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Milano - San Siro

Colibrì, il Secondo Piano di via Micene

«Entrate pure, vi chiedo solo di fare piano perché Celine è di sopra e sta male». Cecilia è una delle ragazze che frequentano Secondo Piano, lo spazio in via Micene 4 che ospita i ragazzi e gli educatori di Colibrì. A fare gli onori di casa è Manù, un’educatrice che quattro pomeriggi a settimana si occupa dei ragazzi che i servizi sociali assegnano al progetto. «Oggi ci sono solo Anita e Salima. Stavano facendo i compiti, ma ora le chiamo così potrete chiaccherare con loro».

Anita e Salima, 17 e 15 anni, sono lo “zoccolo duro” di Colibrì. «Una volta eravamo di più, adesso il tavolo è sempre vuoto. Io tornerei indietro negli anni», racconta Carla, che frequenta Secondo Piano da quando andava alle scuole elementari. A quel tempo i ragazzi erano divisi in due gruppi, ognuno con la sua stanza, una per i più piccoli, l’altra per i più grandi. Poi, il gruppo si è ristretto e capita che si ritrovino solo in tre, come oggi. A fare da colonna sonora ai racconti di Anita e Salima, c’è la musica che Cecilia ascolta al piano superiore. Come una qualsiasi adolescente che si rinchiude in camera nei giorni di male di vivere, anche Cecilia preferisce rimanere nel soppalco in compagnia delle rime di Fedez.

In compenso Anita è un fiume in piena. Dal non aver sentito la sveglia la mattina per andare a scuola, alle scuse per stare fuori casa qualche mezz’ora in più, Anita ha sempre la risposta pronta. Inizia a raccontarci la routine quotidiana: «Tutti i giorni è sempre la stessa cosa: andiamo a scuola, torniamo qui, mangiamo, facciamo i compiti, poi merenda e ci divertiamo con qualche gioco fino alle sette di sera, prima di tornare a casa».

Salima parla meno ma annuisce spesso. Anche lei ricorda i pomeriggi affollati, in cui si formavano gruppi di amicizie e in cui si litigava. In fondo, gli screzi rendevano le giornate meno noiose. Salima è appena sfuggita a una strigliata da parte di Antonio, l’altro educatore di turno, che ha parlato con i professori delle sue – troppe – insufficienze. «I professori esagerano, in pagella i voti cattivi sono solo tre. Una insufficienza è in scienze ma la verità è che il professore non sa spiegare».

«Qui vivono famiglie di etnie diverse e vivono in un contesto di povertà con molti problemi. Per questo i ragazzi sono ostili al mondo della scuola e degli adulti»

I problemi sono quelli di tutti gli adolescenti, a partire dalle incomprensioni a scuola per arrivare ai genitori troppo protettivi. «Mia mamma con il buio proprio non mi fa uscire e devo sempre tornare a casa con qualcuno», dice Salima. Carla le fa eco: «Nemmeno la mia. Vuole sempre sapere dove vado, con chi sono, quando torno, cosa faccio». La mamma di Salima spesso le impedisce di uscire, preoccupata per le strade frequentate da gente poco raccomandabile. «Ogni volta mi sottopone a un fuoco di fila di domande. D’estate però è diverso, perché ci sono tante donne che escono di sera per il Ramadan». Queste sono le naturali preoccupazioni delle mamme, ma sono soprattutto le preoccupazioni delle mamme che vivono a San Siro.

Anita e Salima però “non hanno paura” del quartiere. Per loro, i problemi sono altri: «Questa zona non mi piace – spiega Anita – e poi facciamo sempre le stesse cose, mai una volta che si vada al Duomo o alle giostre». «Si sta in piazzetta, all’oratorio, al parco, a seconda della moda del momento, ma sempre negli stessi posti», continua Salima. La chiacchierata si interrompe quando Anita decide che è il momento di giocare a Monopoli: «Antonio vieni!». Il richiamo vale anche per Manù e Cecilia che accetta di abbandonare il soppalco per unirsi al gruppo. Il tavolo, adesso, non è più così vuoto.

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I. Il progetto Colibrì

«Cerchiamo di portare un punto di vista che problematizzi il quartiere, che porti i ragazzi fuori da San Siro, dalla loro cultura monolitica, da un’ignoranza che non sente la spinta di sapere, di cambiare, di superarsi». Sono questi gli obiettivi per Diana Ferrari, responsabile del progetto Colibrì, una delle tante iniziative della Cooperativa Tuttinsieme nel quartiere San Siro. Colibrì si occupa di minori in carico ai servizi sociali, nella fascia d’età tra gli 11 e i 17 anni. I ragazzi frequentano il centro diurno di via Micene per quattro pomeriggi la settimana. Il centro è un appartamento di tre stanze, con una piccola cucina colorata. I disegni sulle pareti e gli odori delle merende appena cucinate insieme agli educatori parlano per conto chi passa da qui e per chi è già passato. Dalle tracce, si direbbe che è un luogo sempre vivo.

«Cerchiamo di portare i ragazzi fuori da un'ignoranza che non sente la spinta di sapere»

I ragazzi iniziano a frequentare il centro diurno durante i primi anni della scuola media per porre le basi di un lavoro che dura 4-5 anni. «Attualmente nel centro di San Siro abbiamo sette ragazzi», racconta Diana la quale ammette anche che raramente si presentano tutti insieme. Per questo motivo non si segue sempre il programma di un’ideale “giornata tipo”, composta dal pranzo, preparato da un servizio di catering e, di seguito, dal momento di relax, dallo spazio per i compiti, dalla merenda, spesso cucinata dai ragazzi stessi, e infine dalle attività, che consistono nella preparazione delle feste fino allo spazio cinema. «Sono attività finalizzate all’introduzione di tematiche che aprono i ragazzi al mondo per farli uscire dal quartiere: vorremmo fornire loro una serie di strumenti per incoraggiarli al dialogo». I piani giornalieri vengono costantemente modificati da chi deve studiare più a lungo, da chi non ha nulla da fare e da chi ha bisogno di essere seguito individualmente.

I ragazzi sono spinti a frequentare il centro diurno da un decreto del tribunale dei minori oppure dall’assistente sociale che detiene la titolarità della situazione sociale dei minori. Le strade che portano ai servizi sociali sono due: la richiesta spontanea della famiglia oppure l’assegnazione da parte del tribunale dei minori. L’assistente sociale stabilisce il tipo di intervento educativo necessario al ragazzo: «Insieme verifichiamo se ci sono le condizioni per inserire il ragazzo nel progetto – spiega Diana –. Innanzitutto bisogna avere una famiglia collaborante, con la quale ci confrontiamo sull’educazione del ragazzo; in secondo luogo è richiesto che i ragazzi abbiano una minima capacità di stare in gruppo».

Inizia così un percorso lungo, complicato e difficile. «Spesso ci rendiamo conto troppo tardi delle criticità del caso e della carenza di risorse. A volte noi non bastiamo, ma non possiamo lasciarli soli».

I ragazzi di San Siro hanno problemi diversi da quelli di altri quartieri. Sono problemi legati soprattutto all’esperienza migratoria, come spiega Diana: «Vivono in un’enclave molto chiusa dove vengono rispettati dei valori molto rigidi e si creano dei rapporti di forza. Qui vivono famiglie di etnie diverse e vivono in un contesto di povertà con molti problemi. Per questo i ragazzi sono ostili al mondo della scuola, degli adulti, e si scagliano contro tutto ciò che per noi è normativo e regolare». Diana racconta anche solo la difficoltà di portarli sui mezzi pubblici: «Sono abituati ad andare in giro per il quartiere urlando, sputando, prendendo in giro chi passa: per loro questa è la prassi».

Al centro diurno di via Micene sono tutti stranieri: due filippini, due fratelli marocchini, una ragazza turca e due sudamericane. Tutti vivono in case occupate. Il problema abitativo viene affrontato spesso nei pomeriggi a Secondo Piano, soprattutto quando ci sono sgomberi vicino al portone di ingresso o in occasione delle manifestazioni. Il punto di vista dei ragazzi, secondo Diana, è «autoprotettivo»: «I ragazzi giustificano chi occupa, come se non avesse altra scelta. Hanno un punto di vista chiuso e si vedono e si immaginano nel futuro solo in questo quartiere. Fanno fatica ad entrare in contatto con tutto il resto».

«I ragazzi giustificano chi occupa, come se non avesse altra scelta. Si vedono e si immaginano solo in questo quartiere»

Nel corso degli anni il numero dei ragazzi che affollavano i pomeriggi di Secondo Piano si è drasticamente ridotto. Le cause sono molteplici, dalla riduzione del budget da parte del Comune, ai progetti di lunga durata, che finiscono per penalizzare gli altri: «Una presa in carico lunga favorisce la relazione di fiducia, ma cronicizza l’assistenzialismo e la delega da parte delle famiglie – spiega Diana –. I ragazzi mostrano una spinta autonoma per uscire dal servizio mentre i servizi sociali e le famiglie fanno più fatica a interromperlo». Si tratta di rispettare una garanzia di tutela ma è un modello di assistenza che, secondo gli operatori, andrebbe modificato. Proprio per questo Diana e i suoi colleghi stanno cercando delle soluzioni alternative.

II. La cooperativa Tuttinsieme

Per capire dove la cooperativa Tuttinsieme opera a San Siro, Paola Casaletti mostra un enorme cartellone con l’intero quartiere illustrato. In ogni snodo la cooperativa è presente, unita dal desiderio di fare rete con gli altri protagonisti della Zona 7. Colibrì è solo la punta di diamante delle tante azioni di cui la cooperativa è promotrice.

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La Casaletti, nel riassumere le vicende della cooperativa, ne ricorda i primi passi, i primi goffi tentativi di farsi strada sulle strade di San Siro. Il progetto Porto, concluso dopo tre anni lo scorso dicembre, ne è l’esempio: «Noi offriamo servizi educativi e Porto era il primo tentativo, invece, di coesione sociale: un esperimento basato sull’incontro tra culture diverse», spiega Paola. Le aspettative si sono scontrate con le prime difficoltà: burocrazia e problemi tecnici, comuni ad ogni organizzazione medio piccola, che Paola però sdrammatizza con ironia. Un periodo iniziale di rallentamenti porta il progetto ad assestarsi, con pochi partecipanti e poche sedi.

Paola spiega che il quartiere di San Siro ha un problema strutturale: quel che c’è di propositivo annega in un mare di disagio. «Stiamo spendendo risorse pubbliche nella speranza che qualcosa attecchisca, ma non abbiamo certezze e questo non è un lavoro scientifico. Non abbiamo uno straccio di programmazione temporale e ci scontriamo con una progressiva riduzione di risorse economiche». Il tutto in un contesto in una presenza costante è utile, per non rischiare di tornare nel quartiere dopo due mesi e ripiantare un progetto da capo.

Ad oggi, Tuttinsieme è attiva a San Siro e cura diversi progetti: oltre a Colibrì, c’è “il nipotino” di Porto – una prosecuzione del progetto originale che ha ricevuto un finanziamento del Fondo Europeo per l’Integrazione – e iniziative varie di intercultura, di supporto nelle scuole di Zona 7 con sportelli psicopedagogici e di formazione alla genitorialità. Per quest’ultimo aspetto, ad esempio, vengono organizzati incontri a tema per mamme arabe sull’adolescenza, l’età in cui il problema dell’appartenenza culturale scoppia per un ragazzino che ha frequentato le scuole in Italia.

Tra le iniziative più originali organizzate da Tuttinsieme c’è “Quanto Mais”, di cui Paola è particolarmente orgogliosa: «In piazza Cairoli c’era un’installazione con piante di mais e una volta smontate in 320 cassoni il comune non aveva previsto cosa farsene. Ci dispiaceva buttarlo. Così, ne abbiamo organizzato lo stoccaggio per trasportare il mais a goccia a San Siro ed usarlo nelle fioriere e negli orti. Le signore anziane che se ne prendono cura sono diventate le vestali degli orti. Anzi, sono dei mastini veri e propri, che non mollano mai la presa».

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