Il primo dicembre papa Francesco aveva scelto di non ricevere in udienza il Dalai Lama, in visita a Roma in occasione del XIV summit dei Nobel per la Pace. Tra le molte perplessità, sono poi state rivelate le ragioni di questa decisione: il Vaticano voleva evitare incidenti diplomatici con la Cina e non entrare nel merito delle «tensioni» nel Tibet. Il Dalai è un ospite scomodo e i recenti progressi nelle relazioni diplomatiche tra Vaticano e Cina sono troppo preziosi per metterli a rischio.
Non è un mistero, infatti, che Bergoglio si sia dimostrato fin da subito un fervente sostenitore dell’avvicinamento tra Santa Sede e Repubblica Popolare Cinese, cercando di recuperare quei rapporti diplomatici che si erano di fatto congelati a partire dagli anni Cinquanta, quando la Santa Sede aveva riconosciuto Taiwan. Senza dubbio, sono stati fatti molti passi avanti. Poco dopo la sua elezione, a marzo 2013, Papa Francesco aveva scritto al presidente Xi Jinping e l’estate scorsa è stato il primo pontefice nella storia ad ottenere il permesso di sorvolare lo spazio aereo cinese, durante il viaggio verso Seoul.
A novembre, un articolo apparso su Wei Po, quotidiano di Hong Kong considerato espressione del governo, descriveva i termini di un accordo che Pechino avrebbe proposto alla Santa Sede sulla controversa questione delle nomine dei vescovi cattolici, il pomo della discordia che allontana le due realtà e crea confusione.
Spesso si dice, per semplificare, che in Cina esistono due Chiese: da una parte la Chiesa patriottica, la ‘Chiesa aperta’, controllata dal partito popolare cinese tramite l’associazione patriottica, che elegge in autonomia i suoi vescovi; dall’altra quella clandestina, ‘sotterranea’, fedele a Roma e non ufficialmente accettata dal governo per aver sempre rifiutato qualsiasi forma di ingerenza della politica nella vita religiosa. In realtà, la chiesa in Cina è una sola: quella cattolica, nella quale esistono delle gravi spaccature interne che hanno fatto emergere due comunità distinte. Ma non si può parlare di uno scisma.
Le divisioni sono iniziate nel 1949 con gli anni della repressione di Mao. Molti vescovi e missionari stranieri furono cacciati dal Paese, considerati dei nemici del popolo o imprigionati. «Per questo, per sostituire il clero precedente, sono sorti movimenti per l’autonomia della Chiesa dal controllo imperialista e comitati di riforma, poi confluiti nell’associazione cattolica patriottica cinese, fondata nel 1957, che ancora oggi interviene sulle nomine dei sacerdoti e dei vescovi ed è il ponte che si impegna a garantire la lealtà dei cattolici verso il governo», spiega Elisa Maria Giunipero, docente di Storia della Cina all’Università Cattolica di Milano. L’associazione fu voluta dal governo per rappresentare tutte le religioni, ma ha cretao molti meno rpoblemi ad altre confessioni religiose. La Chiesa Cattolica ha infatti la particolarità di avere un papa: l’idea di un capo di Stato, peraltro ai tempi alleato degli Stati Uniti, che avesse potere di parola sopra il partito cinese, era semplicemente inaccettabile.
I primi vescovi cinesi eletti senza approvazione della Santa Sede nel 1958, inaugurarono la strada dei vescovi riconosciuti sì, ma illegittimi. Negli anni Settanta poi, con la fine del maoismo e l’inizio del periodo delle riforme e di una politica più aperta con Den Xiaoping, molti di questi vescovi iniziarono a chiedere, anche segretamente, il riconoscimento di Roma. L’allora pontefice Giovanni Paolo II decise di concederlo a tutti, riuscendo a sanare molte tensioni e aprendo la strada per una futura, ma ancora lontana, riconciliazione.
«Oggi in Cina oggi non ci si nasconde più», osserva Giunipero. «Esistono molte chiese non regolari ma tranquillamente visibili. C’è un clima di tolleranza crescente, anche se i problemi rimangono: alcune chiese vengono ancora vessate e ci sono casi di sacerdoti che vengono controllati e anche arrestati, soprattutto tenuti in la libertà vigilata o gli arresti domiciliari, presi di mira perché si oppongono al controllo del governo nella vita religiosa. Quando questo principio viene contestato pubblicamente non ci sono sconti. Non è consentita un’istruzione di tipo cattolico perché la paura del proselitismo religioso è molto forte; al tempo stesso però le diocesi hanno numerose attività e possono fare catechismo, associazionismo e lavoro sociale». Per questo è significativo che la Santa Sede stia cercando un riavvicinamento per via diplomatiche, non preoccupandosi dell’indottrinamento e dell’evangelizzazione.
Si sente parlare spesso di un aumento dei cattolici in Cina ma è difficile quantificarne il numero: si stima che esistano 33 milioni di cristiani, di cui 4 milioni cattolici appartenenti alla ‘Chiesa aperta’; ma la cifra non tiene conto dei numeri di quella ‘sotterranea’ o ‘clandestina’ i cui fedeli non sono registrati.
È indubbio che molti cinesi abbiano iniziato ad interessarsi alla cultura europea e a scoprire di più la sua principale religione, ma cosa potrebbe significare la diffusione di una spiritualità cattolica in una cultura nata sotto l’egida dell’ateismo? Tale previsione è ancora un’incognita, ma è probabile che il riavvicinamento tra il governo cinese e la Santa Sede, la maggiore tolleranza verso i cattolici cinesi e gli scambi sempre più stretti tra la cultura occidentale e asiatica, potrebbero portare a una diffusione non indifferente.
A complicare le cose è l’enorme vastità della Cina, con le sue infinite situazioni e particolarità locali. La Chiesa è presente con centinaia di diocesi a seguito di un’evangelizzazione capillare, creando però realtà profondamente diverse. Se in alcune aree non esiste più la differenza tra comunità aperta e clandestina, in altre, i problemi e le divisioni sono molto frequenti. In alcune diocesi ad esempio, per certi periodi, ci sono stati perfino tre vescovi.
La fine per una soluzione dell’antica tensione è probabilmente ancora lontana, ma le prospettive sono buone. La presenza in Cina di un clero cattolico molto giovane potrebbe facilitarla. «Durante la rivoluzione culturale i seminari erano chiusi, un’intera generazione è saltata. Per questo i sacerdoti e i vescovi cinesi sono molto giovani: si tratta di quarantenni formati tra gli anni Ottanta e Novanta. La speranza è che la nuova generazione riesca a superare le divisioni e guardi al futuro».
Senza dimenticare che, in termini di immagine, per la classe politica cinese un accordo con la Santa Sede sarebbe sicuramente vantaggioso.