Una donna con alti e bassi, forte nella sua fragilità. Nei suoi oltre vent’anni di carriera la paura l’ha salvata in situazioni pericolose, così come la capacità di ragionare velocemente e agire subito. Si definisce un lupo solitario, ma in realtà in ogni posto che ha visitato ha lasciato il cuore e ha stretto legami.

Andreja Restek è una fotoreporter di origine croata, ma ormai da anni Torino è diventata la sua casa. La storia d’amore con la macchina fotografica inizia lontano nel tempo, in ex Jugoslavia, dove «fotografare era un hobby molto costoso e soprattutto non era per le donne».  «C’erano solo alcuni lavori “consentiti” e il mio era un sogno proibito – racconta – Poi quando sono arrivata a Torino, ho iniziato a dipingere e, grazie al mio maestro dell’Accademia di Belle Arti che mescolava fotografia e pittura, mi sono innamorata completamente e ho capito cosa volessi fare nella vita». Ancora oggi ricorda uno dei suoi primi scatti, forse il primo: un elicottero militare durante una parata. «Ero piccolina e ho fatto questa fotografia con la vecchia Zorki di mio padre; poi ne ho fatte altre, infatti ho ancora un rullino non sviluppato che ha circa quarant’anni e che non oso toccare. Non so cosa contenga di preciso, ma sicuramente dei ricordi in bianco e nero della D.D.R.».

Quando una donna decide di intraprendere il lavoro di corrispondente di guerra e viene accettata, diventa come il “terzo sesso”

Restek è andata via dalla Croazia agli inizi della guerra, ma ogni due mesi vi faceva ritorno. Eppure in quelle occasioni non ha mai fotografato ciò che vedeva perché «è più facile parlare delle guerre altrui che non della guerra di casa propria». Così, quando si è sentita pronta, ha cominciato a raccontare coi suoi scatti le zone calde del Medio Oriente e le aree di crisi dove sono le piccole persone a pagare le conseguenze degli interessi di altri. «Ogni donna o uomo che ha deciso di intraprendere questo cammino e abbracciare questo mestiere, per niente facile, ha una grande responsabilità, infatti ci sono momenti in cui scattiamo delle foto e momenti in cui decidiamo di non farlo. Quando le persone che hanno perso ogni cosa, la propria casa e i propri cari, si denudano davanti alla nostra fotocamera, ci regalano il loro ultimo bene rimasto: la loro storia. Allora dobbiamo essere estremamente rispettosi nei loro confronti e verso quelle persone che leggeranno quel racconto e che guarderanno le nostre fotografie».

Per Andreja la sincerità e la sensibilità sono fondamentali per raccontare contesti difficili, così come lo studio della storia e della geopolitica di quei luoghi. Il sapere e il rispetto possono infatti essere la chiave per conquistare la fiducia delle persone. «Quando una donna decide di intraprendere il lavoro di corrispondente di guerra e viene accettata, diventa come un “terzo sesso”. Nei campi rifugiati, per esempio, uomini e donne mangiano separati e tu, fotografa, vieni invitata a mangiare con gli uomini – spiega – Allora poi rifiuti con gentilezza, cercando di uscire dalla situazione in modo garbato, per non ferire i sentimenti di nessuno».

L’anno scorso, proprio a tredici esponenti del “terzo sesso”, tra cui la stessa Restek, è stato affidato il racconto della guerra nel documentario di Matteo Balsamo e Francesco Del Grosso, In Prima Linea, selezionato per i Nastri d’argento 2021. Attraverso voci, scatti e ricordi le fotoreporter catapultano lo spettatore dentro alle storie dietro alle cicatrici invisibili che segneranno per sempre la loro vita. Per rendere omaggio alle donne del settore, nel 2016 era stata la fotografa croata a organizzare una mostra omonima al film di quattordici fotogiornaliste a Palazzo Madama a Torino. «Il nostro lavoro è visto come un mestiere per uomini, ma in realtà ci siamo anche noi. Così ho contattato colleghe in giro per il mondo e alla fine alcune hanno risposto positivamente all’invito, tra queste anche la mamma di Camille Lapage, la giovane fotoreporter uccisa in Repubblica Centroafricana».

Il nostro lavoro è visto come un mestiere per uomini ma in realtà ci siamo anche noi

Anche l’ultimo progetto di Andreja, Different Me, realizzato in pieno lockdown, si è rivelato un’idea «folle» dedicata alle donne e chi come lei aveva bisogno di distrarsi e fuggire dai propri incubi. «Ho cominciato un po’ per caso, ho preso il primissimo libro di Annie Leibovitz sulle donne e mi sono messa davanti all’armadio e, creando i vestiti anche con le lenzuola, ho iniziato a fare degli autoscatti mettendomi in posa come nelle fotografie del libro. Per un mese sono stata una donna diversa ogni giorno e mi piacciono tutte quelle che ho rappresentato. A volte mi sento una signora delle pulizie dell’albergo, a volte una madame con le perle, altre volte una giocatrice di baseball» , ride pensando alle sue infinite sfaccettature.

Tuttavia durante la pandemia, non è rimasta sempre in casa, ma è andata a fare qualche scatto presso le unità speciali dell’ospedale Covid dove lavorava sua figlia. «Quando andavo via, mi rendevo conto di quanto loro fossero preoccupati. Da madre di un medico, ancora oggi ho paura però sono fiera di lei. In un lavoro come il mio e come il suo non hai bisogno di persone che ti frenano, ma di persone che ti sostengono. Lei è una donna forte, sa cosa fare e deve essere libera. Tu, come genitore, devi essere presente se i figli hanno bisogno, ma non devi tarpare loro le ali».

Allo stesso modo, in occasione della Giornata Internazionale della Donna, come ogni anno, Andreja Restek ha voluto dedicare un messaggio di libertà a tutte le sue «amiche meravigliose vicine e lontane»: «Siate forti, pensate a voi stesse, non in maniera egoistica, ma prendendovi cura di voi. E voi, padri e madri, educate uomini e donne responsabili e rispettosi, affinché non accadano più fatti terribili come i femminicidi».