Mentre ricorre la giornata mondiale della lotta all’Aids, i dati dell’Istituto Superiore di Sanità dipingono un quadro preoccupante.
Milano con i suoi 8.310 casi di Aids è la città con il più alto numero di segnalazioni dall’inizio dell’epidemia. Da sola copre il 12,8% dei casi di Aids di tutta Italia: quasi l’1% in più di Roma, che però vanta un milione abbondante di abitanti in più sul territorio provinciale e il doppio sul territorio comunale. Delle prime dieci province per segnalazione, cinque sono lombarde: Milano (primo posto), Brescia (terzo), Varese (settimo), Bergamo (nono), Pavia (decimo).
Ma Milano è la stessa città dove nel 2010 scoppiava lo scandalo del Policlinico, che rifiutava (e tutt’ora rifiuta) le donazioni di sangue da parte degli uomini omosessuali, ritenuti soggetti a rischio per la trasmissione dell’Hiv. In quei giorni l’Associazione Nazionale per la Lotta contro l’Aids interveniva pubblicamente per ribadire la propria posizione: non esistono categorie a rischio, ma comportamenti a rischio.
Già tredici anni fa l’allora ministro Veronesi emanava il decreto ministeriale 78/2001, che aboliva il discrimine tra donatori omosessuali ed eterosessuali. Diversi anni e innumerevoli battaglie dopo le cose non sono cambiate e ancora oggi tra i criteri di sospensione permanente del donatore si legge «rapporti sessuali tra maschi». Con i suoi 8.310 casi di Aids, Milano è la città italiana con il più alto numero di segnalazioni dall’inizio dell’epidemia
Mauro Moroni, presidente di Anlaids Onlus, si dice amareggiato all’idea di dover combattere ancora per principi affermati ormai da oltre un decennio: «la letteratura scientifica dimostra che un omosessuale che pratichi sempre sesso protetto si espone a un rischio inferiore di un eterosessuale che non usi precauzioni».
Ma quindi non c’è alcuna logica nel vietare ai gay di donare il sangue?
No, non c’è logica. È vero che se confrontiamo un campione di omosessuali e uno di eterosessuali vedremo che i casi sono molto più alti tra i gay che nella popolazione generale. Si potrebbe dire che un gay che vive in un ambiente gay ha più probabilità di incontrare una persona con Hiv tra i propri partner sessuali. Ma tutto questo non giustifica il divieto: essere gay di per sé non significa nulla. Se un gay ha comportamenti sessuali sicuri il suo sangue è sicuro, punto.
Avete provato a instaurare un dialogo col Policlinico?
Non abbiamo iniziative in atto a questo proposito, ma certo la cosa sarà presa in considerazione. Purtroppo quando si parla di Hiv ancora oggi molti atteggiamenti sembrano condizionati da convinzioni che hanno scarso fondamento, e questo vale in questo caso come, per fare un esempio, sull’assenza di promozione dell’uso del preservativo presso le nuove generazioni. Cambiare la mentalità per poter parlare di prevenzione, di Hiv e di salute sessuale senza pregiudizi richiede un percorso complesso.
Purtroppo il contrasto all’infezione da Hiv non sembra una priorità degli ultimi GoverniLa donazione del sangue può essere un modo per fare prevenzione?
Assolutamente no. Contare sui controlli effettuati in occasione della donazione per monitorare il proprio stato di salute sarebbe completamente fuorviante. Non confondiamo i piani: la donazione di sangue è un’azione importante che può fare chi è in ottima salute per aiutare gli altri. La prevenzione è un fatto che riguarda tutti.
A livello istituzionale cosa si dovrebbe fare?
Purtroppo il contrasto all’infezione da Hiv non sembra una priorità degli ultimi Governi. Sarebbe necessario lavorare per un’educazione sessuale libera da pregiudizi, come noi cerchiamo di fare da anni con il Progetto Scuola. Ma anche combattere la discriminazione verso le persone con Hiv è fondamentale per permettere a tutti di vivere questa malattia come una qualsiasi altra condizione sanitaria e non come uno stigma sociale. Insomma, sul lato culturale abbiamo ancora molto da fare. Molto più rispetto a quanto è stato fatto sul piano scientifico.
Quali sono le iniziative in vista della giornata mondiale della lotta all’Aids che si sente di consigliare?
Fare il test per l’Hiv è sempre un’iniziativa da consigliare. Ma per il 1° dicembre è importante soprattutto una riflessione serena e priva di pregiudizi sull’insensatezza della discriminazione delle persone sieropositive. Lavorare con una persona con Hiv, farci sport insieme, condividere i pasti o gli spazi non comporta alcun rischio di contrarre l’infezione. Non c’è ragione di avere paura. Persino fare l’amore con una persona con Hiv non comporta alcun rischio se si utilizza il preservativo.