A lanciare per primo l’allarme è stato il New York Times: Vice Media sarebbe vicina alla bancarotta e BuzzFeed ha annunciato la chiusura della sua divisione “News”. Come mai due dei media digitali più innovativi nei formati e nel rapporto con il pubblico devono ora fare i conti con tagli e difficoltà?

L’obiettivo, riuscito, era quello di rompere uno schema e di rivoluzionare un modo tradizionale di fare giornalismo. Le due testate hanno puntato tantissimo sui social – Buzzfeed su Facebook e Vice su YouTube – con l’idea di portare contenuti diversi che avrebbero soddisfatto un bisogno fondamentale per le piattaforme e che sarebbero stati particolarmente apprezzati dai consumatori. «Buzzfeed ha pensato di essere l’azienda giusta per produrre dei contenuti che alimentassero la delivery pubblicitaria delle piattaforme», commenta per il sito di SkyTg24 Valerio Bassan, primo direttore di Vice News Italia. E aggiunge che Vice, invece, ha puntato tutto sui video seguendo questa convinzione: «“Noi facciamo video meglio di tutti gli altri, raccontiamo storie meglio degli altri, le piattaforme hanno bisogno dei nostri video di qualità e quindi ci premieranno”». Ma, in entrambi i casi, le cose sono andate diversamente da come erano state ipotizzate.

I contenuti sono diventati sempre meno riconoscibili, sopraffatti da un contesto informativo dominato dalla creator economy, in cui i contenuti possono essere creati e diffusi da tutti in maniera artigianale e dove la relazione fra il creator e la sua community è sempre più stretta. Un simile legame è difficile da instaurare per una testata tradizionale, così è aumentata la concorrenza anche sul mercato pubblicitario. Al contempo, i social media hanno hanno smesso di investire massicciamente sui contenuti giornalistici e il fatto di aver lanciato un ramo “news” è stato un elemento che ha contribuito ad affossare le due testate secondo Bassan, perché le news sono poco remunerative.

I media tradizionali sono sicuramente più strutturati per assorbire eventuali contraccolpi e quelli che hanno un parco prodotti più ampio, dalla carta, agli eventi alle academy hanno più possibilità di sopravvivere e di avere successo. Entrambe queste testate «hanno prodotto soprattutto giornalismo investigativo, che ci mancherà molto, ma che è ancora più particolare: non ha un modello di business. O c’è un grande benefattore o una fondazione. Anche il sostegno dei lettori non è bastato», conclude Bassan.

 Per saperne di più, continua a leggere su Tg24.sky.it.