diversi servizi realizzati insieme, alCorriere della Sera. Infine, Rt, l’ultimo programma televisivo di Enzo BiagiGiangiacomo Schiavi lo ricorda con poche parole: «Biagi era semplicemente un maestro, un modello di giornalismo ma anche di comportamento per qualsiasi giornalista. Soprattutto per quello che lui elevava a obiettivo del suo lavoro: il rispetto per il lettore. “Fatico io per rendergli la comprensione più semplice, è il lettore il mio giudice, il senso del giornalismo sta in un codice deontologico ma anche morale”. Una cosa desueta, oggi, eppure lui la pensava così».

Non ci sono figure di giornalisti comparabili a Biagi, secondo Schiavi, lo stile del maestro – quel suo mix di poesia, ironia, cronaca e umanità – ha reso unica la sua formula: «La sua regola numero uno era dire la verità. E sapeva essere moderno nel suo guardare ai fatti del mondo semplificandoli». Regole che gli sono costate l’uscita di scena per cinque anni, a seguito dell’Editto di Sofia del 2002. «Era indubbiamente un giornalista scomodo, se intervistava trattava sì con riguardo, ma poi poneva le domande che avrebbe fatto il cittadino qualunque. Ma ne era consapevole, faceva parte del gioco».

Biagi è tornato in televisione nell’aprile 2007, con Rotocalco Televisivo, lasciando un ultimo segno della sua grandezza di giornalista e di uomo. «È rientrato senza vittimismo. Ci rimproverava tutti di non “raccontare più l’Italia” ed è tornato a farlo lui, attraverso un programma capace di sconfiggere le banalità di oggi». Non sempre, tuttavia, era semplice capire il linguaggio di Biagi. «Diceva sempre che bisognava conoscerne l’infanzia povera e il suo paese, Pianaccio, per comprenderlo a fondo», chiosa Schiavi. Come descriverne lo stile? «Il vento che parla».

di Francesca Salsano